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vedi giurisprudenza
Nota a :
Cassazione civile , 30/1/2007, n. 1956, sez. II

Il TEMPO della prevedibilitÀ del danno da inadempimento di contratto preliminare

Resp. civ. e prev. 2008, 1, 0175BX1107351

Giulio Giannini

Sommario: 1. Il caso. − 2. La limitazione della responsabilità derivante da illecito contrattuale (cenni). − 3. L'autonomia del criterio della prevedibilità rispetto a quello della causalità. − 4. Il momento della prevedibilità del danno. − 5. La decisione dei giudici di legittimità: un'analisi economica.

1. IL CASO
La Suprema Corte, nel caso qui in commento, viene chiamata a rispondere in merito ad una fattispecie di inadempimento contrattuale nella quale il promittente alienante, dopo aver concluso un contratto preliminare con il promissario acquirente, non consentiva la vendita dell'immobile oggetto dello stesso, non presentandosi all'appuntamento fissato davanti al notaio per la stipula dell'atto definitivo. Qualche tempo dopo, inoltre, il promittente alienante inviava, a tacitazione di ogni pretesa, al promissario acquirente la somma di lire 10 milioni, pari al doppio della caparra ricevuta al momento della stipula del preliminare.
In tutti e tre i gradi di giudizio è stata considerata come pacifica la responsabilità del promittente alienante, essendo indubbio l'inadempimento dello stesso dovuto alla mancata stipula del contratto definitivo; la questione oggetto di disputa è invece incentrata sul quantum di risarcimento dovuto al promissario acquirente (1).
I giudici di legittimità, nell'emanazione della sentenza qui in commento, si sono segnalati per l'aver finalmente applicato in maniera esemplare la struttura riservata dal codice civile al tema del risarcimento del danno derivante da inadempimento di un'obbligazione contrattuale, soffermandosi, inoltre, sull'interpretazione più corretta da attribuire al tempo della prevedibilitàex art. 1225 c.c.
Nei paragrafi che seguono verrà quindi offerta una breve analisi su (i) il sistema della limitazione della responsabilità derivante da illecito civile accolto dal nostro codice e (ii) l'ambito di applicazione temporale dell'art. 1225 c.c.
Come più volte verrà rilevato nel proseguo di questa analisi, la decisione in commento ha il merito di porre un po' di ordine su una tematica sulla quale, stranamente, non troppe attenzioni sono state rivolte dalla giurisprudenza, nonostante l'estrema importanza di un tema di così vasta e quotidiana applicazione pratica.
2. LA LIMITAZIONE DELLA RESPONSABILITÀ DERIVANTE DA ILLECITO CONTRATTUALE (CENNI)
Il tema dell'esposizione risarcitoria del debitore e, più nello specifico, dei limiti alla stessa, è rimasto a lungo sopito nei dibattiti giurisprudenziali e, seppur in forma molto minore, nelle opere della dottrina.
Le Corti, infatti, hanno prestato poca attenzione non tanto alla questione della responsabilità derivante dal danno arrecato bensì soprattutto all'analisi della sua quantificazione risarcitoria; nella pratica, la giurisprudenza si è focalizzata maggiormente sul tema del rapporto di causalità tra l'illecito ed il danno da esso derivante ritenendo, erroneamente, un fattore di secondaria importanza lo studio delle norme del codice civile dedicate al calcolo della somma del risarcimento. La dottrina, invece, a fronte dell'orientamento giurisprudenziale dominante, ha prestato un attenzione sempre maggiore, seppur soprattutto in tempi più recenti, ad una questione, quella del quantum di danno, disciplinata molto attentamente e razionalmente dal legislatore.
Nell'ordinamento italiano, invero, il risarcimento del danno contrattuale è costruito su un trittico di articoli del codice civile − l'art. 1223, l'art. 1225 e l'art. 1227 − i quali sanciscono che il danno ex contractu, differentemente da quello aquiliano, deve essere risarcito dal debitore inadempiente esclusivamente quando sia conseguenza immediata e diretta del risarcimento (art. 1223 c.c.), nel limite della prevedibilità, pur se esclusivamente nel caso di illecito colposo (art. 1225 c.c.) e, in ultimo, nel limite dei danni evitabili dall'ordinaria diligenza del creditore (art. 1227 c.c.). L'ordine sistematico e razionale fornito dal legislatore all'istituto del risarcimento del danno contrattuale è pertanto chiaramente costruito su due elementi ben distinti: (i) il rapporto di causalità tra illecito e danno e (ii) la limitazione dell'area del danno risarcibile, che modula l'estensione del risarcimento in funzione di alcuni elementi eventuali: l'elemento soggettivo ed il concorso del creditore.
Nel caso qui in commento, la limitazione dell'esposizione risarcitoria del debitore, esclusa la possibilità di invocare un concorso del creditore ex art 1227 c.c., è fondata sull'applicazione dell'art 1225 c.c. il quale dispone che il danno contrattuale è commisurato a quanto si poteva prevedere al momento del sorgere dell'obbligazione, seppur esclusivamente in caso di inadempienza colposa e non dolosa. L'art. 1225 c.c., salvo qualche piccola modifica, riprende l'art. 1228 del codice del 1865 e, di maniera per così dire riflessa, l'art. 1150 del codice napoleonico (2).
La teoria del limite alla responsabilità del debitore non dolosamente inadempiente, basata sulla concezione della prevedibilità come limite alla misura del danno risarcibile (3), costituisce un perno imprescindibile all'interno dell'attività economica moderna in quanto consente a chi assume un obbligo di poter valutare i rischi che l'operazione economica comporta e, conseguentemente, anche il carico risarcitorio cui sarebbe lo stesso esposto nel caso in cui non fosse possibile l'esatto adempimento dell'obbligazione. Una norma che non consentisse tale ragionamento in capo ad un qualsiasi operatore economico, che non consentisse quindi di calcolare preventivamente una responsabilità di tal sorta, avrebbe infatti un effetto fortemente disincentivante sulle quotidiane operazioni di mercato(4).
Il criterio della prevedibilità del danno, pertanto, è ricollegato ad una mera esigenza equitativa: l'esigenza di proporzionare la sanzione del risarcimento alla lesione di quei vantaggi connessi alla prestazione secondo un criterio di normalità (5).
Nonostante l'indiscutibile funzione del principio limitativo della quantificazione del risarcimento del danno derivante da illecito contrattuale, nonché il suo accoglimento all'interno del nostro codice, la pratica mostra un ristrettissimo spazio riservato dalle Corti al tema qui esaminato. Tale scarsa attenzione può essere giustificata secondo due ordini di ragioni; in primo luogo in quanto i giudici tendono a far coincidere il giudizio di causalità − previsto dall'art. 1223 c.c. − con quello sulla prevedibilità − sancito invece dall'art. 1225 c.c. − ed in secondo luogo a causa della prassi giudiziale che interpreta la nozione di dolo in senso estremamente ampio, sì da togliere ogni significato al dettato posto dall'art. 1225 c.c. (6), il quale pone come condizione essenziale del limite del prevedibile proprio una condotta colposa.
3. L'AUTONOMIA DEL CRITERIO DELLA PREVEDIBILITÀ RISPETTO A QUELLO DELLA CAUSALITÀ
Tra i molteplici aspetti affrontati dal giudice di legittimità, il primo certamente degno di rilievo consiste proprio nell'aver separato e dato autonomia ai due criteri corrispondenti ai dettati degli articoli 1223 c.c. e 1225 c.c.: il criterio della causalità ed il criterio della prevedibilità.
Come già rilevato da gran parte della dottrina (7), ben poche volte i giudici hanno applicato interamente e correttamente il sistema accolto nel nostro codice civile; è infatti molto frequente la tendenza a sovrapporre i due sopra citati criteri, nella misura in cui, si afferma, entrambi riguarderebbero le medesime conseguenze naturali dell'inadempimento, non ritenendo necessario, pertanto, un esame del caso concreto alla luce di due differenti, ma anche conseguenti, criteri di analisi. La giurisprudenza, in conclusione, ha fino ad ora ritenuto superfluo dover svolgere un'indagine, considerata analoga, due volte.
Invero l'art. 1223 c.c., richiamando il nesso di causalità tra l'inadempimento ed il danno, fa comunque riferimento ad un giudizio di probabilità che da un atto derivi una determinata conseguenza. Tuttavia, nel momento in cui si attua un ragionamento probabilistico è naturale e logico effettuare inevitabilmente anche una valutazione sulla prevedibilità dell'evento (8).
Seguendo esclusivamente un'analisi causale, pertanto, il criterio basato sull'esame del nesso di causalità porta a ricondurre anche le conseguenze più remote all'interno del calcolo risarcitorio, essendo il ragionamento de quo basato sulla mera adesione al più genuino tra i ragionamenti umani quale quello di causa-effetto.
Quello che si manifesta come il più semplice ed empirico ragionamento al fine di collegare un danno con la sua causa generatrice si scontra, però, con la disciplina accolta dal nostro legislatore il quale, dopo aver richiamato un necessario e prioritario esame del nesso di causalità a norma dell'art. 1223 c.c., pone un limite integrativo nell'art. 1225 c.c., il quale opera nel senso di restringere la quantificazione del danno, pur se soltanto in caso di colpa, esclusivamente a quegli eventi prevedibili dal debitore.
La giurisprudenza (9), invece, tende a far coincidere nelle proprie decisioni il giudizio di prevedibilità con il giudizio riservato all'accertamento del rapporto di causalità delle conseguenze dannose, attraverso i principi della causalità quando, invero, a rigor di codice, il primo giudizio dovrebbe essere un criterio separato e successivo rispetto al secondo.
La dottrina ha messo in evidenza l'erroneità di tale approccio che giunge, come già più volte espresso in questo commento, a sostituire ed eliminare il criterio imperativamente fissato dal codice civile e costituito da un doppio esame limitativo delle conseguenze dannose derivanti da un evento lesivo per illecito contrattuale: l'esame sul rapporto causale e l'esame sulla prevedibilità (10).
La causalità, infatti, concerne il nesso sussistente tra il danno e l'evento che ne ha dato causa, ed è del tutto indipendente dal giudizio legato all'aspetto soggettivo della parte inadempiente al momento dell'inadempimento contrattuale causa del danno. La prevedibilità si focalizza, differentemente, sulla diligenza dell'uomo medio il quale non risponde di quegli eventi lesivi che egli stesso non avrebbe potuto prevedere come conseguenza del suo inadempimento, pur quando tali eventi siano conseguenza immediata e diretta del suo agire, ed in quanto tali essendo legati da nesso causale giuridicamente rilevante con l'azione del debitore (11). Pertanto, potrebbe anche verificarsi il caso in cui, pur sussistendo il nesso di causalità tra illecito e danni, si possa negare l'imputazione di questi ultimi al debitore, qualora le lesioni provocate risultino essere imprevedibili.
Il combinato disposto degli articoli 1223 c.c. e 1225 c.c. impone al giudice di valutare, nell'esame del risarcimento derivante da illecito contrattuale colposo, esclusivamente quelle conseguenze dannose normalmente ricollegabili all'inadempienza (art. 1223 c.c.) nonché prevedibili al momento della formazione del contratto (art. 1225 c.c.). Il primo giudizio di causalità si manifesta quindi come uno scrimen prioritario mentre quello sulla prevedibilità rappresenta uno scrimen ulteriore (12) che viene meno esclusivamente nel caso di inadempimento doloso, per il quale il legislatore non pone limite alcuno al criterio della prevedibilità rendendo l'inadempiente responsabile di tutte le conseguenze causate dalla sua condotta, anche di quelle imprevedibili.
È da rilevare che solo molto recentemente parte della giurisprudenza ha iniziato a non confondere le due diverse nozioni di causalità e prevedibilità; in alcune decisioni degli ultimi anni, infatti, parte della giurisprudenza (13) ha indicato l'art. 1223 c.c. come l'elemento la cui analisi tende a stabilire quali siano i danni da risarcire, precisando quindi l'an, utilizzando invece l'analisi della prevedibilità esclusivamente al fine di delimitare l'ammontare del danno risarcibile specificando, in tal modo, il quantum del danno (14).
In un panorama giurisprudenziale di notevole incertezza sull'argomento, la sentenza in commento, riconoscendo l'autonomia concettuale e applicativa del criterio della causalità rispetto a quello della prevedibilità del danno, rappresenta un importantissimo precedente che, ci si augura, porterà ad un maggiore ordine e rigore nell'importantissimo ambito economico e contrattuale della quantificazione del danno risarcitorio.
4. IL MOMENTO DELLA PREVEDIBILITÀ DEL DANNO
Altra innovativa questione trattata dalla Suprema Corte concerne il momento in cui il giudizio sulla prevedibilità deve essere effettuato. Tale tema è stato quasi sempre ignorato dai giudici di merito, essendo il giudizio sul momento della prevedibilità strettamente connesso con l'errata interpretazione data dalle Corti nell'applicazione degli artt. 1223 c.c. e 1225 c.c., come qui sopra ampiamente già discusso.
Il dettato dell'art. 1225 c.c. sembra essere in tal senso lapidario: "Se l'inadempimento o il ritardo non dipende da dolo del debitore, il risarcimento è limitato al danno che poteva prevedersi nel tempo in cui è sorta l'obbligazione".
Il testo della norma qui sopra citata sembrerebbe, pertanto, non lasciare molto spazio ad interpretazioni difformi da quanto espressamente affermato dal legislatore e, di conseguenza, il limite della prevedibilità risulterebbe essere saldamente ancorato al momento della conclusione del contratto o, più in generale, del sorgere dell'obbligazione.
Tuttavia nella motivazione del caso, dopo aver ricordato come la Corte territoriale avesse applicato alla lettera il dettato codicistico (15), la Suprema Corte ha manifestato di non condividere tale orientamento posto che "il collegamento della prevedibilità del danno al tempo dell'insorgenza del rapporto obbligatorio non tiene conto del periodo di tempo a volte anche lungo intercorrente da quel momento a quello della esecuzione dell'obbligazione".
È stato già ricordato come la formula codicistica riprenda pedissequamente l'art. 1228 dell'abrogato codice del 1865, facendo riferimento al danno che poteva prevedersi al momento del sorgere dell'obbligazione (16). Il legislatore, purtroppo, occorre dire, nella nuova formulazione del codice non ha innovato il testo dell'articolo, ora 1225 c.c., quando, al contrario, sarebbe stata necessaria una revisione dello stesso al fine di adattarlo al più rapido e, al tempo stesso, più articolato procedere dell'economia, e con essa della contrattualistica, moderna.
La dottrina più recente (17), differentemente da quanto finora rilevato dalla giurisprudenza (18), e come sottolineato dai giudici di legittimità (19), ha ricordato in diverse opere l'iniquità di un'applicazione letterale dell'art. 1225 c.c. la quale rischia di favorire in maniera eccessiva il debitore a completo discapito dell'interesse del creditore di essere risarcito per il danno da lui subito.
Il sistema della limitazione della responsabilità del debitore inadempiente poggia su una constatazione meramente equitativa. Le più recenti elaborazioni dottrinali, infatti, ritengono che la limitazione del risarcimento al danno prevedibile abbia come scopo primario quello di scongiurare un effetto disincentivante di una responsabilità non calcolabile preventivamente, tale da scoraggiare l'uso dello strumento contrattuale; chi promette una prestazione contrattuale è infatti tenuto a utilizzare tutte quelle misure atte al fine di eseguire quanto promesso, pur non dovendo rispondere di oneri e rischi non proporzionati con l'impegno preso (20). Condivisa quasi unanimemente la suddetta ratio, la dottrina si è interrogata sull'esatto significato da attribuire all'art. 1225 c.c. al fine di garantire la migliore e più giusta protezione non soltanto del debitore inadempiente ma anche del creditore per la perdita causata dal danno da inadempimento.
La parte inadempiente è infatti ben protetta nella definizione dell'ammontare del risarcimento dall'art. 1225 c.c. − così come dall'art. 1223 c.c. e dall'art. 1227 c.c. come sopra già discusso − in quanto la stessa non sarà ritenuta responsabile di accadimenti che non avrebbe e non ha potuto prevedere. Ma, a questo punto, l'attenzione deve essere spostata sulla parte adempiente, la quale rischia, dal canto suo, di non esser risarcita equamente; è bene sottolineare che anche una scorretta allocazione dei rischi sfavorevole al creditore può avere degli effetti disincentivanti nell'utilizzo dello strumento contrattuale, similmente a quanto già detto con riferimento al debitore.
Spostata quindi l'attenzione sul creditore, la dottrina maggioritaria ha già da tempo sottolineato gli inconvenienti derivanti da un'interpretazione letterale dell'art. 1225 c.c. che lega il momento della prevedibilità all'atto del sorgere del rapporto obbligatorio. Tale interpretazione, infatti, non protegge pienamente la parte debole del rapporto contrattuale in caso di inadempimento, i.e. la parte adempiente, in quanto non consente a quest'ultima di chiedere il risarcimento di quei danni non prevedibili al momento della formazione del contratto, pur essendo gli stessi ben evidenti al momento in cui sarebbe dovuta esser eseguita l'obbligazione rimasta inadempiuta.
Nel caso in cui un lungo periodo debba trascorrere tra il momento della formazione dell'obbligazione e l'esecuzione di quest'ultima, risulta palesemente inadeguata ed ingiustificata l'attribuzione di rilevanza ad un momento, quello della stipulazione del contratto o, più in generale, del sorgere del rapporto obbligatorio, in cui è prematuro o addirittura impossibile che le parti apprezzino il significato delle conseguenze di un inadempimento (21).
È perciò necessario interpretare la formula legislativa prestando attenzione non all'inizio del rapporto obbligatorio ma al momento in cui sorgono come attuali gli obblighi delle prestazioni oggetto del rapporto stesso, concentrandosi, pertanto, ad un momento tendenzialmente coincidente con quello in cui il debitore si pone la scelta tra esatto adempimento ed inadempimento(22).
Un'interpretazione letterale dell'art. 1225 c.c., che lega la prevedibilità al momento della conclusione del contratto, può essere certamente considerata corretta nel caso in cui l'obbligazione sia ad esecuzione istantanea; lo stesso non può essere affermato nel caso di un'obbligazione ad esecuzione differita, come nel caso de qua, in cui la valutazione se adempiere o meno viene effettuata dal debitore in un momento successivo a quello della stipulazione del contratto.
In conclusione, nel caso qui in commento, essendo rimasta inadempiuta l'obbligazione, contenuta in un contratto preliminare, di stipulare il contratto definitivo, la Suprema Corte ha correttamente affermato che "mentre non sussistono valide ragioni per attribuire rilevanza, ai fini della prevedibilità del danno, ad un tempo, quello della nascita dell'obbligazione, in cui è difficile che il debitore sia consapevole delle conseguenze di un suo futuro ed eventuale inadempimento, è invece sicuramente più significativo il momento in cui il debitore, dovendo dare esecuzione alle obbligazioni assunte e potendo scegliere tra adempimento ed inadempimento, è in grado di apprezzare più compiutamente e quindi di prevedere il pregiudizio che il creditore potrà subire per effetto del suo comportamento inadempiente".
5. LA DECISIONE DEI GIUDICI DI LEGITTIMITÀ: UN'ANALISI ECONOMICA
L'interpretazione data dalla Suprema Corte al caso di specie ben si può definire corretta in un'ottica di analisi economica del diritto.
La ratio contenuta nella norma che limita la responsabilità ad un giudizio di prevedibilità, e vigente in quasi tutti gli ordinamenti moderni (23) di civil law nonché in quelli di common law(24), è legata alla convinzione che la responsabilità del debitore deve essere proporzionata all'utilità attesa dal creditore(25); in tal modo il legislatore ha ritenuto corretto che, in caso di inadempimento, il debitore debba rispondere solo della perdita dei benefici collegati alla prestazione dedotta in contratto e non di quelli ulteriori legati a circostanze eccezionali o alle particolari caratteristiche del creditore (26).
La funzione dell'art. 1225 c.c., nel suo ruolo di ostacolo ad una responsabilità estesa della parte inadempiente, poggia su due constatazione di fatto.
Innanzitutto, l'esistenza di una asimmetria informativa (27) tra creditore e debitore in merito all'oggetto dedotto nel contratto e, conseguentemente, in merito alle conseguenze dell'inadempimento. Il creditore, salvo casi eccezionali, è pienamente nelle facoltà di valutare l'impatto di un'eventuale violazione del contratto mentre il debitore, pur conoscendo il tipo di attività svolta dalla controparte, non è sempre in grado di stabilire l'effettiva utilità della sua prestazione (28).
In secondo luogo, la mancanza di una limitazione alla responsabilità della parte inadempiente sarebbe disincentivante verso lo strumento contrattuale, in quanto lascerebbe le parti inermi davanti ad ogni quantificazione risarcitoria (29).
La prevedibilità, quindi, pone un corretto limite risarcitorio, legando il quantum di danno a quella posizione che sarebbe stata assunta da un soggetto diligente, differentemente dal comportamento tenuto in concreto dalla parte inadempiente.
L'art. 1225 c.c. ben si può definire, in conclusione, una norma non solo a protezione del debitore ma a tutela dello strumento contrattuale stesso, quale motore costante dell'attività economica moderna.
In ulteriore analisi, la Suprema Corte, nel caso qui esaminato, è stata ancor più attenta nell'esame delle informazioni possedute dalle parti contrattuali, avendo la stessa considerato anche la differenza esistente tra un contratto a prestazione immediata ed uno a prestazione differita, quale il preliminare.
Nel caso di un contratto a prestazione differita, infatti, l'asimmetria informativa va valutata alla luce del lasso di tempo non sempre breve sussistente tra il momento della conclusione e quello dell'esecuzione, così come alle informazioni possedute nei due differenti periodi.
E in un contratto a prestazione differita l'asimmetria informativa ben può essere favorevole al debitore, il quale, a completo discapito del creditore, ha la possibilità di valutare in un momento successivo il vantaggio economico derivante dall'adempimento o meno delle prestazioni dedotte nel contratto. È, in questo caso, nel momento dell'esecuzione della prestazione che è necessario valutare le informazioni possedute dalle parti ed è proprio in tal momento, conseguentemente, che deve essere effettuato il giudizio di prevedibilità che opera come limite al risarcimento dovuto dalla parte inadempiente.
Tale, a mio avviso, corretta valutazione è stata seguita dai giudici di legittimità nel caso qui in discussione; avendo, infatti, le parti stipulato un contratto preliminare, non si può individuare il momento della prevedibilità al tempo della stipula di quel contratto; il quantum di danno, nel caso di contratto preliminare, deve essere calcolato facendo riferimento al momento in cui l'obbligazione dedotta in contratto sarebbe dovuta essere eseguita, i.e. al momento della stipula del contratto definitivo.
Tale impostazione appare ancora più corretta se si considera il giudizio effettuato dalla parte che deve adempiere al momento dell'esecuzione delle obbligazioni; ogni soggetto razionale, infatti, valuta i costi ed i benefici della propria azione così come quelli derivanti da un inadempimento (30) e tale esame delle conseguenze derivanti dalla propria condotta solo erroneamente possono essere ricondotti ad un momento, quale quello della conclusione del contratto, in cui la parte ha solo parzialmente valutato le conseguenze della sua condotta.
La valutazione economica effettuata da colui che deve compiere una prestazione, infatti, viene effettuata proprio nell'ultimo momento che precede l'esecuzione; è proprio in questo tempo che l'uomo valuta i costi ed i benefici della prestazione dedotta nel contratto da lui concluso. Effettuando una tal valutazione, pertanto, lo stesso calcolerà il beneficio derivante da una esecuzione ovvero addirittura dall'inadempimento dell'obbligazione.
Sulla scorta di tali valutazioni è chiaro considerare come limen temporis la conclusione del contratto nel caso in cui l'esecuzione della prestazione in esso dedotta sia immediata, ma pare illogico considerare un tal momento nel caso in cui la prestazione, e con essa, la valutazione economica, venga concretamente effettuata in un periodo successivo, come nel caso qui esaminato.

Ritorna al link(1) La giurisprudenza è concorde nel ritenere la caparra confirmatoria come non sufficiente ad esaurire l'importo complessivo del danno risarcibile. La somma versata come caparra, infatti, assolve meramente la funzione di liquidazione anticipata e convenzionale del danno da inadempimento esclusivamente nel caso in cui la parte non inadempiente decida di esercitare il diritto di recesso mentre, nel caso in cui tale parte abbia deciso di chiedere l'esecuzione ovvero la risoluzione del contratto, il diritto al ristoro del danno resta regolato dalle norme generali, onde il pregiudizio patito dovrà, in tale ipotesi, essere concretamente provato (Cass. civ., 20 maggio 1997, n. 4465, in Rep. Foro it., 1997, voce Contratto in genere, n. 432).

Ritorna al link(2) Così testualmente: "Le débiteur n'est tenu que des dommages et intérêts qui ont été prévus ou qu'on a pu prévoir lors du contrat, lorsque ce n'est point par son dol que l'obligation n'est point exécutée". Le differenze che si rinvengono nella formulazione attuale riguardano: per quanto concerne l'oggetto del giudizio, non si fa più riferimento ai danni che sono stati preveduti (...qui ont été prévus...), pur potendo ben asserire che l'attuale formulazione dell'art. 1225, facendo riferimento alla più generale espressione "danno che poteva prevedersi" ben racchiude implicitamente l'ipotesi testé richiamata; per quanto concerne il riferimento temporale, non si fa più uso della locuzione "tempo del contratto" bensì "tempo dell'obbligazione" (tale ultima modifica ha portato taluni autori ad una differente, seppur molto controversa, estensione oggettiva dell'art. 1225 c.c.; v. infra.).

Ritorna al link(3) Le origini storiche del criterio della prevedibilità del danno contrattuale si ritrovano fin nelle fonti romane. La Costituzione di Giustiniano del 531, infatti, prescriveva due criteri diversi di valutazione del danno contrattuale a seconda che si verificasse in tema di casus certi e casus incerti; nel primo caso il giudice non poteva condannare oltre il doppio del valore oggetto dell'obbligazione mentre nel secondo, lo stesso doveva attenersi ad un generico criterio di moderazione, salvo il ricorso all'analogia. Ed è proprio sulla scorta di questa Costituzione che i Paesi della tradizione romanistica hanno fondato i propri pensieri sulla limitazione del danno risarcibile al danno prevedibile. Nel 1546 Dumoulin identificò la ratio della disposizione giustinianea nel fatto che il debitore di regola può prevedere solo tale danno (il duplum), concludendo che il danno risarcibile a seguito di illecito contrattuale dovesse essere solo quello prevedibile (F. Ferrari, Prevedibilità del danno e contemplation rule, in Contratto impr., 1993, 760). Della stessa idea fu Pothier affermando che: "le débiteur n'est tenu que des dommages et intérêts qu'on a pu prévoir, lors du contrat, que le créancier pourrait souffrir de l'inexécution de l'obligation; car le débiteur est censé ne s'être soumis qu'à ceux-ci" (R.-J. Pothier, Oeuvres de Pothier, Parigi, 1821, 181).

Ritorna al link(4) P. Trimarchi, Sul significato economico dei criteri di responsabilità contrattuale, in Riv. tri. dir. proc. civ., 1970, 520; Id., Causalità giuridica e danno, in G. Visintini, Risarcimento del danno contrattuale ed extracontrattuale, Milano, 1984, 5; U. Breccia, Le obbligazioni, in Trattato di diritto privato, diretto da G. Iudica e P. Zatti, Milano, 1991, 644; V. Roppo, Trattato del contratto, vol. V, Milano, 2006, 927; V. Di Gravio, Prevedibilità del danno e inadempimento doloso, Milano, 1999, 184.

Ritorna al link(5) C.M. Bianca, Dell'inadempimento delle obbligazioni, Bologna-Roma, 1979, 373.

Ritorna al link(6) G. Valcavi, Sulla prevedibilità del danno da inadempienza colposa contrattuale, in Foro it., 1990, 6; G. Visintini, Il risarcimento del danno contrattuale ed extracontrattuale, Milano, 1999, 134.

Ritorna al link(7) G. Valcavi, op. cit., 10; G. Visintini, op. cit., 134; I. Manza, Inadempimento di contratto preliminare e prevedibilità del danno risarcibile, in Danno resp., 2004, 858 ss.

Ritorna al link(8) V. Roppo, op. cit., 928; secondo tale autore "simile sovrapposizione finirebbe tuttavia per togliere significato all'art. 1225 e, conducendo alle estreme conseguenze il ragionamento, si arriverebbe alla paradossale conclusione di negare rilievo alla causalità giuridica ogni qual volta l'inadempimento dipenda da dolo, perché non ci si dovrebbe interessare alla prevedibilità del danno".

Ritorna al link(9) Cass. civ., 19 gennaio 1999, n. 475, in Rep. Foro it., 1999, voce Danni civili, n. 219; Cass. civ., 25 marzo 1987, n. 2899, in Rep. Foro it., 1987, voce Danni civili, n. 140; Cass. civ., 19 luglio 1982, n. 4236, in Giur. it., 1983, I, 1525, con nota di A. De Cupis; Cass. civ., 28 maggio 1983, n. 3694, in Rep. Foro it., 1983, voce Danni civili, n. 44; v. anche Trib. Roma, 29 ottobre 1997, in Rep. Foro it., 1999, voce Vendita, n. 52: "nell'ipotesi di vendita di un complesso di beni dei quali una minima parte era di proprietà altrui, deve escludersi la responsabilità del venditore per il dissesto in cui è caduto l'acquirente a causa dell'impossibilità − per il tardivo trasferimento della proprietà della particella altrui − di ottenere un mutuo sul bene, in quanto il combinato disposto degli art. 1223 e 1225 c.c. esclude, in assenza di dolo, la risarcibilità dei danni mediati ed indiretti, se ed in quanto irregolari, ossia divergenti dalla regola della probabilità".

Ritorna al link(10) G. Visintini, op. cit., 134.

Ritorna al link(11) L. Perfetti, Brevi note sul nesso causale e la prevedibilità del danno, in Giur. it., 1983, 424, per tale autore, infatti, la prevedibilità è criterio "ragguagliato alla diligenza dell'uomo medio, al di là del quale non c'è colpa e perciò non si risponde di eventi lesivi, che pure siano conseguenze immediate e dirette del fatto umano e come tali legati ad esso da nesso causale giuridicamente rilevante". Secondo tale autore, inoltre, l'accoglimento di una teoria che giungesse alla "tendenziale coincidenza" tra i due criteri condurrebbe ad un arbitraria distinzione tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale. Considerata l'inapplicabilità dell'art. 1225 c.c. alla responsabilità extracontrattuale, il danno risarcibile risulterebbe limitato alle conseguenze immediate e dirette dell'evento dannoso in tale ultimo caso, mentre, al contrario, la responsabilità contrattuale si estenderebbe addirittura ai danni che siano conseguenza mediata ed indiretta della condotta, se prevedibili dall'agente.

Ritorna al link(12) G. Valcavi, op. cit., 11; secondo tale autore, infatti, la differenza tra i due principi si ricondurrebbe alla circostanza che "la causalità concernerebbe anche le conseguenze più remote, che sarebbero in definitiva risarcibili sulla base dell'art. 1223 c.c., mentre l'art. 1225 c.c. agirebbe da limite integrativo alle prime, riconducendo il risarcimento a quelle, tra loro, che sono prevedibili".

Ritorna al link(13) Cass. civ., 11 agosto 2004, n. 15559, in Rep. Foro it., 2004, voce Danni civili, n. 150; Cass. civ., 18 novembre 2003, n. 18239, in Rep. Foro it., 2003, voce Danni civili, n. 269; Cass. civ., 27 ottobre 2003, n. 16091, in Rep. Foro it., 2004, voce Danni civili, n. 148; Cass. civ., 16 maggio 1989, n. 2555, in Foro it., 1990, I, 1946; Cass. civ., 21 maggio 1993, n. 5778, in Giust. civ., 1993, 2963, con nota di M. Costanza, Sui danni conseguenti alla risoluzione del contratto preliminare; Cass. civ., 19 aprile 1997, n. 3395, in Rep. Foro it., 1997, voce Danni civili, n. 105.

Ritorna al link(14) V. Roppo, op. cit., 929; tale autore puntualizza come tuttavia non sia sempre agevole demarcare l'an dal quantum: se il depositario di quadri di valore può genericamente prevedere che gli oggetti depositati possano essere rubati e che ciò possa impedire al depositante di rivenderli, è difficilmente prevedibile che gli stessi quadri sarebbero dovuti essere alienati ad un museo disposto a corrispondere somme elevatissime per gli stessi. "In fattispecie del genere, v'è da chiedersi se l'elemento imprevedibile non sia, ancor prima della sua dimensione, la stessa esistenza del danno, consistente nella perdita di un affare dai contorni così specifici".

Ritorna al link(15) Tale Corte ha infatti ritenuto che il danno spettante alla parte inadempiente "doveva essere determinato in misura non maggiore di quello che, secondo una previsione di normale diligenza fondata su di un criterio di comune esperienza, sarebbe parso il più probabile nel momento in cui l'obbligazione, rimasta inadempiuta, era sorta".

Ritorna al link(16) In realtà un piccolo cambiamento va osservato: nel codice del 1865 si faceva riferimento al "tempo del contratto" mentre nel codice attuale al "tempo in cui è sorta l'obbligazione". Tale cambiamento va giustificato innanzitutto con l'esigenza di tenere conto anche delle obbligazioni che non hanno fonte nel contratto (C.M. Bianca, op. cit., 373). Alcuni autori (M. Lupoi, Il dolo del debitore nel diritto italiano e francese, Milano, 1969, 587) ritengono, al contrario, che tale modifica indichi l'intenzione del legislatore di non restringere l'ambito della norma ai soli casi di responsabilità contrattuale ma di ampliarlo ad ogni ipotesi di rapporto obbligatorio. In realtà la dottrina e la giurisprudenza dominante ritengono che l'art. 1225 c.c. vada applicato esclusivamente all'ambito contrattuale, non essendo la stessa norma richiamata, in materia di responsabilità aquiliana, dall'art. 2056 c.c. (I. Manza, Inadempimento di contratto e prevedibilità del danno risarcibile, in Danno resp., 2004, 860).

Ritorna al link(17) D. Barbero, Sistema di diritto privato italiano, Torino, 1968, 68; C.M. Bianca, op. cit., 381; G. Visintini, op. cit., 150 ss.; S.E. Pizzorno, La prevedibilità del danno contrattuale, in Giur. merito, 1990, 903; G. SMORTO, Il danno da inadempimento, Padova, 2005, 104. Ma contra v., G. Valcavi, op. cit., 11; G. VALCAVI, Una chiara puntualizzazione in tema di prevedibilità del danno da colpa contrattuale, in Riv. dir. civ., 1994, 756; A. De Cupis, Il danno, Milano, 1979, 330 ss.; V. Di Gravio, Prevedibilità del danno e inadempimento doloso, Milano, 1999, 151.

Ritorna al link(18) Cass. civ., 14 settembre 1963, n. 2510, in Foro it., 1963, I, 2099; v. anche Cass. civ., 21 maggio 1993, n. 5778, in Giust. civ., 1993, 2963. Tale ultima sentenza appare tuttavia contraddittoria e fuorviante in quanto identifica il momento rilevante per valutare la prevedibilità "con quello in cui al debitore si pone la scelta tra esatto adempimento ed inadempimento" pur fissando in seguito il giudizio con "il tempo in cui l'obbligazione è sorta".

Ritorna al link(19) Nei motivi della decisione gli stessi hanno affermato "[...] come è stato pure autorevolmente osservato dalla dottrina [...]".

Ritorna al link(20) V. Roppo, op. cit., 927; G. Depetro, in La prevedibilità come criterio d'individuazione del danno risarcibile, in Nuova giur. civ. comm., 1991, 62; C.M. Bianca, op. cit., 372.

Ritorna al link(21) C.M. Bianca, op. cit., 381; tale autore descrive come esempio particolarmente significativo il caso dei rapporti di lavoro subordinato, nei quali la prevedibilità del danno per l'inesecuzione della prestazione non può assolutamente essere riferita alla data di inizio del rapporto di lavoro.

Ritorna al link(22) La rilevanza operativa dell'art. 1225 c.c., infatti, si manifesta proprio nel caso in cui vi è uno scarto temporale tra il momento in cui sorge l'obbligazione e quello in cui si verifica l'inadempimento.

Ritorna al link(23) Sono immancabili, naturalmente, le differenze. In primo luogo, negli ordinamenti continentali, l'imputazione del danno contrattuale avviene sulla base della colpa, mentre in common law la colpa dell'inadempiente è indifferente. Inoltre, in maniera molto più rilevante per il tema qui in discussione, l'inadempimento volontario è, nei sistemi continentali, guardato con sfavore dal legislatore; la parte contraente non ha infatti scelta tra l'adempimento e l'inadempimento salvo nel caso in cui l'inadempimento sia determinato da cause estranee alla sua volontà come per cause di forza maggiore, impossibilità sopravvenuta, ecessiva onerosità sopravvenuta. Al contrario, l'atteggiamento incommon law è radicalmente opposto e può essere semplificato nel seguente dictum di Holmes (H. Collins,The path of law, 1897, in Harv. L. Rev., 42): "the duty to keep a contract at common law means a prediction that you must pay damages if you do not keep it − and nothing else". (v. G. Alpa-A. Giampieri, Analisi economica del diritto e analisi del metodo: la questione del danno contrattuale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1996, 717). Le ragioni del disfavore dei legislatori continentali sono così esemplificabili: (i) l'esigenza di confermare la vincolatività del contratto; (ii) l'esigenza di assicurare correttezza di traffici e commerci; (iii) l'esigenza di moralizzare il mercato secondo i principi di buona fede e fair dealing; (iv) l'esigenza di non gravare eccessivamente sui costi dell'operazione economica; (v) l'esecuzione in forma specifica è considerata non il rimedio residuale ma il rimedio naturale (G. Alpa-A. Giampieri, op. cit., 719).

Ritorna al link(24) Il leading case è costituito dal caso Hadley v. Baxendale nel quale la Court of Exchequer nel 1985 decise che la parte danneggiata può ottenere il risarcimento dei danni che sono la normale conseguenza dell'inadempimento. Tale principio fu così espresso: "where two parties have made a contract which one of them has broken, the damages which the other party ought to receive in respect of the such breach of contract should be as may fairly and reasonably be considered as either arising naturally, i.e., according to the usual course of things, from such breach of contract itself, or such as may reasonably be supposed to have been in the contemplation of both parties at the time they made the contract as the probable result of the breach of it". Per ulteriori spunti si veda: G. Frezza-F. Parisi, Responsabilità civile e analisi economica, Milano, 2006.

Ritorna al link(25) Ulteriore esempio di uniforme applicazione del principio della limitatezza dei danni derivanti da inadempimento contrattuale è fornito dalla Convenzione di Vienna (art. 74), dai Principi Unidroit (art. 7.4.4) e dai Principi di diritto europeo dei contratti (PECL) (art. 9:503).

Ritorna al link(26) R. Cooter-U. Mattei-P.G. Monateri-R. Pardolesi-T. Ulen, Il mercato delle regole, Bologna, 1999, 362 ss.

Ritorna al link(27) Il mercato di concorrenza perfetta è basato sul presupposto essenziale dell'assoluta trasparenza nell'informazione che, secondo la teoria classica, garantisce il raggiungimento dell'equilibrio. Per contro, l'esistenza di problemi informativi comporta delle deviazioni nello schema che porta all'equilibrio, ed è quindi un problema giuridico la tutela della parte meno informata, se non vengono introdotte nel contratto clausole che rendano difficili o impossibile l'uso opportunistico dell'informazione (D. Porrini, in A. Chiancone, Lezioni di analisi economica del diritto, Torino, 1998, 105 s.; O.E. Williamson, I costi transattivi e la disciplina del contratto, in G. Alpa, Analisi economica del diritto privato, Milano, 1998, 149 ss. Si veda inoltre C. Veljanovski, The Economics of Law, Londra, 2006, 62 ss.; R. Pardolesi-B. Tassone, I giudici e l'analisi economica del diritto privato, Bologna, 2003, 19 ss.).

Ritorna al link(28) R. Cooter-U. Mattei-P.G. Monateri-R. Pardolesi-T. Ulen, op. cit., 363; gli autori sottolineano come tuttavia nemmeno la comunicazione delle informazioni necessarie potrebbe portare ad una corretta allocazione dei rischi in quanto lo scambio delle informazioni potrebbe comunque condurre ad un aggravio dei costi maggiore rispetto ai benefici come, ad esempio, nel caso in cui l'attività del creditore fosse molto complessa.

Ritorna al link(29) L'individuazione di formali criteri di responsabilità per il mancato adempimento contrattuale, secondo il teorema di Coase, sarebbe inutile, nel caso in cui i costi di transazione fossero nulli, in quanto il libero funzionamento del mercato farebbe sì che le parti comunque possano raggiungere la soluzione efficiente attraverso, per esempio, meccanismi di assicurazione o, ancora, particolari strutture contrattuali. Tuttavia, non potendosi supporre i detti costi di transazione nulli, risulta necessario elaborare dei criteri, il più possibile efficienti per la collettività, per l'attribuzione della responsabilità. I criteri di attribuzione della responsabilità, infatti, consentono di ripartire le conseguenze dell'inadempimento tra le parti stabilendo, inoltre, le modalità con cui deve avvenire il risarcimento degli eventuali danni (A. Chiancone, op. cit., 67; A.T. Kronman, Errore e informazione nell'analisi economica del diritto contrattuale, in G. Alpa, op. cit., 172 ss.).

Ritorna al link(30) Anche l'inadempimento può essere efficiente nel caso in cui il costo del risarcimento del danno sia inferiore all'utilità attesa dal debitore nel caso di mancata esecuzione del contratto.