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DANNI Prevedibili

OBBLIGAZIONI E CONTRATTI Contratto preliminare (compromesso)

PROVA NEL GIUDIZIO CIVILE In genere

DANNI In genere

OBBLIGAZIONI E CONTRATTI Inadempimento responsabilita' del debitore

Cassazione civile , sez. II, 30 gennaio 2007, n. 1956

REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SPADONE Mario - Presidente -
Dott. MALZONE Ennio - Consigliere -
Dott. GOLDONI Umberto - Consigliere -
Dott. TROMBETTA Francesca - Consigliere -
Dott. MAZZACANE Vincenzo - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
B.R., elettivamente domiciliata in ROMA VIA MARIA
CRISTINA 8, presso lo studio dell'avvocato GOBBI GOFFREDO, che la
difende unitamente all'avvocato LUCA STANGHELLINI, giusta delega in
atti;
- ricorrente -
contro
P.F., B.A.;
- intimati -
e sul 2^ ricorso n. 13235/2002 proposto da:
P.F., B.A., elettivamente domiciliati in
ROMA VIA TIGRE' 37, presso lo studio dell'avvocato CAFFARELLI
FRANCESCO, che li difende unitamente all'avvocato ALBERTO CHIARELLI,
giusta delega in atti;
- controricorrenti e ricorrenti incidentali -
contro
B.R.;
- intimata -
avverso la sentenza n. 469/2001 della Corte d'Appello di FIRENZE,
depositata il 01/03/2001;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del
04/11/2005 dal Consigliere Dott. Vincenzo MAZZACANE;
udito l'Avvocato GOBBI Alfredo, difensore della ricorrente che ha
chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito l'Avvocato CHIARELLI, difensore del resistente che ha chiesto
il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
SGROI Carmelo, che ha concluso per rigetto di entrambi i ricorsi.


Fatto

Con atto di citazione del 15.6.1990 B.R. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Siena P.D. chiedendone la condanna, previo pronuncia di risoluzione contrattuale per inadempimento, al risarcimento del danno derivato dalla mancata esecuzione di un contratto preliminare con il quale il P.D. si era obbligato a vendere alla B.R. per il prezzo di L. 8.000.000, di cui 5.000.000 ricevute come caparra confirmatoria alla stipula del preliminare stesso, un magazzino sito in (OMISSIS), da consegnare completo di rifiniture come se fosse destinato a civile abitazione.
L'attrice esponeva che, sollecitato all'adempimento, il P.D. aveva risposto di non poterlo fare perchè la moglie, comproprietaria dell'immobile, non consentiva alla vendita, e che, non presentatosi all'appuntamento fissatogli davanti al notaio in data 15.12.1989, egli aveva inviato qualche tempo dopo, a tacitazione di ogni pretesa, la somma di L. 10.000.000 pari al doppio della caparra ricevuta, somma che l'istante aveva rifiutato in quanto i danni conseguenti al suddetto inadempimento sarebbero stati superiori all'importo della caparra.
Il convenuto costituitosi in giudizio contestava la pretesa della B.R. assumendo che la valutazione del danno doveva essere rapportata al valore dell'immobile al tempo "del dovuto adempimento" e non a quello della insorgenza della causa.
Il Tribunale con sentenza del 26.3.1997, ritenuto l'adempimento del P.D., lo condannava al risarcimento del danno liquidato in L. 5.000.000 a titolo di restituzione dell'acconto ricevuto oltre interessi legali dalla data del preliminare, L. 2.800.000 quale differenza tra il valore dell'immobile al tempo in cui l'atto di vendita avrebbe dovuto essere stipulato (15.12.1989, giorno dell'appuntamento fissato davanti al notaio dal promissario acquirente) ed il prezzo concordato, oltre interessi legali sempre dal 15.12.1989, e L. 8.800.000 pari al presumibile reddito locativo dell'immobile dal gennaio 1990 all'aprile 1997, mese successivo alla deliberazione della sentenza, in ragione di un canone presunto di L. 100.000 mensili, con gli interessi legali delle progressive scadenze.
Proposto gravame da parte della B.R. cui resisteva P. F. quale erede di P.D. nel frattempo deceduto mentre l'altra erede B.A. restava contumace, la Corte di Appello di Firenze con sentenza del 1.3.2001, rigettando l'appello principale ed accogliendo parzialmente quello incidentale, ha condannato il P.D. e la B.A. in solido a restituire alla B.R. la somma di L. 5.000.000 oltre gli interessi legali maturati dal 15.12.1989 al 10.4.1990, a versare alla B.R. a titolo di risarcimento del danno la somma di L. 2.800.000 oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal 15.12.1989 al soddisfo, se già avvenuto, ed ha condannato la B.R. a restituire al P.D. ed alla B.A. quanto eventualmente percepito per effetto della esecutorietà della impugnata sentenza in eccedenza rispetto agli importi come sopra determinati.
Il giudice di appello ha premesso in diritto che la parte che chiede la risoluzione del contratto preliminare di compravendita immobiliare per inadempimento del promittente venditore ha diritto, oltre alla restituzione della somma eventualmente pagata in acconto sul prezzo con i relativi interessi, anche al risarcimento del danno pari a quel vantaggio economico che, secondo quanto era prevedibile al momento della stipulazione dell'accordo, l'adempimento gli avrebbe procurato;
in tale contesto l'immobile oggetto del preliminare doveva essere valutato secondo le condizioni in cui avrebbe dovuto essere consegnato, e pertanto corredato di quelle rifiniture che il promittente venditore si era impegnato ad eseguire, mentre restavano irrilevanti le trasformazioni successive e gli sbalzi di valore, positivi o negativi, non prevedibili al tempo del preliminare.
Sulla base di tali premesse la Corte territoriale ha escluso che al tempo della stipulazione del preliminare del 24.3.1988 relativo al suddetto magazzino si potesse prevedere il vertiginoso incremento di valore degli immobili nella zona del (OMISSIS), cosicchè doveva ritenersi che le conclusioni della consulenza tecnica d'ufficio, che aveva ravvisato in quel lasso di tempo di circa un anno e mezzo intercorso tra la stipula del preliminare e la data prevista per il rogito (15.12.1989) il maturarsi di una differenza di L. 2.800.000 tra valore e prezzo, pari ad oltre il 35% di quest'ultimo, non erano distanti, per difetto o per eccesso, non solo dalla realtà previsionale, ma anche da quella effettiva. La sentenza impugnata ha pertanto ritenuto che, allorchè in data 10.4.1990 P.D., per evitare l'insorgere di una controversia, aveva offerto, oltre alla restituzione dell'acconto ricevuto, l'ulteriore somma di L. 5.000.000 a titolo di risarcimento, il danno che la B.R. avrebbe potuto lamentare non era superiore a tale importo, considerato l'aumento di valore del magazzino riferito al momento in cui si sarebbe dovuto stipulare l'atto pubblico, essendo tale incremento pari a sole L. 2.800.000; conseguentemente l'offerta suddetta era stata illegittimamente rifiutata dalla B.R.;
tuttavia doveva pur sempre tenersi conto delle conclusioni di P.F., che aveva chiesto di limitare il risarcimento del danno da lucro cessante alla somma di L. 2.800.000 maggiorata di interessi e rivalutazione monetaria.
Per la cassazione di tale sentenza la B.R. ha proposto un ricorso articolato in otto motivi cui P.F. ed B. A. hanno resistito con controricorso proponendo altresì ricorso incidentale basato su due motivi; la B.R. ha successivamente depositato una memoria.

Diritto

Preliminarmente deve procedersi alla riunione dei ricorsi in quanto proposti contro la medesima sentenza. Procedendo quindi all'esame del ricorso principale, si osserva che con il primo motivo la B. R., deducendo violazione e falsa applicazione degliarticoli 1223 e 1225 c.c. in relazione all'art. 1453 c.c. censura la sentenza impugnata per aver escluso che l'inadempimento del P.D. fosse dovuto a dolo e per aver conseguentemente negato la risarcibilità del danno imprevedibile; la B.R. assume che il giudice di appello non ha considerato, ai fini della configurabilità del dolo del P.D., che quest'ultimo, allorchè aveva sottoscritto con l'esponente in data 24.8.1988 il preliminare per cui è causa, non era ancora proprietario dell'immobile promesso in vendita a lui ed alla moglie B.A. dalla s.r.l. La Castellina, e che soltanto il 4.4.1990 ne era divenuto proprietario esclusivo avendo acquistato dal coniuge la quota pari all'altra metà della proprietà del bene; pertanto sussisteva il dolo del P.D., che aveva dapprima stipulato una promessa di vendita di beni altrui e che successivamente si era posto nella materiale e giuridica impossibilità di adempiere la propria obbligazione, nonostante la possibilità di adempimento sia pure tardivo, posto che l'esponente aveva proposto la domanda di risoluzione contrattuale soltanto nel giugno del 1990.
La censura è inammissibile.
La sentenza impugnata ha affermato, riguardo alla limitazione del risarcimento al danno prevedibile, che la B.R. non aveva dedotto nè tantomeno provato un inadempimento doloso da parte del P.D.; orbene la ricorrente principale incentra i suoi rilievi soltanto su questa seconda affermazione del giudice di appello, prospettando in proposito questioni di fatto non trattate nella sentenza impugnata, ovvero che il P.D. aveva stipulato una promessa di vendita di bene altrui e che poi si era volutamente posto nella impossibilità di adempiere all'obbligazione assunta nei confronti della B.R.; pertanto la censura è inammissibile in quanto solleva questioni nuove che implicano accertamenti di fatto.
Con il secondo motivo la ricorrente principale, denunciando violazione e falsa applicazione degli articoli 1223 e 1225 c.c. in violazione all'art. 1453 c.c., censura la sentenza impugnata per aver individuato il momento iniziale cui riferire la prevedibilità del danno al tempo della conclusione del contratto preliminare; invece tale prevedibilità avrebbe dovuto essere ricollegata all'epoca in cui erano divenuti attuali gli obblighi delle singole prestazioni, posto che solo in tale momento il debitore è in grado di valutare le prevedibili conseguenze del suo eventuale inadempimento.
Con il quarto motivo la ricorrente principale, deducendo insufficiente e contraddittoria motivazione, assume che il giudice di appello, dopo aver ritenuto imprevedibile l'incremento di valore dell'immobile oggetto del preliminare per cui è causa sopravvenuto nell'anno 1995, ha determinato il danno alla data in cui avrebbe dovuto essere stipulato il contratto definitivo (15.12.1989); la B.R. ritiene che, avendo la sentenza impugnata individuato il termine finale necessario per determinare la differenza di valore del bene alla suddetta data, non è comprensibile in base a quale regola giuridica e logica sia stato valutato se al tempo del preliminare fosse prevedibile il valore assunto dal bene nell'anno 1995.
Le enunciate censure, da esaminare contestualmente per ragioni di connessione, sono fondate.
La Corte territoriale ha ritenuto che il danno spettante alla B.R. doveva essere determinato in misura non maggiore di quello che, secondo una previsione di normale diligenza fondata su di un criterio di comune esperienza, sarebbe parso il più probabile nel momento in cui l'obbligazione, rimasta inadempiuta, era sorta, e quindi con riferimento al vantaggio economico che, secondo quanto era prevedibile al momento della stipulazione dell'accordo, l'adempimento del P.D. le avrebbe procurato.
Tale orientamento non è condivisibile posto che, come è stato pure autorevolmente osservato dalla dottrina, il collegamento della prevedibilità del danno al tempo della insorgenza del rapporto obbligatorio non tiene conto del periodo di tempo a volte anche lungo intercorrente da quel momento a quello della esecuzione dell'obbligazione; invero, mentre non sussistono valide ragioni per attribuire rilevanza, ai fini della prevedibilità del danno, ad un tempo - quello delle nascita dell'obbligazione - in cui è difficile che il debitore sia consapevole delle conseguenze di un suo futuro ed eventuale inadempimento, è invece sicuramente più significativo il momento in cui il debitore, dovendo dare esecuzione alle obbligazioni assunte e potendo scegliere tra adempimento e inadempimento, è in grado di apprezzare più compiutamente e quindi di prevedere il pregiudizio che il creditore potrà subire per effetto del suo comportamento inadempiente.
Conseguentemente merita accoglimento anche il quarto motivo di ricorso riguardante la prevedibilità del danno al momento della stipulazione del contratto preliminare, essendosi l'inadempimento verificatosi soltanto con la mancata conclusione del contratto definitivo. Con il terzo motivo la ricorrente principale, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 115 c.p.c., rileva che la Corte territoriale ha posto a base della sua decisione una inesatta nozione del fatto notorio, ovvero l'incremento vertiginoso di valore negli ultimi anni degli immobili siti nella zona del (OMISSIS);
invero tra le nozioni di comune esperienza non possono essere ricomprese le acquisizioni specifiche di natura tecnica come il valore di un immobile, che quindi doveva essere determinato sulla base sia delle risultanze della espletata consulenza tecnica d'ufficio sia del prezzo di L. 5.000.000 dichiarato nel contratto di vendita conclusosi il 4.9.1995 dal successivo proprietario I. R..
La censura è fondata.
Il giudice di appello, nel configurare fatto notorio il mutevole aumento di valore negli ultimi anni degli immobili compresi nella zona del (OMISSIS), non ha considerato che il fatto notorio, derogando al principio dispositivo delle prove ed al principio del contraddittorio, deve essere inteso in senso rigoroso, ovvero come fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire incontestabile; pertanto tra le nozioni di comune esperienza non possono farsi rientrare le acquisizioni specifiche di natura tecnica e quegli elementi valutativi che richiedono il preventivo accertamento di particolari dati come la determinazione del valore corrente degli immobili, trattandosi di valore variabile nel tempo e nello spazio, anche nell'ambito dello stesso territorio, in relazione alle caratteristiche dei beni stessi (Cass. 28.3.1997 n. 2808; Cass. 9.7.1999 n. 7181).
Con il quinto motivo la B.R., deducendo omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, censura la sentenza impugnata per aver determinato il valore dell'immobile oggetto del preliminare sopra menzionato aderendo alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio ingegnere C., in realtà non condivisibili in quanto quest'ultimo si era limitato ad aggiungere al valore del bene alla data del 24.8.1988 (L. 7.200.000) quello corrispondente alle spese relative ai lavori di ristrutturazione per L. 3.500.000; in tal modo il consulente tecnico d'ufficio, nel valutare l'immobile ristrutturato, non aveva tenuto conto che a seguito delle suddette opere di rifacimento un vecchio locale adibito a legnaia era stato trasformato in casa destinata a civile abitazione.
Con il sesto motivo la ricorrente principale, denunciando violazione e falsa applicazione degli articoli 1223 e 1225 c.c. in relazione all'art. 1453 c.c. censura la sentenza impugnata per avere determinato il risarcimento del danno subito dalla esponente con esclusivo riguardo al valore del bene ristrutturato, senza alcun riferimento agli aumenti prevedibili del valore dell'immobile verificatisi successivamente all'anno 1988, dopo l'esecuzione dei sopra richiamati lavori di ristrutturazione.
Le enunciate censure, da esaminare contestualmente in quanto connesse, restano assorbite.
Invero gli accertamenti fatti dal consulente tecnico d'ufficio relativi all'importo delle spese di ristrutturazione suddette, riguardando una componente del danno prevedibile, avrebbero dovuto tener conto di tale ristrutturazione, per quanto sopra esposto in sede di esame del secondo e del quarto motivo di ricorso, con riferimento al valore dell'immobile al tempo in cui si era verificato l'inadempimento del P.D. alle obbligazioni assunte.
Con il settimo motivo la B.R., deducendo violazione degli articoli 1220, 1223, 1225 e 1453 c.c. nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione, censura la sentenza impugnata per aver determinato il danno subito dall'esponente con riferimento alla data del 15.12.1989, omettendo di considerare il successivo aumento di valore dell'immobile oggetto di preliminare per cui è causa alla data dell'offerta non formale posta in essere dal P.D. (ovvero il 10.4.1990) e ritenuta congrua dallo stesso giudice di appello.
Anche tale censura resta assorbita all'esito dell'accoglimento del secondo motivo di ricorso. Con l'ottavo motivo la ricorrente principale, denunciando violazione e falsa applicazione degli articoli 1223 e 1225 c.c. in relazione all'art. 1453 c.c., afferma che erroneamente il giudice di appello ha individuato il termine finale utile per la determinazione del danno all'epoca della proposizione della domanda di risoluzione proposta dalla esponente, escludendo quindi dal risarcimento l'aumento di valore dell'immobile successivo a tale data; pertanto il danno in questione avrebbe dovuto essere determinato quantomeno con riferimento all'epoca della decisione di primo grado.
La censura è infondata.
Secondo l'orientamento ormai consolidato di questa Corte il risarcimento del danno dovuto al promissario acquirente per la mancata stipulazione del contratto definitivo di vendita di un bene immobile, imputabile al promittente venditore, consiste nella differenza tra il valore commerciale del bene medesimo al momento della proposizione della domanda di risoluzione del contratto (ovvero al tempo in cui l'inadempimento è divenuto definitivo) ed il prezzo pattuito (Cass. S.U. 25.7.1994 n. 6938; Cass. 7.2.1998 n. 1298; Cass. 17.11.2003 n. 17340; Cass. 29.11.2004 n. 22384).
Nè è fondato il rilievo della ricorrente secondo cui tale orientamento precluderebbe al danneggiato di essere risarcito dei danni verificatisi successivamente al momento della domanda di risoluzione contrattuale: infatti l'importo come sopra determinato è suscettibile di rivalutazione al tempo della liquidazione dell'indicato danno per compensare gli effetti della svalutazione monetaria intervenuta nelle more del giudizio (Cass. S.U. 25.7.1994 N. 6938), sempre che, naturalmente, sussista la mora del debitore e dunque quest'ultimo non abbia in precedenza fatto offerta della prestazione dovuta.
Deve poi osservarsi che la B.R. nella memoria depositata ex art. 378 c.p.c. deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 2909 c.c., artt. 324, 325, 339 e 342 c.p.c. per avere il giudice di appello omesso di rilevare d'ufficio il giudicato interno formatosi nei confronti della appellante contumace B.A. sul motivo dell'appello incidentale proposto da P.F. accolto con la sentenza impugnata; la ricorrente principale in proposito sostiene di essere stata condannata a restituire sia al P.D. che alla B.A. quanto percepito per effetto della esecutorietà della sentenza di primo grado non avendo considerato che l'appello incidentale con il quale era stata richiesta questa statuizione era stato proposto soltanto da P.F., cosicchè la Corte territoriale, accogliendo tale impugnazione, e limitando quindi il risarcimento spettante alla B.R. alla somma di L. 2.800.000 oltre interessi e rivalutazione con esclusione del danno da mancato reddito locativo, non poteva estendere gli effetti di tale accoglimento alla appellata contumace B.A.;
pertanto la sentenza del Tribunale di Siena del 26.3.1997 era passata in giudicato quanto ai rapporti tra l'esponente e la B.A..
L'eccezione proposta è infondata.
Invero, pur dovendosi osservare che la deduzione di giudicato interno sollevata con la suddetta memoria della ricorrente principale è ammissibile in quanto tendente a sollecitare i poteri d'ufficio in proposito spettanti anche al giudice di legittimità, deve tuttavia disattendersi l'eccezione medesima in quanto generica. Infatti, con riferimento alla statuizione della sentenza impugnata riguardante la condanna della B.R. a restituire alla B.A. (oltre che al P.D.) quando eventualmente percepito, per effetto delle esecutorietà della sentenza di primo grado, in eccedenza rispetto agli importi dovuti alla B.R. medesima come liquidati ai precedenti capi 1 e 2 della sentenza, si rileva che la ricorrente principale neppure ha dedotto se avesse o meno effettivamente percepito un determinato importo di denaro all'esito del giudizio di primo grado, cosicchè non è possibile in questa sede apprezzare se la B.R. fosse concretamente tenuta (ed eventualmente in quale misura) a restituire alla B.A. una somma di denaro corrispondente alla differenza tra quanto ricevuto in base alla esecutorietà della sentenza di primo grado e quanto ad essa spettante all'esito della sentenza di appello, e dunque se abbia o meno interesse a sollevare l'eccezione in oggetto.
Venendo quindi all'esame del ricorso incidentale, si osserva che con il primo motivo il P.D. e la B.A. deducono l'erronea compensazione delle spese del primo e del secondo grado di giudizio in quanto tale statuizione non è giustificata dalla totale soccombenza della B.R..
Con il secondo motivo i ricorrenti incidentali assumono che la sentenza impugnata, pur avendo ritenuto fondati gli assunti difensivi svolti dagli esponenti, ha peraltro applicato la rivalutazione e gli interessi sul danno da lucro cessante liquidato, e non ha quindi accolto il motivo formulato con l'appello incidentale con il quale il P.D. aveva chiesto che il valore dell'immobile per cui è causa fosse determinato in L. 8.000.000 con esclusione degli interessi.
Entrambe le enunciate censure restano assorbite all'esito del parziale accoglimento del ricorso principale.
In definitiva quindi la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione all'accoglimento per quanto di ragione del ricorso principale, e la causa deve essere rinviata per un nuovo esame ad altra sezione della Corte di Appello di Firenze che provvedere anche alla pronuncia sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M

LA CORTE Riunisce i ricorsi, accoglie per quanto di ragione il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Firenze.
Così deciso in Roma, il 4 novembre 2005.
Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2007

Codice Civile (1942) art. 1223
Codice Civile (1942) art. 1225
Codice Civile (1942) art. 1351
Codice Civile (1942) art. 1453
Codice Procedura Civile art. 115



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