La giurisdizione e la competenza inderogabile

 

1. La collocazione di questa mia relazione in apertura della sessione precipuamente dedicata alla più *concreta ed analitica disciplina dello svolgimento del giudizio amministrativo – o, quanto meno, di alcuni aspetti dello stesso – e lo stesso accostamento dei temi relativi alla giurisdizione ed alla competenza trovano giustificazione nello loro comune riconducibilità alla categoria delle “questioni pregiudiziali” che - ai sensi dell’art. 276, co. 2, cod. proc. civ., espressamente richiamato dall’ultimo comma dell’art. 76 cod. proc. amm. - devono essere risolte prioritariamente rispetto al “merito della causa”, nonché – per considerazioni di ordine logico - anche rispetto ad eventuali ulteriori questioni pregiudiziali.

La giurisprudenza ha, infatti, chiarito che esse siano le prime questioni che devono essere affrontate, in quanto “Con la declaratoria di difetto di giurisdizione il giudice definisce e chiude il giudizio, con la conseguenza che le considerazioni di merito ovvero quelle attinenti ad altre questioni pregiudiziali, ma logicamente posposte a quelle della giurisdizione, che comunque egli abbia svolto, restano irrimediabilmente fuori dalla decisione, non tanto perché non trovano sbocco nel dispositivo, che potrebbe al limite considerarsi integrabile con la motivazione, quanto per l'assorbente ragione che dette valutazioni provengono da un giudice che, con la declaratoria (pregiudiziale sotto il profilo logico) di difetto di giurisdizione, si è già spogliato della potestas iudicandi in relazione alla fattispecie controversa;”. In conseguenza di ciò  il Consiglio Stato (sez. V, 1° marzo 2010 , n. 1156) ha ritenuto ammissibile l'impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale, mentre ha ritenuto inammissibile, per difetto di interesse, l'impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta ad abundantiam nella sentenza gravata. Parimenti T.A.R. Lazio, Roma (sez. III, 3 dicembre 2009 , n. 12409) ha affermato che “La questione relativa alla sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo va esaminata prioritariamente, a prescindere dall'ordine delle eccezioni dato dalla parte e ciò in quanto la carenza di giurisdizione inibisce al giudice anche di verificare la legittimazione attiva dei concorrenti o passiva delle parti evocate in giudizio, così come la tempestività o ammissibilità dei vizi dedotti. Infatti, le statuizioni sul rito costituiscono manifestazione di potere giurisdizionale, di pertinenza esclusiva del giudice dichiarato competente a conoscere della controversia.”.

Ulteriore giustificazione del loro accostamento nell’ambito della medesima relazione discende dal tendenziale parallelismo che contraddistingue nel Codice del processo amministrativo il regime della giurisdizione e quello, del tutto innovativo, della competenza ora inderogabile, nonché l’applicabilità ad entrambe le questioni della previsione di cui all’ultimo comma dell’art. 73 cod. proc. amm., secondo la quale “Se ritiene di porre a fondamento della sua decisione una questione rilevata d’ufficio, il giudice la indica in udienza dandone atto a verbale. Se la questione emerge dopo il passaggio in decisione, il giudice riserva quest’ultima e con ordinanza assegna alle parti un termine non superiore a trenta giorni per il deposito di memorie.  [1].

Si tratta di norma – finalizzata ad impedire le c.d. “decisioni a sorpresa” - che, sebbene collocata all’interno di un Capo riguardante l’Udienza pubblica, non può non trovare applicazione anche nella sede camerale sia in quanto ne è espressamente prevista l’applicazione nella sede camerale d’appello (art. 62, co. 4, Codice) sia in quanto espressione ed attuazione del principio generale del contraddittorio e del giusto processo (art. 2 cod. proc. amm.) nonchè codificazione di affermazioni giurisprudenziali già poste in essere dal Consiglio di Stato (A.p. 24.01.2000 n. 1 e sez. IV, 14.04.2010 n. 2079) sebbene non con carattere di assoluta uniformità (Cons. Stato, VI, 23.03.2009 n. 1712 e 24.06.2006 n. 4041, sulla facoltatività della comunicazione e sulla natura non viziante dell’omissione)   [2].

I limiti propri di una relazione orale giustificano una certa sinteticità/sommarietà della trattazione delle tematiche affidate, tesa più ad evidenziare gli aspetti di novità che alla analitica ricostruzione dello “stato dell’arte”.

 

La Giurisdizione.

2. Il tema della giurisdizione del giudice amministrativo era sicuramente tra quelli più bisognosi di un intervento chiarificatore, e di consolidamento della disciplina, dopo la tormentata vicenda che, prese le mosse dagli artt. 33 e 34 D.Lgs. n. 80/1998 e dalla l. n. 205/2000, aveva trovato un solo apparente epilogo con le sentenze della Corte costituzionale n. 204/2004 e n. 191/2006.

Ridimensionata ad opera delle citate pronunzie costituzionali l’attribuzione di giurisdizione operata dal legislatore ordinario in favore del G.A. secondo la tecnica dei c.d. “blocchi omogenei di materie”, si erano infatti aperti tra il giudice amministrativo e le Sezioni Unite della Corte di Cassazione due ulteriori fronti di conflittualità ed incertezza:

a)      quello relativo alla c.d. “pregiudizialità amministrativa”, dalle Sezioni Unite (13.06.2006 n. 13660 e 23.12.2008 n. 30254; contra, Cons. Stato, Ad. Plen., 22.10.2007 n. 12) “trasformato” in “questione di giurisdizione” in nome del principio della effettività della tutela giurisdizionale, con alcune pronunzie contrastanti rispetto ad affermazioni, probabilmente non a caso, operate dalla stessa Corte Costituzionale (per Corte Costituzionale, 12 marzo 2007 , n. 77 “perfino il supremo organo regolatore della giurisdizione, la Corte di cassazione, con la sua pronuncia può soltanto, a norma dell'art. 111, comma ottavo, Cost., vincolare il Consiglio di Stato e la Corte dei conti a ritenersi legittimati a decidere la controversia, ma certamente non può vincolarli sotto alcun profilo quanto al contenuto (di merito o di rito) di tale decisione”);

b)      quello relativo alla sorte del contratto successivamente all’annullamento giurisdizionale del provvedimento di aggiudicazione; come è noto la giurisprudenza amministrativa aveva inizialmente ritenuto il contratto a vario titolo caducabile, quale effetto sostanzialmente conseguenziale all’annullamento dell’aggiudicazione e nell’ambito della previsione di giurisdizione esclusiva di cui all’art. 6 l. n. 205/200; la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione aveva invece ritenuto le controversie sulla sorte del contratto rientranti nell’ambito della giurisidizione ordinaria in quanto aventi ad oggetto una vicenda contrattuale relativa a diritti soggettivi (S.U. 18 luglio 2008 n. 19805 e 28 dicembre 2007 n. 27169); mentre l’ultimo approdo della giurisprudenza amministrativa (Ad. Plen. n. 9 del 30 luglio 2008) aveva riconosciuto l’appartenenza alla giurisdizione del giudice ordinario, e non già a quella esclusiva del giudice amministrativo, della domanda volta ad accertare - con efficacia di giudicato - l'avvenuta caducazione del contratto d'appalto a seguito dell'annullamento in sede giurisdizionale dell'aggiudicazione, ma aveva spostato alla sede dell’ottemperanza, l'esame delle istanze risarcitorie per equivalente o in forma specifica del concorrente pretermesso, in ipotesi di mancato adeguamento dell’amministrazione al disposto annullamento dell’aggiudicazione, ritenendo che in quella sede il giudice amministrativo - nell'esercizio della sua giurisdizione di merito - ben poteva sindacare in modo pieno e completo l'attività dell'amministrazione o anche il suo comportamento omissivo, adottando tutte le misure (direttamente o per il tramite il commissario ad acta) necessarie ed opportune per dare esatta ed integrale esecuzione alla sentenza e per consentire una corretta riedizione del potere amministrativo, ivi compresa anche quella di disporre la sostituzione dell'aggiudicatario, quale "reintegrazione in forma specifica" del soggetto che ha ottenuto la statuizione di annullamento).

Non è questa la sede per ricostruire tutti i passaggi – legislativi e giurisprudenziali – che si sono susseguiti in tema di riparto di giurisdizione durante questi ultimi 10/12 anni (probabilmente sarebbe necessario dedicarvi tutto un intero convegno “storico”); è però necessario averne consapevolezza al fine di comprendere appieno le motivazioni per le quali la legge di delega al Governo per il “riassetto della disciplina del processo amministrativo” (art. 44, l. 18.06.2009 n. 69) abbia espressamente previsto un intervento sulle azioni e le funzioni del giudice amministrativo: a) riordinando le norme vigenti sulla giurisdizione del giudice amministrativo, anche rispetto alle altre giurisdizioni; b)  riordinando i casi di giurisdizione estesa al merito, anche mediante soppressione delle fattispecie non più coerenti con l’ordinamento vigente; c)  disciplinando, ed eventualmente riducendo, i termini di decadenza o prescrizione delle azioni esperibili e la tipologia dei provvedimenti del giudice.

Il Codice dedica così alla giurisdizione gli articoli da 7 a 12 del capo III del Libro primo, nei quali detta la disciplina “generale”,  nonché gli articoli 133 e 134 del Libro quinto, che contengono il catalogo – purtroppo già superato alla data di entrata in vigore del Codice – delle materie di giurisdizione esclusiva (art. 133) ed estesa al merito (art. 134).

2.1. L’art. 7 assolve ad una duplice funzione: quella di dettare il “perimetro esterno” della giurisdizione amministrativa, e quindi di indicarne la linea di confine rispetto a quella del giudice ordinario (commi 1 e 2), e quella di distinguere e qualificare, all’interno di quel perimetro, i diversi ambiti della giurisdizione generale di legittimità, della giurisdizione esclusiva e della giurisdizione con cognizione estesa al merito (commi da 3 a 6).

2.1.a. Ai fini della c.d. “perimetrazione esterna” il primo comma dell’articolo richiama – né avrebbe potuto fare altrimenti - il criterio costituzionale di riparto dettato dall’art. 103 Cost., fondato sulla posizione giuridica soggettiva per la quale si chiede tutela (dicotomia diritto soggettivo – A.G.O. e interesse legittimo – G.A.) alla quale si aggiungono le “particolari materie indicate dalla legge” che integrano le ipotesi di giurisdizione esclusiva ricomprendente anche i diritti soggettivi.

Il richiamo risulta, però, esplicitato ed attualizzato nei termini precisati dalle sentenze nn. 204/2004 e 191/2006 della Corte Costituzionale: “Sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni.”

Il secondo comma introduce, invece, un “ampliamento soggettivo” al detto criterio di riparto specificando che “Per pubbliche amministrazioni, ai fini del presente codice, si intendono anche i soggetti ad esse equiparati o comunque tenuti al rispetto dei principi del procedimento amministrativo”. Il richiamo appare operato alla figura dei c.d. organismi di diritto pubblico e, più in generale ai “soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative” che, ai sensi del co. 1-ter dell’art. 1 della l. n. 241/1990 ”assicurano il rispetto dei criteri e dei principi di cui al comma 1 e, quindi, del procedimento amministrativo.

Può - in buona sostanza e tornando al punto di vista oggettivo - dirsi che risulta confermato come la giurisdizione amministrativa sussista lì dove vi sia il collegamento – anche mediato - con l’esercizio, o il mancato esercizio, del potere pubblico estrinsecantesi nell’adozione, o mancata adozione,  di provvedimenti, atti, accordi e comportamenti.

Siffatta formulazione del criterio generale di riparto rinvia alla tematica della carenza di potere e, in particolare, alla distinzione tra carenza di potere in astratto (amministrazione totalmente priva del potere per incompetenza assoluta o, addirittura, inesistenza del potere in capo a qualsiasi plesso amministrativo) e carenza di potere in concreto (ipotesi di impossibilità dell’esercizio del potere, pur astrattamente spettante, per mancanza dei requisiti legali previsti).

Si tratta della tematica la cui applicazione alla materia espropriativa ha condotto ad esiti opposti la Corte di Cassazione (che ha ritenuto la piena tutelabilità avanti all’A.G.O. del diritto di proprietà non scalfito dai provvedimenti espropriativi adottati in assenza, o dopo la scadenza, dei termini della procedura espropriativa, in quanto nulli) ed il Consiglio di Stato (che ha invece ritenuto che l’atto espropriativo adottato in assenza, o dopo la scadenza, dei termini della procedura espropriativa fosse illegittimo ed annullabile, ma destinato a consolidarsi in ipotesi di mancata tempestiva impugnativa).

Deve, però, ritenersi ed auspicare che la piena attribuzione/concentrazione al G.A. dei poteri risarcitori, con contestuale superamento della c.d. “pregiudiziale amministrativa” (art. 30 Codice),  possa indurre la Corte di Cassazione a ritenere venute meno quelle esigenze di tutela delle ragioni private che l’avevano indotta a formulare la categoria della carenza di potere in concreto al fine di ritenere l’inidoneità degli atti affetti da tale vizio ad incidere sul diritto soggettivo del privato ed aprire così la strada alla propria giurisdizione ed alla tutela risarcitoria pur in presenza di atti/provvedimenti amministrativi. (Per Consiglio di Stato, V, 6 dicembre 2010 , n. 8550: Ai sensi e per gli effetti delle disposizioni di cui agli artt. 30 e 34 co. 1, lett. c), 2 e 3, D.Lgs. 2 luglio 2010 n. 104 (Codice del processo amministrativo), deve ritenersi ormai superata la questione dell'ammissibilità dell'azione risarcitoria proposta in via autonoma, poiché il sistema delineato dal nuovo Codice del processo amministrativo ha eliminato ogni ostacolo in merito, con particolare riferimento alla necessità di un preventivo annullamento dell'atto impugnato. Infatti, il Codice del processo amministrativo, consente oggi non solo la proponibilità dell'azione risarcitoria in via autonoma, sebbene subordinata al termine decadenziale di 120 giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo,ma consente altresì al ricorrente che non abbia più interesse all'annullamento del provvedimento impugnato di chiedere al giudice l'accertamento dell'illegittimità dell'atto se sussiste l'interesse a fini risarcitori.).

E ciò anche alla luce dell’ulteriore “presidio” alla integrità della giurisdizione amministrativa costituito dall’ultimo comma dell’art. 30 del Codice, secondo il quale “Di ogni domanda di condanna al risarcimento di danni per lesioni di interessi legittimi o, nelle materie di giurisdizione esclusiva, di diritti soggettivi conosce esclusivamente il giudice amministrativo”.

In buona sostanza, deve ritenersi attratta alla giurisdizione amministrativa, generale di legittimità e/o esclusiva, ogni attività posta in essere dall’amministrazione che possa essere qualificata quale manifestazione, anche patologica (id est, attività esecutiva di un atto/provvedimento illegittimo), di un potere amministrativo, rimanendone invece esclusa la sola “via di fatto”. 

2.1.b. Ai fini della articolazione interna della giurisdizione amministrativa il comma 3 ripropone la tradizionale distinzione in giurisdizione generale di legittimità, esclusiva ed estesa al merito; aggiornata, però, agli sviluppi della “giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori” in assolvimento dello scopo indicato dalla legge delega (art. 44, co. 1 della l. 18.06.2009 n. 69).

2.2. Il comma 4 ricomprende nella giurisdizione generale di legittimità le controversie “relative al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi e agli altri diritti patrimoniali consequenziali, pure se introdotte in via autonoma”, così contemporaneamente aderendo alla impostazione data dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 204/2004 - secondo la quale il risarcimento dei danni da lesione di interessi legittimi non costituisce una nuova "materia" attribuita al G.A., ma uno strumento di tutela dello stesso interesse legittimo ulteriore rispetto a quello classico demolitorio – e sancendo il definitivo superamento della c.d. “pregiudiziale amministrativa”.

2.3. Il comma 5 individua il carattere proprio della giurisdizione esclusiva nel fatto che “il giudice amministrativo conosce, pure ai fini risarcitori, anche delle controversie nelle quali si faccia questione di diritti soggettivi”. In ordine alla individuazione delle “materie” di giurisdizione esclusiva, il comma  prescrive che esse siano “indicate dalla legge e dall’art. 133 (dello stesso Codice, che assume quindi il valore di norma catalogo, non esaustiva, delle materie di giurisdizione esclusiva esistenti alla data di promulgazione dello stesso).

Sui limiti costituzionali della potestà legislativa di ascrivere materie alla giurisdizione esclusiva del G.A., non si può far altro che rinviare agli insegnamenti posti dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 204/2004) nel senso della esistenza per il Legislatore del vincolo costituzionale alla “coesistenza” nella materia di posizioni di diritto soggettivo e di interesse legittimo, senza che possano invece essere ascritte alla giurisdizione esclusiva materie (o blocchi di materie) caratterizzate dalla presenza quale “parte” dell’amministrazione ma aventi ad oggetto esclusivamente posizioni giuridiche di diritto soggettivo.

Detti insegnamenti, per altro, sono stati recentemente ribaditi dalla Corte costituzionale, con la sentenza 5 febbraio 2010 , n. 35, secondo la quale “Non è fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 del d.l. 23 maggio 2008, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2008, n. 123, impugnato, in riferimento all'art. 103, primo comma, Cost., in quanto devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie, anche relative a diritti costituzionalmente tutelati, comunque attinenti alla complessiva azione di gestione dei rifiuti, seppure posta in essere con comportamenti dell'amministrazione pubblica o dei soggetti alla stessa equiparati. Premesso che la giurisprudenza della Corte ha chiaramente definito i confini della giurisdizione amministrativa esclusiva, esigendo, ai fini della compatibilità costituzionale delle norme di legge devolutive di controversie alla detta giurisdizione, che vi siano coinvolte situazioni giuridiche di diritto soggettivo e di interesse legittimo strettamente connesse; che il legislatore assegni al giudice amministrativo la cognizione non di "blocchi di materie", ma di materie determinate; e che l'amministrazione agisca, in tali ambiti predefiniti, come autorità e cioè attraverso la spendita di poteri amministrativi, che possono essere esercitati sia mediante atti unilaterali e autoritativi, sia mediante moduli consensuali, sia mediante comportamenti, purché questi ultimi siano posti in essere nell'esercizio di un potere pubblico e non consistano, invece, in meri comportamenti materiali avulsi da tale esercizio; la disposizione impugnata, ove interpretata alla luce delle indicate condizioni prescritte dalla giurisprudenza costituzionale, non viola l'art. 103, primo comma, Cost. Infatti, il legislatore, nell'attribuire alla giurisdizione amministrativa esclusiva le controversie attinenti alla complessiva azione di gestione dei rifiuti, ha, innanzitutto, individuato una "particolare" materia, rappresentata appunto dalla "gestione dei rifiuti", ed ha considerato l'attività amministrativa preordinata all'organizzazione o all'erogazione del servizio pubblico di raccolta e di smaltimento dei rifiuti. Inoltre, l'espresso riferimento normativo ai comportamenti della pubblica amministrazione deve essere inteso nel senso che quelli che rilevano, ai fini del riparto della giurisdizione, sono soltanto i comportamenti costituenti espressione di un potere amministrativo e non anche quelli meramente materiali posti in essere dall'amministrazione al di fuori dell'esercizio di un'attività autoritativa. Nella specie, venendo in rilievo questioni meramente patrimoniali connesse al mancato adempimento da parte dell'amministrazione di una prestazione pecuniaria nascente da un rapporto obbligatorio, i comportamenti posti in essere dall'amministrazione stessa non sono ricompresi nell'ambito di applicazione della norma impugnata e rientrano, invece, nella giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria, correttamente adita.”.

Rimandando all’esame dell’art. 133 per il “catalogo” delle materie di giurisdizione esclusiva, non può non notarsi che esso, come anticipato, risulta già in parte superato da due norme introdotte nel lasso di tempo intercorso tra la promulgazione del D.Lgs. 2.07.2010 n. 104, di approvazione del Codice, (G.U.R.I., S.O. n. 156 del 7.07.2010) e la data di entrata in vigore (16.09.2010).

2.3.a. Ed invero, alla lettera a) del primo comma esso raggruppa e riepiloga le varie ipotesi di giurisdizione esclusiva riconducibili alla l. n. 241/1990, ricomprendendovi quella relativa alla dichiarazione di inizio di attività (art. 19 l. n. 241/1990) ed escludendo invece il riferimento al silenzio assenso (art. 20 l. n. 241/1990); ebbene:

- il comma 4-bis dell’art. 49 del D.L. 31.05.2010 n. 78, recante Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica, nel testo risultante dalla legge di conversione 30.07.2010 n. 122, ha sostituito l’intero art. 19 della l. n. 241/1990 introducendo la “segnalazione certificata di inizio di attività” al posto della “dichiarazione di inizio di attività” e riconfermando la giurisdizione esclusiva del G.A., mentre il successivo comma 4-ter prevede che “Le espressioni «segnalazione certificata di inizio attività» e «Scia» sostituiscono, rispettivamente, quelle di «dichiarazione di inizio attività» e «Dia», ovunque ricorrano, anche come parte di una espressione più ampia, e la disciplina di cui al comma 4-bis sostituisce direttamente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, quella della dichiarazione di inizio attività recata da ogni normativa statale e regionale.”.

- il comma 1-sexies dell’art. 2 del D.L. 5. 08. 2010 n. 125, recante Misure urgenti per il settore dei trasporti e disposizioni in materia finanziaria, nel testo risultante dalla legge di conversione 1.10.2010 n. 163 (re)introduce all’art. 20 della l. n. 241/1990 il comma 5-bis, secondo il quale “Ogni controversia relativa all'applicazione del presente articolo è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo”.

2.3.b. Merita, inoltre, attenzione la previsione di cui al numero 1) della lettera e) del medesimo comma primo dell’art. 133 che, riprendendo la previsione di cui all’art. 6 della l. n. 205/2000, “importa” nel Codice il testo del primo comma dell’art. 244 del D.Lgs. 12.04.2006 n. 163 (Codice dei contratti, nel testo risultante dalla modifica apportata al testo originario dal co. 1 dell’art. 7 del D.Lgs. 20 marzo 2010, n. 53 di  Attuazione della direttiva 2007/66/CE che modifica le direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE per quanto riguarda il miglioramento dell'efficacia delle procedure di ricorso in materia d'aggiudicazione degli appalti pubblici).

Esso prevede che siano attribuite alla giurisdizione esclusiva del G.A. le controversie “relative a procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale, ivi incluse quelle risarcitorie e con estensione della giurisdizione esclusiva alla dichiarazione di inefficacia del contratto a seguito di annullamento dell’aggiudicazione ed alle sanzioni alternative”.

Il carattere profondamente innovativo del c.d. “rito speciale appalti” introdotto prima dal D.Lgs. n. 53/2010, e successivamente recepito dal Codice agli artt. Da 120 e 125, è già stato evidenziato dalla apposita relazione dedicata all’argomento (e ben meriterebbe un ulteriore convegno ad esso specificamente dedicato).

In questa sede, è per me sufficiente rilevare come la previsione della estensione “della giurisdizione esclusiva alla dichiarazione di inefficacia del contratto a seguito di annullamento dell’aggiudicazione ed alle sanzioni alternative” valga a superare e “chiudere” quell’ultimo fronte di conflittualità ed incertezza tra il giudice amministrativo e le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in precedenza evidenziato.

In realtà la Corte di Cassazione (S.U. 10 febbraio 2010 , n. 2906) aveva già ritenuto che “La posizione soggettiva del ricorrente, che ha chiesto il risarcimento in forma specifica delle posizioni soggettive a base delle sue domande di annullamento dell'aggiudicazione e di caducazione del contratto concluso dall'aggiudicatario, è da trattare unitariamente dal giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva ai sensi della Direttiva CE n. 66/2007, che riconosce il rilievo peculiare in tal senso alla connessione tra le due indicate domande, che pertanto vanno decise di regola da un solo giudice. Tale soluzione è ormai ineludibile per tutte le controversie in cui la procedura di affidamento sia intervenuto dopo il dicembre 2007, data dell'entrata in vigore della richiamata normativa comunitaria del 2007 e, comunque, quando la tutela delle due posizioni soggettive sia consentita dall'attribuzione della cognizione al giudice amministrativo di esse nelle materie di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e possa essere effettiva solo attraverso la perdita di efficacia dei contratti conclusi dall'aggiudicante con 1'aggiudicatario prima o dopo l'annullamento degli atti di gara, fermo restando il potere del giudice amministrativo di preferire, motivatamente e in relazione agli interessi generali e pubblici oggetto di controversia, un'eventuale reintegrazione per equivalente, se richiesta dal ricorrente in via subordinata.”.

L’apposita previsione dell’art. 133, e più in particolare la disciplina di cui agli artt. da 121 a 124 sembrano ora fornire un assetto della materia tendenzialmente stabile e definitivo in quanto assistito anche dalla “copertura comunitaria”, per quanto non scevro da dubbi in ordine all’estensione del potere attribuito al giudice amministrativo.

2.3.c. Ulteriore profilo di interesse è costituito dal definitivo superamento (comunque già riconosciuto dalle S.U. della Corte di Cassazione con sentenza 5 marzo 2010, n. 5290) del tradizionale orientamento (S.U., 1 agosto 2006 , n. 17461) che riservava all’A.G.O. la giurisdizione sui diritti “costituzionalmente tutelati”, discendente dalla previsione di cui alla lettera p) del co. 1 dell’art. 133, relativa alle controversie aventi ad oggetto le ordinanze e i provvedimenti commissariali adottati in tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, (ordinanza ed atti c.d. emergenziali) e controversie comunque attinenti alla complessiva azione di gestione del ciclo dei rifiuti, seppure posta in essere con comportamenti della pubblica amministrazione riconducibili, anche mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere, quand’anche relative a diritti costituzionalmente tutelati, ora attribuite alla giurisdizione esclusiva del G.A. da previsione che ha anche superato il vaglio della Corte Costituzionale (sent. n. 35/2010, in precedenza citata).

2.4. Il comma 6 dell’art. 7 individua il carattere proprio della giurisdizione di merito nel fatto che “nell’esercizio di tale giurisdizione il giudice amministrativo può sostituirsi all’amministrazione”. La norma configura tale ambito di giurisdizione quale “estensione al merito” del potere giurisdizionale amministrativo e rinvia alla legge ed all’art. 134 dello stesso Codice per la individuazione delle relative materie. Dalla lettura dell’art. 134 risulta raggiunto lo scopo indicato dal numero 2) della lettera b) del co. 2 dell’art. 44 l. n. 69/2009 (riordinando i casi di giurisdizione estesa al merito, anche mediante soppressione delle fattispecie non più coerenti con l’ordinamento vigente); ed invero:

- risultano confermate le ipotesi di cui alle lettere a), b) d) ed e) (l’attuazione delle pronunce giurisdizionali esecutive o del giudicato, contenzioso elettorale, contestazioni sui confini degli enti territoriali e diniego di rilascio di nulla osta cinematografico);

- risulta inserita ex novo solo la ipotesi di cui alla lettera c) riguardante “le sanzioni pecuniarie la cui contestazione è devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo, comprese quelle applicate dalle Autorità amministrative indipendenti”.

Giova rilevare come non si tratti della nuova attribuzione di un ulteriore ambito di giurisdizione al G.A., ma dell’ampliamento dei suoi poteri, in conformità a quanto previsto dall’art. 23, co. 11, della l. 24.11.1981 n. 689 in tema di depenalizzazione (Con la sentenza il giudice può rigettare l'opposizione, ponendo a carico dell'opponente le spese del procedimento o accoglierla, annullando in tutto o in parte l'ordinanza o modificandola anche limitatamente all'entità della sanzione dovuta).

Nell’ambito della sua tradizionale giurisdizione in tema di sanzioni c.d. “ripristinatorie” (spettando all’A.G.O. la giurisdizione in tema di sanzioni c.d. “afflittive”), il G.A. potrà quindi “graduarne” l’ammontare, indipendentemente dalla natura dell’amministrazione adottante, in conformità ad un orientamento già in precedenza affermatosi in tema di sanzioni della Autorità antitrust   [3].

3. L’art. 9 introduce un nuovo regime di rilevazione del difetto di giurisdizione, superando la precedente regola desunta, sebbene non in modo univoco, dal primo comma dell’art. 30 l. n. 1034/1971.

L’Adunanza plenaria (30 agosto 2005 , n. 4), componendo un contrasto di orientamenti estremi ed aderendo ad un terzo orientamento intermedio (Sez. VI, 10 aprile 2002, n. 1039; Sez. VI, 15 dicembre 2003, n. 8212) ha ritenuto che il Consiglio di Stato non potesse rilevare d'ufficio il difetto di giurisdizione del g.a., se questa fosse stata ritenuta sussistente dalla sentenza impugnata con una pronuncia esplicita sul punto e sul punto nessuna delle parti avesse proposto appello; ove, al contrario, la sentenza impugnata avesse statuito solo implicitamente sulla giurisdizione, il difetto di quest'ultima avrebbe potuto essere rilevato d'ufficio dal giudice d'appello.

Detta soluzione, come già detto, mirava a comporre il contrasto tra l’orientamento (Ad. Plen., 25 ottobre 1980, n. 42; Sez. VI, 13 gennaio 1983, n. 12; Sez. VI, 21 marzo 1998, n. 380; Sez. VI, 20 maggio 1995, n. 479; Sez. IV, 4 febbraio 1999, n. 112; Sez. IV, 21 gennaio 2005, n. 99) secondo il quale, finché non fosse stata emanata una sentenza regolatrice della Corte di Cassazione, il Consiglio di Stato come giudice d'appello avrebbe avuto titolo a sindacare d'ufficio in ogni ipotesi la sua giurisdizione (e quella della complessiva istituzione nella quale il Consiglio di Stato fa parte insieme ai T.A.R.), e l’opposto orientamento (Sez. IV, 14 aprile 1998, n. 621; Sez. VI, 7 luglio 2003, n. 4028; Sez. IV, 14 aprile 2004, n. 2105; Sez. IV, 18 maggio 2004, n. 3186) che, richiamando i limiti insuperabili del giudicato, riteneva interdetto qualunque esame del punto concernente la giurisdizione in sede di appello, in assenza di una specifica censura avanzata dalla parte contro la decisione, espressa o implicita, sulla giurisdizione.

La soluzione accolta dal Codice risulta sostanzialmente conforme alla più recente interpretazione dell’art. 37 cod. proc. civ. offerta dalla Corte di Cassazione (S.U., 9 ottobre 2008 n.24883, 2 dicembre 2008 n. 28545 e 24 luglio 2009 , n. 17349), secondo la quale:

1) il difetto di giurisdizione può essere eccepito dalle parti fino a quando la causa non sia stata decisa nel merito in primo grado;

2) la sentenza di primo grado di merito può sempre essere impugnata per difetto di giurisdizione;

3) le sentenze di appello sono impugnabili per difetto di giurisdizione soltanto se sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito, operando la relativa preclusione anche per il giudice di legittimità;

4) il giudice può rilevare anche d'ufficio il difetto di giurisdizione fino a quando sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito. In particolare, il giudicato implicito sulla giurisdizione può formarsi tutte le volte che la causa sia stata decisa nel merito, con esclusione per le sole decisioni che non contengano statuizioni che implicano l'affermazione della giurisdizione.

A siffatta interpretazione dell'art.37 cod..proc.civ. - secondo la “lettera” del quale “il difetto di giurisdizione … è rilevato, anche d'ufficio, in qualunque stato e grado del processo” - la Corte ha ritenuto di accedere tenendo conto dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, della progressiva forte assimilazione delle questioni di giurisdizione a quelle di competenza e dell'affievolirsi dell'idea di giurisdizione intesa come espressione della sovranità statale, essendo essa un servizio reso alla collettività con effettività e tempestività, per la realizzazione del diritto della parte ad avere una valida decisione nel merito in tempi ragionevoli.

La concreta soluzione adottata dal Codice sconta, ovviamente, l’articolazione del giudizio amministrativo su due soli gradi di giudizio.

4. L’art. 10 riproduce sostanzialmente la previsione di cui al co. 2 dell’art. 30 l. n. 1034/1971 confermando l’ammissibilità del regolamento preventivo di giurisdizione ex art. 41 cod. proc. civ., alla cui disciplina rinvia, nel giudizio amministrativo di primo grado; il primo comma rinvia inoltre espressamente al co. 1 dell’art. 367 cod. proc. civ., mentre il secondo comma detta  la disciplina della tutela cautelare nelle more della decisione sul regolamento.

4.1. Il co. 1 dell’art. 367 cod. proc. civ. prevede che “Una copia del ricorso per cassazione proposto a norma dell'articolo 41, primo comma, è depositata, dopo la notificazione alle altri parti, nella cancelleria del giudice davanti a cui pende la causa, il quale sospende il processo se non ritiene l'istanza manifestamente inammissibile o la contestazione della giurisdizione manifestamente infondata. Il giudice istruttore o il collegio provvede con ordinanza”.

Risulta così confermata la determinazione del Legislatore di impedire che la proposizione del regolamento di competenza si trasformi in uno strumento ostruzionistico e dilatorio (per Consiglio Stato , sez. V, 14 maggio 2010 , n. 2959, “l'art 367 c.p.c., nel testo novellato dalla l. 26 novembre 1990 n. 353, ha soppresso l'obbligo di sospensione del giudizio per effetto della presentazione del ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, al fine di evitare un uso distorto e dilatorio dello stesso, rimettendo invece la decisione sulla sospensione al giudice "a quo"; di conseguenza, la sospensione del processo dipende da una valutazione del giudice di merito circa la non manifesta inammissibilità o la non manifesta infondatezza dell'istanza, da compiersi a seguito di una previa sommaria delibazione della domanda introduttiva del giudizio di merito e della documentazione versata in atti”).

4.2. Il co. 2 dell’art. 10 del Codice prevede invece che “Nel giudizio sospeso possono essere chieste misure cautelari, ma il giudice non può disporle se non ritiene sussistente la propria giurisdizione”.

Si tratta della prima di tutta una serie di prescrizioni dettate dal Codice per evitare l’adozione di misure cautelari da parte di un giudice privo di giurisdizione e/o competenza (come appresso vedremo) a conoscere della controversia, norma che trova specifico ed espresso riscontro nel co. 4 dell’art. 62 Codice, che – in tema di appello cautelare – prescrive la verifica anche d’ufficio del rispetto della citata previsione.

Essa ha carattere limitativo rispetto alla previgente previsione, di cui al co. 2 dell’art. 30 l. n. 1034/1971, secondo il quale “La proposizione di tale istanza non preclude l'esame della domanda di sospensione del provvedimento impugnato”. Ed infatti richiede che il giudice, indipendentemente dalla pendenza del regolamento di competenza, sia ragionevolmente convinto della sussistenza della propria giurisdizione secondo una valutazione di grado indubbiamente diverso da quella di non manifesta inammissibilità e/o infondatezza da compiersi ai fini della sospensione, o meno, del giudizio.

4.3. Nel rinviare alla elaborazione della Corte di Cassazione in tema di disciplina del rimedio ex art. 41 cod. proc. civ., della quale si è comunque dato parziale conto in tema di “giudicato implicito” sulla giurisdizione, appare utile ricordare come due recenti pronunzie (S.U., 18 giugno 2010 , n. 14828 e ordinanza 22 novembre 2010 n. 23596) abbiano escluso l’ammissibilità del mezzo successivamente alla riassunzione/riproposizione del giudizio operata in attuazione del principio della translatio iudicii nei rapporti tra giudice ordinario e giudice speciale, accolto e ribadito dal legislatore (art. 59 della legge n. 69 del 2009).

In considerazione della intervenuta sostanziale riduzione ad unità del processo dalla fase della domanda a quella della decisione, la Corte ha ritenuto che non sia più possibile limitare la preclusione del regolamento preventivo di giurisdizione - dopo che il giudice di merito abbia emesso una pronuncia declinatoria della propria giurisdizione - alla sola ipotesi di proposizione dell'indicato rimedio nell'ambito del giudizio promosso innanzi a detto giudice, dovendosi invece estendere detta preclusione anche al regolamento che venga proposto a seguito della riassunzione del giudizio innanzi al giudice indicato dal primo come quello fornito di potestas iudicandi.

4.4. Una ultima notazione, infine, in ordine alle modalità di prosecuzione del giudizio sospeso, ove la Corte di Cassazione abbia confermato la giurisdizione del G.A..

Il Consiglio Stato (sez. IV, 10 giugno 2010 , n. 3705) aveva avuto recentemente modo di affermare che “la costituzione formale delle parti è strumentale alla prosecuzione del giudizio davanti ad un giudice diverso da quello originariamente adito, potendosi prescindere da un atto di riassunzione solo quando il giudizio debba proseguire, dopo un qualsiasi arresto, davanti al medesimo giudice presso il quale il giudizio era già stato instaurato, essendo sufficiente in tal caso, quale atto di impulso processuale, il deposito dell'stanza di fissazione d'udienza”.

Il co. 1 dell’art. 80 Codice ribadisce detta soluzione, prescrivendo che “In caso di sospensione del giudizio, per la sua prosecuzione deve essere presentata istanza di fissazione di udienza entro novanta giorni dalla comunicazione dell'atto che fa venir meno la causa della sospensione”.

In ipotesi di mancata tempestiva prosecuzione provvede il co. 2 dell’art. 35 Codice, secondo il quale “Il giudice dichiara estinto il giudizio: a) se, nei casi previsti dal presente codice, non viene proseguito o riassunto nel termine perentorio fissato dalla legge o assegnato dal giudice;”.

5. Con l’art. 11, “Decisione sulle questioni di giurisdizione”, il Codice in realtà replica al proprio interno la disciplina della “translatio judicii” di cui all’art. 59 della l. 18.06.2009 n. 69, con la quale era stata data attuazione al rinvio al Legislatore operato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 77/2007.

Con detta pronunzia la Corte Costituzionale – pur prendendo atto del tentativo operato, a legislazione invariata, dalla Corte di Cassazione (Sezioni unite 22 febbraio 2007, n. 4109) ai fini dell'estensione al difetto di giurisdizione del principio della conservazione degli effetti della domanda che, con il codice di procedura civile del 1942, è stato introdotto limitatamente al caso del difetto di competenza, e ciò per superare i gravi inconvenienti provocati da una disciplina che, in sostanza, prevedeva che l'atto introduttivo del giudizio rivolto ad un giudice privo di giurisdizione sia affetto da un vizio che lo rende radicalmente inidoneo a produrre quegli effetti, sia sostanziali che processuali, che la legge collega invece ad un atto introduttivo che violi le regole sul riparto di competenza – ha ritenuto di dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 30 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, nella parte in cui non prevede che gli effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta a giudice privo di giurisdizione si conservino, a seguito di declinatoria di giurisdizione, nel processo proseguito davanti al giudice munito di giurisdizione, ispirandosi esso, viceversa, al principio per cui la declinatoria della giurisdizione comporta l'esigenza di instaurare ex novo il giudizio senza che gli effetti sostanziali e processuali prodotti dalla domanda originaria si conservino nel nuovo giudizio; principio questo che, non formulato espressamente in una o più disposizioni di legge ma presupposto dall'intero sistema dei rapporti tra giudice ordinario e giudici speciali e tra i giudici speciali, la Corte ha ritenuto dovere essere espunto, come tale, dall'ordinamento.

Pur tuttavia, la Corte ha ritenuto di non poter adottare direttamente un intervento manipolativo/additivo, rinviando al Legislatore per l’adozione di una nuova disciplina legislativa che, con l'urgenza richiesta dall'esigenza di colmare una lacuna dell'ordinamento processuale, avrebbe dovuto disciplinare la riassunzione/riproposizione del giudizio col solo vincolo che essa avrebbe dovuto dare attuazione al principio della conservazione degli effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta a giudice privo di giurisdizione nel giudizio ritualmente riattivato - a seguito di declinatoria di giurisdizione - davanti al giudice che ne è munito.

Conformemente al carattere “trasversale” del fenomeno relativo alla trasmigrazione del giudizio tra giurisdizioni diverse, il Legislatore aveva ritenuto di collocare la nuova disciplina nel citato art. 59 l. n. 69/2009, in una sede – quindi - estranea ai codici/testi normativi di rito propri delle diverse giurisdizioni. L’art. 11 opera, invece, una sorta di “personalizzazione” della norma al giudice amministrativo ed al suo rito.

Pur senza scendere, come invece la rilevanza dell’argomento imporrebbe, nel dettaglio della disciplina processuale per intuibili motivi di tempo, non posso non rilevare come il Codice abbia ritenuto di “prendere posizione” rispetto alla contraddizione - insita nel testo dell’art. 59 (in modo esplicito al co. 4) tra le opposte opzioni ricostruttive della riproposizione di un nuovo giudizio, rispetto alla riassunzione del medesimo - evidenziata da tutti i commentatori della norma.

Il Codice ha adottato univocamente la soluzione della “riproposizione” di un nuovo giudizio nel quale, se tempestivamente riproposto, “ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute, sono fatti salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda”, prevedendo altresì che “Nei giudizi riproposti, il giudice (amministrativo), con riguardo alle preclusioni e decadenze intervenute, può concedere la rimessione in termini per errore scusabile ove ne ricorrano i presupposti (di cui all’art. 37 Codice)”.

Attesa la sostanziale mancanza nel processo amministrativo di preclusioni processuali, deve ritenersi che la principale, e più rilevante, problematica sia quella della conservazione dell’effetto preclusivo del maturarsi del tradizionale termine decadenziale di impugnazione previsto dall’art. 29, così come del nuovo termine decadenziale di 120 giorni al quale l’art. 30 assoggetta la proposizione della domanda risarcitoria autonoma per lesione di interessi legittimi.

Mentre non dovrebbe esservi alcuna difficoltà a ritenere la conservazione anche a questi fini degli effetti della domanda tempestivamente proposta al giudice risultato carente di giurisdizione, a diversa soluzione dovrebbe pervenirsi in ipotesi di proposizione della domanda che risulti tardiva rispetto a detti termini, salva sempre la possibilità della concessione dell’errore scusabile.

Per altro, la soluzione adottata dal Codice sembra andare in controtendenza rispetto ad una recente pronunzia della Corte di Cassazione (ordinanza 22 novembre 2010 n. 23596, in precedenza già citata) che – pur pervenendo alle medesime conclusioni di S.U., 18 giugno 2010 , n. 14828 – così accentua le considerazioni in ordine alla sostanziale unitarietà dei due segmenti processuali:

-          “il processo iniziato davanti ad un giudice, che ha poi dichiarato il difetto di giurisdizione, e riassunto nel termine di legge davanti al giudice, indicato dal primo come dotato di giurisdizione, non costituisce un nuovo ed autonomo procedimento, ma la naturale prosecuzione dell'unico giudizio per quanto inizialmente introdotto davanti a giudice carente della, giurisdizione;

-          I principi costituzionali di effettività e certezza della tutela giurisdizionale impongono che la funzione di dare giustizia, pur articolata secondo il sistema della Costituzione, attraverso una pluralità di ordini giurisdizionali non sia da questa ostacolata. Ne è derivato l'effetto di una riduzione ad unità del processo dalla, domanda alla decisione finale, con la connessa privazione di rilevanza impeditiva, così come per la competenza, all'errore iniziale della parte nella individuazione del giudice provvisto di giurisdizione.

-          3.4. Trattandosi, quindi, di un unico processo non è più possibile affermare, come in passato ritenuto(Cass. n. 19787/2003), che la preclusione del regolamento preventivo per effetto di una pronunzia sulla sola giurisdizione, investa solo il giudizio davanti al giudice che ha emesso tale pronunzia e non davanti ad altro giudice ove la domanda sia stata riproposta”.

Infine, i commi 6 e 7 dell’art. 11 prevedono che:

6. Nel giudizio riproposto davanti al giudice amministrativo, le prove raccolte nel processo davanti al giudice privo di giurisdizione possono essere valutate come argomenti di prova.

7. Le misure cautelari perdono la loro efficacia trenta giorni dopo la pubblicazione del provvedimento che dichiara il difetto di giurisdizione del giudice che le ha emanate. Le parti possono riproporre le domande cautelari al giudice munito di giurisdizione.

Il primo si limita a “replicare” l’analoga previsione contenuta dall’art. 59 l. n. 69/2009, senza però operare un forse utile coordinamento con la nuova disciplina codicistica dei mezzi di prova; il secondo costituisce un ulteriore tassello del mosaico normativo posto in essere al fine di impedire l’adozione/permanenza di misure cautelari adottate da un giudice privo di giurisdizione e/o competenza.

 

La Competenza inderogabile

3. Il tema della competenza avrebbe dovuto essere oggetto, quanto meno alla luce delle previsioni della legge di delega (co. 2, lett. e) dell’art. 44 l. n. 69/2009: razionalizzare e unificare la disciplina della riassunzione del processo e dei relativi termini, anche a seguito di sentenze di altri ordini giurisdizionali, nonché di sentenze dei tribunali amministrativi regionali o del Consiglio di Stato che dichiarano l’incompetenza funzionale) di un mero riassetto ai fini di un migliore inserimento nel sistema delle ipotesi di “incompetenza funzionale” che, non previste dalla l. n. 1034/1971, erano di volta in volta state introdotte la legislatore con interventi episodici e privi di un comune regime.

La materia è stata, invece, oggetto di un intervento incisivo, soprattutto per quanto riguarda il regime della sua generalizzata inderogabilità e della conseguente rilevabilità d’ufficio della incompetenza, anche ai fini cautelari. Può, quindi, non apparire peregrino nutrire dubbi di costituzionalità della relativa disciplina, per violazione dell’art. 76 Cost. (eccesso di delega), sia pur limitatamente al profilo della inderogabilità e rilevabilità d’ufficio della incompetenza territoriale   [4].

La nuova disciplina della competenza trova collocazione prioritaria ed organica negli articoli da 13 a 16 e 135 Codice, oltre a numerosi altri riferimenti disseminati in altri articoli, e dei quali cercherò di dare piena contezza.

3.1. L’art. 13 detta, al primo comma, il criterio di individuazione territoriale del giudice, ricorrendo ai tradizionali criteri di collegamento consistenti nella ubicazione della sede dell’amministrazione e nell’ambito di “efficacia diretta” dell’atto impugnato; sebbene sia stato prioritariamente riportato quello della sede dell’amministrazione, a ben vedere l’utilizzo della espressione “comunque”, con riferimento al criterio della “efficacia diretta”, induce a ritenere che in realtà sia questo secondo a rivestire rilievo primario ed a prevalere nelle ipotesi di atto adottato da autorità extra regionale, che spieghi però effetti diretti esclusivamente nell’ambito di diversa regione.

Il secondo comma ribadisce il foro delle persistenti controversie del pubblico impiego non privatizzato (ascritte alla giurisdizione esclusiva) presso il tribunale nella cui circoscrizione territoriale è situata la sede di servizio. Detta previsione, per altro, risulta “rafforzata” dal co. 2 dell’art. 135 Codice, secondo il quale “Restano esclusi dai casi di competenza inderogabile di cui al comma 1(competenza funzionale del TAR Lazio – Roma) le controversie sui rapporti di lavoro dei pubblici dipendenti, salvo quelle di cui alla lettera o) dello stesso comma 1 (controversie relative al rapporto di lavoro del personale del DIS, dell’AISI e dell’AISE)”.

Il terzo comma riproduce, con previsione apparentemente residuale, la previsione della competenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, per gli atti statali e quella del tribunale amministrativo regionale nella cui circoscrizione ha sede il soggetto per gli atti dei soggetti pubblici a carattere ultra regionale; e ciò sempre nell’ipotesi che non si tratti di atti aventi efficacia diretta nell’ambito della circoscrizione di una sola regione/un solo tribunale.

L’ultimo coma, ribadendo una previsione già inserita in ciascuno dei precedenti commi, ripete che “La competenza territoriale del tribunale amministrativo regionale non è derogabile”.

Per cogliere appieno il carattere innovativo, e l’impatto, della disciplina codicistica deve essere ricordato come il regime della competenza nella l. n. 1034/1971 era sostanzialmente tutto derogabile in quanto l’incompetenza non poteva essere rilevata d’ufficio dal giudice e – inutilmente trascorso il termine per la proposizione, dalle parti diverse dal ricorrente, del regolamento di competenza di cui all’art. 31 – non poteva costituire motivo di appello della sentenza resa dal giudice incompetente.

Non appare inutile ricordare, comunque, che per ben due volte era stata in passato rimessa alla Corte Costituzionale la questione di costituzionalità del regime di piena derogabilità della competenza ex l. n. 1034/1971, ma che la Corte non si è mai pronunziata nel merito delle questioni in quanto dichiarate inammissibili con le ordinanza nn. 241 del 23.26.2000 e 565 del 20.12.2000.

Il nuovo regime della incompetenza – inderogabile ed assistito da tutta una serie di meccanismi di rilevazione anche d’ufficio previsti dagli artt. 15 e 16 – costituisce quindi fattore di rilevantissima novità - introdotto dal Governo in sede di approvazione finale del decreto legislativo al fine di stroncare il fenomeno del c.d. “forum shopping” ben noto soprattutto a livello cautelare – ma non coglie impreparati gli interpreti.

3.2. L’art. 14 avrebbe dovuto invece – nei propositi della Commissione insediata presso il Consiglio di Stato per la redazione del Codice – raggruppare le ipotesi di competenza funzionale, le sole caratterizzate dalla inderogabilità.

In realtà la categoria della competenza funzionale non risulta contemplata dalla l. n. 1034/1971 e con tale espressione si faceva riferimento ad ipotesi di volta in volta introdotte la legislatore con interventi episodici e privi di un comune regime; tra di essi quelli relativi:

-          alle controversie relative ai provvedimenti riguardanti i magistrati ordinari adottati ai sensi dell’articolo 17, primo comma, della legge 24 marzo 1958, n. 195, modificato dall'art. 4, l. 12 aprile 1990, n. 74, ed attribuite alla competenza del TAR Lazio - Roma;

-          alle controversie aventi ad oggetto i provvedimenti di diverse Autorità garanti, da numerose norme di volta in volta attribuite alla competenza del TAR Lazio – Roma;

-          alle controversie contro i provvedimenti ministeriali di cui al Codice delle comunicazioni elettroniche, parimenti da questo attribuite alla competenza del TAR Lazio – Roma;

-          alle controversie aventi ad oggetto le ordinanze e i provvedimenti commissariali adottati in tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, (ordinanza ed atti c.d. emergenziali) e controversie comunque attinenti alla complessiva azione di gestione del ciclo dei rifiuti, seppure posta in essere con comportamenti della pubblica amministrazione riconducibili, anche mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere, quand’anche relative a diritti costituzionalmente tutelati, attribuite alla competenza del T.A.R. Lazio – Roma dall’art. 3 del D.L n. 245/2005;

-          alle controversie aventi ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservate agli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo ed escluse quelle inerenti i rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti, attribuite alla competenza del T.A.R. Lazio – Roma dall’art. 3 del D.L. n. 220/2003.

Quel che appare utile rilevare è, inoltre, la circostanza che nelle previsioni legislative più risalenti manca sia una espressa qualificazione della attribuzione di competenza come inderogabile che uno specifico regime di rilevazione della incompetenza, così che il riconoscimento della inderogabilità è avvenuto in via interpretativa, mentre lo strumento di rilevazione della incompetenza è stato sempre il regolamento di competenza ex art. 31 l,. n. 1034/1971.

Solo a partire dagli interventi successivi al 2000 risultano introdotte specifiche qualificazioni in termini di “esclusività ed inderogabilità” (art. 9 del D.Lgs. 1.08.2003 n. 259, Codice delle comunicazioni elettroniche   [5]), oppure in termini di “rilevabilità d’ufficio” e con previsione di appositi meccanismi di rilevazione dell’incompetenza, anche ai fini cautelari (art. 3 D.L. 220/2003 in tema di Giustizia sportiva ed art. 3 D.L. n. 245/2005 in tema di provvedimenti emergenziali).

L’intervento codicistico avrebbe dunque dovuto avere la funzione di ricondurre le varie e diversificate previsioni all’interno di una disciplina uniforme, attribuendo loro un unico regime comune.

L’articolo 14 Codice opera tale sistemazione distinguendo tra:

- le controversie devolute alla competenza funzionale inderogabile del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, indicate dall’articolo 135 e dalla legge;

- le controversie relative ai poteri esercitati dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas, devolute alla competenza inderogabile del Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, sede di Milano;

- i giudizi di cui agli articoli 113 e 119, nonché ogni altro giudizio per il quale la legge o il codice individuino il giudice competente con criteri diversi da quelli di cui all’articolo 13, per i quali il criterio di individuazione della competenza è qualificato come “funzionalmente inderogabile”.

In realtà la categoria della competenza funzionale inderogabile, molto eterogenea nella individuazione delle tipologie di controversie da ascriversi, avrebbe dovuto avere regime unificante e qualificante proprio nella sua inderogabilità, contrapposta alla ordinaria derogabilità dei criteri di individuazione della competenza territoriale. L’avvenuta estensione del regime della inderogabilità anche a questi ultimi ha in gran parte privato la categoria della sua ragion d’essere ed induce gli interpreti a ricercare eventuali differenziazioni di regime che ne giustifichino l’esistenza.

Quelle evincibili dal Codice sembrano essere esclusivamente:

- il co. 4 dell’art. 42, in tema di ricorso incidentale e domanda riconvenzionale, secondo il quale “La cognizione del ricorso incidentale è attribuita al giudice competente per quello principale, salvo che la domanda introdotta con il ricorso incidentale sia devoluta alla competenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, ovvero alla competenza funzionale di un tribunale amministrativo regionale, ai sensi dell’articolo 14; in tal caso la competenza a conoscere dell’intero giudizio spetta al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, ovvero al tribunale amministrativo regionale avente competenza funzionale ai sensi dell’articolo 14;

- il co. 1 dell’art. 47, in tema di ripartizione delle controversie tra tribunali amministrativi regionali e sezioni staccate, secondo il quale “Nei ricorsi devoluti alle sezioni staccate in base ai criteri di cui all’articolo 13, il deposito del ricorso è effettuato presso la segreteria della sezione staccata. Fuori dei casi di cui all’articolo 14, non è considerata questione di competenza la ripartizione delle controversie tra tribunale amministrativo regionale con sede nel capoluogo e sezione staccata”.

Si tratta di due ipotesi nelle quali la inderogabilità della individuazione di una competenza funzionale appare rafforzata rispetto alla inderogabilità del criterio di individuazione territoriale, al fine di “resistere” ad ipotesi di modifica del criterio territoriale codificate per specifiche ragioni giustificative.

Rispetto a dette ipotesi risulta, invece, in qualche modo in “controtendenza” la già rilevata previsione del co. 2 dell’art. 135 che configura il foro del pubblico dipendente quale prevalente rispetto alle ipotesi di competenza funzionale, con previsione di non agevole spiegazione  [6], specie se riferita alle controversie dei magistrati ordinari.

Un ulteriore profilo di differenziazione tra il regime della competenza territoriale e quello della competenza funzionale potrà, infine, essere forse ricostruito in tema di regime transitorio.

3.3. Gli articoli 15 e 16 del Codice avrebbero dovuto disciplinare, rispettivamente, il regime della rilevabilità della incompetenza territoriale derogabile, attraverso una rivisitazione del regolamento di competenza ad istanza di parte, e quello della incompetenza funzione inderogabile, caratterizzato dal rilievo d’ufficio della relativa questione. Oggi la disciplina dettata dai due articoli si integra reciprocamente, non mancando profili di sovrapposizione.

In linea di principio il regime della rilevabilità della incompetenza (sia territoriale che funzionale) è sostanzialmente assimilato a quello del difetto di giurisdizione (art. 15, co. 1, “Il difetto di competenza è rilevato in primo grado anche d’ufficio. Nei giudizi di impugnazione esso è rilevato se dedotto con specifico motivo avverso il capo della pronuncia impugnata che, in modo implicito o esplicito, ha statuito sulla competenza”), esteso al giudizio cautelare (art. 16, co. 1, “La competenza di cui agli articoli 13 e 14 è inderogabile anche in ordine alle misure cautelari”) e suscettibile di essere definito, in ipotesi di declinatoria, con ordinanza “che dichiara l’incompetenza (ed)  indica in ogni caso il giudice competente” (art. 33, co. 1 lett. b) e co. 4, per altro in formale difformità dalla previsione della legge delega, che parla di sentenze dichiarative di incompetenza). Gli articoli ricostruiscono, quindi, un meccanismo abbastanza complesso attraverso il quale la questione preliminare di competenza può essere rilevata e decisa.

3.3.a. In primo grado la “questione di competenza” potrà essere affrontata nell’ambito dell’ordinario giudizio, sia in sede cautelare che in sede di merito (sia udienza pubblica che camera di consiglio ex art. 87) e tanto d’ufficio che su eccezione di parte.

In ipotesi di rilevo d’ufficio il TAR (secondo le ordinarie regole processuali del procedimento in corso e comunque dopo aver curato l’adempimento di cui all’art. 73, co. 3, Codice) potrà:

1.         ritenere la propria competenza e provvedere sul ricorso (anche in via istruttoria o interlocutoria);

2.         ritenere la propria incompetenza ed indicare con ordinanza il TAR ritenuto (con certezza) competente (artt. 15, co. 5 e 16, co. 2) avanti al quale il processo proseguirà previa riassunzione di parte, da eseguirsi nel termine perentorio di 30 giorni sotto sanzione di estinzione ex art. 35, co. 2 lett. a)   [7]. Se questa ordinanza non viene impugnata con il regolamento di competenza da alcuna delle parti, o contestata dal giudice ad quem con il regolamento di competenza d’ufficio, diviene definitiva, definisce il giudizio presso il giudice originariamente adito e fissa la competenza avanti al giudice ad quem;

3.         sollevare d’ufficio il regolamento di competenza avanti al CdS con ordinanza nella quale viene comunque indicato il TAR ritenuto (probabilmente) competente (art. 15, co. 5); esso è disciplinato dal successivo co. 6 dell’art. 15, con i termini ivi previsti.

In ipotesi di rilevo ad istanza di parte, la questione potrà essere sottoposta in forma di eccezione processuale deducibile sino alla decisione al giudice avanti al quale pende il giudizio, che provvederà nei termini in precedenza illustrati.

Altrimenti la questione potrà essere formalizzata nel procedimento di “Regolamento di Competenza” ad istanza di parte (art. 15, co. 2 e 3) destinato a svolgersi integralmente avanti al CdS con i termini di cui all’art. 55, commi da 5 ad 8 come da rinvio espresso. Gioverà rilevare che il rimedio appare proponibile da “ciascuna parte” e quindi, contrariamente al passato, anche da quella ricorrente.

Ulteriore “variante” del regolamento di competenza è quella che può essere proposta sempre ad istanza di parte quale impugnazione della ordinanza con la quale il TAR abbia dichiarato la propria competenza o incompetenza, nei termini di cui al co. 3 dell’art. 16, che rinvia per il resto alla disciplina di cui all’art. 15.

Il nuovo regolamento di competenza appare profondamente diverso da quello dello strumento di cui all’art. 31 l. n.1034/1971:

a) da unico strumento per dedurre la eccezione di incompetenza, è divenuto mezzo, non esclusivo, per provocare la pronunzia del Consiglio di Stato;

b) viene proposto direttamente presso il Consiglio di Stato, risultando eliminato il passaggio avanti al TAR (non essendo più possibile l’adesione delle altre parti) e la delibazione da parte del primo giudice introdotta dalla l. n. 205/2000;

c) non deve più contenere, almeno nella ipotesi di proposizione preventiva ad istanza di parte, la necessaria indicazione del giudice ritenuto competente, aprendo la strada ad una delibazione da parte del Consiglio “di diritto oggettivo”  in conformità al carattere inderogabile della competenza.

3.3.b. Se il giudizio di primo grado si sia concluso senza che la questione di (in)competenza sia venuta in rilievo, essa potrà essere sollevata contro la sentenza con specifico motivo di appello (art. 15, co. 1), in mancanza del quale deve ritenersi formata anche per il giudice di appello una preclusione all’ulteriore rilievo delle questioni di competenza.

Solo nel giudizio cautelare di secondo grado il Consiglio di Stato può invece rilevare d’ufficio la violazione dei criteri determinativi della competenza e regolare d’ufficio la competenza (art. 62, co. 4 Codice).

La pronunzia del Consiglio di Stato ha efficacia vincolante per i Tribunali ex art.15, co. 4, Codice, che disciplina anche i termini di eventuale riassunzione avanti al Tribunale dichiarato competente.

3.3.c. Per quanto attiene alla fase cautelare, il sistema è caratterizzato dal principio di ordine generale (palesato anche dalle prescrizioni di cui agli artt. 55, co. 13, 56, co. 1, 61, co. 3 e 62, co. 4) secondo il quale il giudice può decidere sull’istanza – ed a maggior ragione concedere misure cautelari - solo dopo aver verificato la sussistenza della propria competenza (art. 15, co. 5).

Nelle more della definizione dell’eventuale regolamento di competenza l’istanza cautelare andrà proposta al giudice indicato come competente dal tribunale originariamente adito (art. 15, co. 7 e 16, co. 4), mentre le misure cautelari eventualmente adottate dal giudice risultato incompetente perdono effetti dopo 30 giorni dalla data di pubblicazione dell’ordinanza che regola diversamente la competenza, ma potranno essere riproposte al giudice ritenuto competente (art. 15 co. 8 e 9).

3.4. Il Codice non contiene una previsione analoga a quella relativa al regolamento di giurisdizione e relativa alla sospensione del giudizio nelle more della definizione del regolamento di competenza; al contrario il relativo procedimento potrebbe svolgersi – e talvolta si svolgerà, specie ove non vi sia fase cautelare – all’insaputa del primo giudice non essendo previsto alcun onere di deposito di copia presso la sua Segreteria, (per l’art. 15, co. 2, Il regolamento è proposto con istanza notificata alle altre parti e depositata, unitamente a copia degli atti utili al fine del decidere, entro quindici giorni dall’ultima notificazione presso la segreteria del Consiglio di Stato).

Il co. 4 dell’art. 71 prevede invece che “La pendenza del termine di cui all’articolo 15, comma 2, e la proposizione del regolamento di competenza non precludono la fissazione dell’udienza di discussione né la decisione del ricorso, anche ai sensi degli articoli 60 e 74, salvo che nel termine di cui all’articolo 73, comma 1, la parte interessata depositi l’istanza di regolamento di competenza notificata ai sensi dello stesso articolo 15, comma 2. In tal caso, il giudice può differire la decisione fino alla decisione del regolamento di competenza”.

3.5. Il Codice, all’art. 47, co. 3, ha, infine, riconfermato che il criterio di distribuzione dei giudizi tra Sede del Tribunale e sua eventuale sezione staccata non costituisce questione di competenza, tranne che nelle ipotesi di competenza funzionale (co. 1), delineando al co. 2 il procedimento di decisione della eccezione di parte, soggetta a pena di preclusione ad un breve termine di deduzione.

3.6. Così esaurito l’esame, per quanto sommario, della complessiva disciplina relativa al regime della competenza inderogabile, non può farsi a meno di evidenziare come manchi una generale disciplina dei fenomeni della connessione, della litispendenza e della continenza, in relazione ai quali non sarà forse necessario far ricorso al rinvio esterno al codice di procedura civile di cui all’art. 39, potendosi invece valorizzare la disciplina di cui al co. 4 dell’art. 42, in tema di ricorso incidentale e domanda riconvenzionale, per desumerne una regola generale secondo la quale la competenza sul ricorso introduttivo radica, oltre a quella sul ricorso incidentale, anche quella sul ricorso “impugnatorio” per motivi aggiunti, anche in ossequio al principio di concentrazione del giudizio, a meno che non si ricada in una ipotesi di competenza funzionale.

3.7. Rimane, infine, da affrontare il tema della disciplina transitoria in ordine al nuovo regime di competenza inderogabile che – attesa la sostanziale “rivoluzione copernicana” operata dal Codice - assume un rilievo di non poco momento anche con riferimento a ricorsi già proposti da lungo tempo a giudice incompetente ma per i quali non fosse stato a suo tempo tempestivamente proposto il vecchio regolamento di competenza.

Si tratta di ipotesi che non appare agevole risolvere secondo al regola di cui all’art. 5 cod. proc. civ. (La giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda, e non hanno rilevanza rispetto ad esse i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo) in quanto giudizi “ab origine” proposti a giudice incompetente e rispetto ai quali il mutamento della legge processuale riguarda non il criterio di individuazione del giudice competente ma quello di rilevazione della incompetenza già “ab origine” esistente.

Mentre non sono mancate ordinanze immediatamente declinatorie della competenza (TAR Sicilia, Palermo, sez. I ordd. nn. 242 e 243 del 2010), TAR Campania, Napoli, sez. VII si è immediatamente orientato già in sede cautelare a distinguere tra le ipotesi di incompetenza territoriale nelle quali fosse già spirato il termine per la proposizione del regolamento ex art. 31 l. n. 1034/1971 – nelle quali ha trattenuto la competenza (ord. n. 1975/2010) – da quelle nelle quali tale termine non fosse ancora spirato – nelle quali ha ritenuto sussistente il potere di rilevare l’incompetenza d’ufficio, provvedendo in senso declinatorio previo avviso alle parti ex art. 73, co. 3, Codice (ord. n. 641/2010) -.

Con successive sentenze n. 22276 e 22277 del 3.11.2010, la medesima Sezione ha affrontato “ex professo” la problematica, riconfermando la soluzione adottata in sede cautelare e riconducendola non alla immediata e diretta applicazione dell’art. 5 cod. proc. civ. ma al rilievo della già intervenuta (prima dell’entrata in vigore del Codice) formazione di una preclusione processuale alla ulteriore delibazione delle questioni di competenza, per effetto dell’inutile scadenza del termine di cui all’art. 31 l. n. 1034/1971, preclusione destinata a resistere rispetto alla nuova disciplina codicistica.

Non sono, per altro, mancate anche ulteriori soluzioni quali quella del TAR Marche - che con ordinanza n. 127/2010 ha investito il Consiglio di Stato della disciplina transitoria con regolamento d’ufficio – o quella del TAR Sicilia, Catania - che ha invece ritenuto ancora applicabile - successivamente alla entrata in vigore del Codice, ma con riferimento ad un regolamento anteriormente proposto - la disciplina di cui all’art. 31 l. n. 1034/1971, operando la delibazione di rito (sez. I, 8 novembre 2010 , n. 4359) ed orientandosi in senso opposto a quanto ritenuto da TAR Campania, Napoli, che ha invece “convertito” il vecchio regolamento di competenza in eccezione di incompetenza (sez. VII, ord. n. 642/2010).

E’, comunque, auspicabile che il Consiglio di Stato – già investito della problematica dal TAR Marche – possa dare un’indicazione univoca, anche tenendo conto dell’esigenza di assicurare una “ragionevole durata” a giudizi che altrimenti corrono il rischio - anche a distanza di anni - di essere “azzerati” e di dover “ripartire” presso un nuovo giudice.

E’, invece, probabile che tale dovrà essere la sorte dei giudizi già affetti da incompetenza funzionale – ed in ciò potrebbe evidenziarsi una ulteriore diversificazione di regime rispetto alla competenza territoriale inderogabile – quanto meno nei casi nei quali le rispettive originarie normative avessero previsto uno specifico “presidio” alla qualificazione della competenza quale funzionale.

 

                                                                                              Avv. Salvatore Veneziano

                                                                                  Pres. di Sez. int. T.A.R. Campania - Napoli



Relazione svolta al Convegno di studi sul tema “Il Codice del processo amministrativo”, tenuto a Palermo il 13.12.2010.

[1] Per una applicazione della norma, cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VII, ord. n. 686/2010.

[2] Per una sintetica puntualizzazione della tematica con riferimento al processo civile, cfr. gli “Appunti su questioni rilevabili d’ufficio e principio del contraddittorio” di A. Proto Pisani in Foro It., fasc. n. 11/2010, V, coll n. 301 e seg..

[3] Sin da Cons. Stato, sez. VI, 23 aprile 2002, n. 2199.

[4] T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, con ordd. nn. 799, 800 ed 801 del 17.11.2010 ha sollevato questione di costituzionalità degli artt. 15, co. 5, e 16, co. 1, nella parte in cui inibiscono al giudice incompetente la decisione cautelare, per altro in una ipotesi di (in)competenza funzionale (controversia comunque attinente alla complessiva azione di gestione del ciclo dei rifiuti, attribuita alla competenza del T.A.R. Lazio – Roma dagli artt. 135, co. 1, lett. e) e 133, co. 1, lett. p) del Codice).

[5] Ipotesi in relazione alle quali TAR Campania, sez. VII, aveva già adottato d’ufficio sentenza declinatoria di competenza con sentenza n. 2748 del 5.05.2010.

[6] T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, sentt. nn. 27382 e 27384 del 15.12.2010, ha ritenuto che “ancorché sia stata impugnata un’ordinanza adottata per una delle situazioni di emergenza previste dalla norma in parola, la controversia deve ritenersi attinente al rapporto di lavoro, con conseguente possibilità di applicare la clausola di cui al comma 2 dell’art. 135: infatti l’ordinanza viene impugnata solo nella parte in cui statuisce che il trattamento economico di missione, per i servizi espletati nell’ambito dell’emergenza rifiuti, spetta esclusivamente al personale non residente o non avente sede di servizio nella regione Campania. Deve ritenersi, pertanto, non sussistente la ratio che è alla base della previsione della competenza funzionale del Tar Lazio (accentrare nella sede di Roma controversie particolarmente delicate ed incidenti su interessi particolarmente “sensibili”, la cui trattazione nel Tar periferico è, evidentemente, ritenuta inopportuna)”.

[7] In ordine alle modalità di prosecuzione/riassunzione, può dubitarsi  della correttezza di una eventuale applicazione estensiva dell’art. 80 Codice (riassunzione/prosecuzione con semplice domanda di fissazione) attese le esigenze di corretta (re)instaurazione del contraddittorio aventi al giudice ad quem. sarà, quindi, forse necessario ricorrere al rinvio esterno al codice di procedura civile, ex art. 39 Codice, e segnatamene agli artt. 125 (Riassunzione della causa) e 126 (Fascicolo della causa riassunta) disposizioni di attuazione.