Corte Suprema di Cassazione
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Sez. 1, Sentenza n. 31695 del 2010

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. FAZZIOLI Edoardo - Presidente - del 10/06/2010
Dott. GIORDANO Umberto - Consigliere - SENTENZA
Dott. ZAMPETTI Umberto - Consigliere - N. 653
Dott. CAPOZZI Raffaele - rel. Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. PIRACCINI Paola - Consigliere - N. 43070/2009
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) CALABRESI LUCIO N. IL 26/04/1959;
2) MENEGHETTI ANGELO N. IL 14/11/1966;
3) SARTO DANIELE N. IL 09/04/1965;
avverso la sentenza n. 22/2008 CORTE ASSISE APPELLO di VENEZIA, del 18/06/2009;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/06/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. CAPOZZI Raffaele;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. FRATICELLI Mario che ha concluso per il rigetto di tutti i ricorsi;
Uditi i difensori Avv.ti MORRONE Gianni, CAPUZZO Franco, COPPI Franco e FORTUNA Francesco Saverio, che hanno chiesto l'accoglimento dei rispettivi ricorsi.
FATTO E DIRITTO
1. Con sentenza del 18.6.09 la Corte d'Assise d'Appello di Venezia:
- ha ridotto dall'ergastolo con isolamento diurno per la durata di mesi 6 all'ergastolo con isolamento diurno per la durata di mesi 4 la pena inflitta dalla Corte d'Assise di Padova, con sentenza del 18.6.08, emessa col rito dibattimentale, a CALABRESI Lucio, MENEGHETTI Angelo e SARTO Daniele per i reati di cui al capo 2.23- A) della rubrica (rapina pluriaggravata in concorso fra di loro commessa in Camisano Vicentino in data 1.11.91); al capo 2.25-A) della rubrica (tentata rapina aggravata in concorso fra di loro commessa in Vigonza il 15.3.92) ed al capo 2.25-B) della rubrica (omicidio aggravato in concorso fra loro di PADOVANI Andrea avvenuto il 15.3.92, in occasione della rapina in Vigonza), ritenuta la continuazione fra detti reati;
- ha mandato assolti CALABRESI Lucio, MENEGHETTI Angelo e SARTO Daniele dai reati di cui al capo 2.24-A) della rubrica (rapina pluriaggravata commessa in Grisignano di Zocco il 14.2.92) ed al capo 2.24-A) della rubrica (tentato omicidio, in concorso fra di loro, di TERMINI Guglielmo; FERRUCCI Giuseppe e NISTA Donato avvenuto il 14.2.92, in occasione della rapina di Grisignano di Zocco) con la formula "per non aver commesso il fatto". 2. I fatti di cui al presente processo si riferiscono a due rapine ascritte ad una banda, denominata in gergo malavitoso come "batteria", composta dagli odierni ricorrenti, oltre che da PIANTA Roberto, nel frattempo deceduto, svoltesi con analoghe modalità, a distanza di pochi mesi l'una dall'altra ed in zone contigue del Veneto, essendo stata la prima rapina commessa nel Comune di Camisano Vicentino in provincia di Vicenza il 1.11.91 e la seconda tentata rapina nel Comune di Vigonza in provincia di Padova il 15.2.92; ed essendo entrambe avvenute in danno di furgoni portavalori.
Nella prima rapina di Camisano Vicentino, il furgone blindato era stato assaltato, mentre era fermo per effettuare l'ultimo prelievo della giornata presso un supermercato della zona, da quattro uomini tutti col volto celato da passamontagna ed armati di pistole e fucili a pompa, i quali erano scesi da un furgone Fiat Fiorino, avevano bloccate le guardie giurate, che erano al di fuori del furgone e si erano impossessati di circa L. 524 milioni.
La seconda tentata rapina di Vigonza era avvenuta sull'autostrada A4, tra Padova e Dolo, sulla quale un furgone blindato era stato bloccato con l'ausilio di due auto, di cui una l'aveva sorpassato ed i cui occupanti avevano iniziato a sparare contro di esso, in tal modo uccidendo PADOVANI Andrea, la guardia giurata che era alla guida del furgone privo di giubbotto antiproiettile e che era stato attinto da un solo proiettile, che lo aveva colpito, dopo avere attraversato il vano motore del furgone.
La seconda auto dei rapinatori aveva a sua volta violentemente tamponato il furgone blindato, costringendolo a fermarsi. Secondo i giudici di merito la seconda rapina era rimasta allo stadio di tentativo non per la morte del PADOVANI, ma solo perché un'autovettura che procedeva sull'autostrada nello stesso senso di marcia non era riuscita ad evitare il furgone speronato rimasto al centro della carreggiata, uscendo di strada ed incendiandosi, costringendo i rapinatori ad allontanarsi precipitosamente dal luogo, per il probabile intervento della polizia.
La Corte d'Assise di Padova ha valorizzato le dichiarazioni rese dai chiamanti in reità PASTORE Giuseppe, MANIERO Felice, GIACOMELLI Ermes, ZAMMATIO Andrea e GALLETTO Stefano, ritenute attendibili in sè in quanto rese in momenti storici diversi e non essendo emersi elementi dai quali desumere la sussistenza di un accordo criminoso inteso a danneggiare gli imputati; tali dichiarazioni poi erano state ritenute corroborate da riscontri esterni, costituiti dall'autonomia, convergenza e specificità delle dichiarazioni rese da ciascuno degli altri.
PASTORE Giuseppe aveva riferito che il MENEGHETTI il giorno successivo alla rapina di Camisano Vicentino gli aveva confidato alcuni particolari di detta rapina; gli aveva raccontato che i rapinatori erano in cinque (MENEGHETTI, CALABRESI, PIANTA, SARTO ed un quinto non identificato); che le guardie erano state disarmate e poste all'interno del blindato; che quest'ultimo era stato condotto in aperta campagna, dove il SARTO era riuscito a calarsi nel foro della cassaforte, impadronendosi di circa L. 500 milioni di lire; che aveva sentito parlare di detta rapina anche nei giorni successivi, durante una cena in un ristorante, alla quale erano presenti, oltre al MENEGHETTI, anche il SARTO, il PIANTA e il CALABRESI.
Il PASTORE aveva saputo dal MENEGHETTI e dal PIANTA anche della tentata rapina di Vigonza, commessa dagli stessi soggetti; il MENEGHETTI gliene aveva anzi parlato la stessa notte in cui la stessa era avvenuta, mostrandosi adirato perché i complici non avevano saputo fare il loro lavoro, essendo fuggiti senza prendere il danaro; il PASTORE aveva poi assistito ad una lite intercorsa fra il MENEGHETTI ed il PIANTA al "Drink Bar", originata dal fatto che il MENEGHETTI, sul punto allertato proprio dal PASTORE, aveva rinfacciato al PIANTA di aver raccontato a troppe persone della fallita rapina; aveva poi dichiarato di avere fatto dichiarazioni accusatorie contro il MENEGHETTI solo in un secondo momento perché all'inizio l'aveva considerato un caro amico e non aveva voluto danneggiarlo. MANIERO Felice aveva dichiarato che il PIANTA ed il SARTO, interessati ad una rapina che egli stava progettando ad un vagone postale, gli avevano riferito di essere anch'essi interessati alla stessa per recuperare dei reperti che avrebbero potuto collegarli alla fallita rapina di Vigonza. Aveva dichiarato di essere intervenuto in un litigio intercorso fra il PASTORE ed il PIANTA, avendo quest'ultimo rinfacciato al PASTORE di aver riferito al MENEGHETTI che parlava con troppe persone della fallita rapina di Vigonza e di avere ingiunto in quell'occasione al PIANTA di smetterla.
GIACOMELLI Ermes cugino del SARTO, aveva dichiarato di ritenere che quest'ultimo coinvolto nella rapina di Vigonza in quanto subito dopo tale delitto non si era fatto più vivo, sebbene il SARTO avrebbe dovuto fare da testimone alle sue nozze; ed il SARTO gli aveva spiegato che si era allontanato per non farsi sottoporre all'esame stub.
ZAMMATIO Andrea aveva riferito di avere appreso dal PASTORE della lite intercorsa davanti al "Drink Bar" fra il MENEGHETTI ed il PIANTA e di averne saputo dallo stesso le ragioni, avere cioè il PIANTA partecipato alla fallita rapina di Vigonza ubriaco e di avere saputo in quell'occasione dal PASTORE che a detta rapina avevano preso parte il CALABRESI e SARTO Daniele, inteso come "boss".
GALLETTO Stefano, arrestato il 25.11.03, dal 29.11.03 e per tutto il 2004 aveva reso oltre 30 interrogatori, dichiarandosi responsabile di circa una cinquantina di reati.
Aveva saputo della rapina di Camisano Vicentino dal MENEGHETTI al "Drink bar" qualche giorno dopo il fatto, riferendo tutti i dettagli dell'azione criminosa anzidetta, fornendo un particolare inedito e cioè che una delle porte del blindato era stata tenuta aperta temendo che, una volta chiusa, non sarebbe stata possibile riaprirla.
Anche il SARTO gli aveva riferito di detta rapina, fornendogli una versione molto analoga a quella del MENEGHETTI ed affermando che era stato lui a calarsi nel foro praticato nella cassaforte del blindato a testa in giù per pendere il danaro.
Il GALLETTO aveva saputo della tentata rapina di Vigonza dal SARTO e dal MENEGHETTO nel 2003; il primo gli aveva descritto i fatti nei minimi particolari, confermando di essersi dileguato subito dopo la tentata sanguinosa rapina per evitare di essere sottoposto all'esame stub.
Il racconto del MENEGHETTI era stato più sintetico, ma era risultato comunque coincidente con quello fatto dal SARTO. Anche il SARTO aveva riferito al GALLETTO di una lite intervenuta fra il MENEGHETTI ed il PIANTA, collegata ad un insuccesso, che aveva portato allo scioglimento della batteria; ed anche se il GALLETTO non aveva riferito altro sul punto, è evidente che trattasi della stessa lite cui avevano fatto riferimento anche gli altri dichiaranti.
Sono state altresì valorizzate dalla Corte d'Assise di primo grado le dichiarazioni rese dal teste VASSALLO Raffaele, sentito all'udienza del 28.5.08 al termine del dibattimento, ex art. 507 c.p.p., su richiesta del P.M., che aveva ricevuto dal VASSALLO una lettera con la quale aveva chiesto di essere sentito. Il VASSALLO era stato compagno di cella di CALABRESI Lucio e di tale MAGRO Mariano dal febbraio 2007 alla metà del maggio 2008 ed aveva riferito di alcune confidenze ricevute dal CALABRESI nel corso dei lunghi mesi di comune detenzione in ordine alla rapina di Camisano Vicentino, alla tentata rapina di Vigonza ed all'omicidio di PADOVANI Andrea.
Va rilevato che la Corte d'Assise di Appello di Venezia ha confermato la valenza indiziaria delle dichiarazioni rese dal PASTORE, dal GALLETTO e dal VASSALLO, ritenendo le stesse idonee a confermare il verdetto di colpevolezza di tutti gli appellanti con riferimento alla rapina di Camisano Vicentino, alla tentata rapina di Vigonza ed all'omicidio di PADOVANI Andrea, ed ha ritenuto invece poco significativi i contributi offerti dai dichiaranti MANIERO e GIACOMELLI.
Entrambe le Corti di merito hanno poi ritenuto valido riscontro esterno, riferito alla tentata rapina di Vigonza ed all'omicidio di PADOVANI Andrea, la lite avvenuta al "Drink Bar" sito in Padova, via Facciolati, fra il PIANTA, componente poi deceduto della batteria protagonista dei delitti anzidetti, ed il MENEGHETTI, secondo la ricostruzione del PASTORE; ovvero fra il PASTORE ed il PIANTA, secondo la ricostruzione del MANIERO;
nonostante la diversa ricostruzione dei fatti, era certo che la lite era effettivamente avvenuta ed aveva avuto ad oggetto la fallita rapina di Vigonza, si da costituire un valido riscontro obiettivo alle dichiarazioni rese dai soggetti anzidetti.
3.Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione CALABRESI Lucio. MENEGHETTI Angelo e SARTO Daniele, il primo per il tramite dell'Avv. Gianni MORRONE; il secondo per il tramite dell'Avv. Franco CAPUZZO, il terzo per il tramite degli Avv.ti Franco COPPI e Francesco Saverio FORTUNA; quest'ultimo ha altresì depositato in data 10.3.10 motivi aggiunti.
4 CALABRESI Lucio ha proposto quindici motivi di ricorso. Col primo motivo, riferito alla rapina di Camisano Vicentino, lamenta motivazione illogica nella parte in cui la sentenza impugnata ha richiamato due precedenti giurisprudenziali non conferenti per ritenere che due chiamate di reità, entrambe de relato, potessero fornirsi reciproco riscontro.
Col secondo motivo, pure riferito alla rapina di Camisano Vicentino, lamenta motivazione contraddittoria ed illogica della sentenza impugnata nella parte in cui, per ritenere sufficienti gli indizi costituiti dalle dichiarazioni rese da due chiamanti in reità de relato (PASTORE e GALLETTO), aveva fatto riferimento ad un tema estraneo ai fatti di causa e cioè al tema delle dichiarazioni rese da un coimputato da un lato e le dichiarazioni rese da un imputato di
reato connesso o collegato; il che non aveva alcuna attinenza con il caso in esame, nel quale sussisteva il diverso problema della sufficienza degli indizi costituiti da dichiarazioni rese da due chiamanti in reità de relato;
Col terzo motivo, riferito alla rapina di Camisano Vicentino, lamenta motivazione contraddittoria e manifestamente illogica per averlo la sentenza impugnata ritenuto responsabile della rapina anzidetta sulla base delle dichiarazioni rese da PASTORE Giuseppe e GALLETTO Stefano.
La giurisprudenza della Suprema Corte era pervenuta alla conclusione che non vi poteva essere reciproca corroborazione fra due chiamate in reità se in entrambi i casi i dichiaranti riportavano fatti non percepiti direttamente, ma de relato, atteso che la chiamata in reità non comportava alcun rischio personale per il dichiarante in ordine al fatto denunciato; ed in tal caso la ricerca di riscontri esterni doveva essere particolarmente rigorosa, essendo la chiamata in reità de relato ontologicamente poco affidabile. Non era poi condivisibile la motivazione con cui il dichiarante GALLETTO Stefano era stato ritenuto soggettivamente credibile, per essere state ritenute attendibili le sue dichiarazioni, rese in diversi processi, conclusisi con sentenze passate in giudicato, non potendo spiegare alcuna efficacia nel procedimento in esame altre sue dichiarazioni riferite a soggetti diversi ed inserite in procedimenti diversi.
Col quarto motivo, riferito alla rapina di Camisano Vicentino, lamenta motivazione contraddittoria per intervenuto travisamento della prova, in quanto, difformemente da quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, della rapina in questione avevano riferito de relato solo il PASTORE ed il GALLETTO e non anche VASSALLO Raffaele, atteso che dall'esame della deposizione da quest'ultimo resa nel processo di primo grado all'udienza del 28.5.08, nessun riferimento era stato fatto dal VASSALLO alla rapina di Camisano Vicentino; e neanche dalla sentenza di primo grado poteva dedursi che il VASSALLO avesse parlato di lui come di uno degli autori della rapina anzidetta.
Col quinto motivo, riferito alla tentata rapina di Vigonza ed all'omicidio di PADOVANI Andrea, lamenta motivazione contraddittoria ed illogica della sentenza impugnata, con riferimento ai criteri di valutazione della chiamata in reità de relato, non potendosi ritenere che le dichiarazioni rese da PASTORE Giuseppe e GALLETTO Stefano fossero tali da integrare la prova della sua colpevolezza in ordine ai reati anzidetti
Col sesto motivo, riferito alla tentata rapina di Vigonza ed all'omicidio di PADOVANI Andrea, lamenta inosservanza delle norme processuali per avere il giudice di primo grado ritenuto di ammettere la deposizione testimoniale di VASSALLO Raffaele ex art. 507 c.p.p. su presunte confessioni dal medesimo ricevute da parte dell'odierno ricorrente, suo compagno di cella.
La Corte territoriale aveva avallato l'operato del primo giudice, ritenendo che la norma di cui all'art. 507 c.p.p. potesse essere utilizzata non solo sulla base di atti processualmente utilizzabili e quindi afferenti al materiale probatorio in precedenza acquisito, ma anche con riferimento ad una circostanza appresa aliunde, e quindi anche sulla base di una dichiarazione, orale del P.M., che, nel corso del processo di primo grado, aveva appunto segnalato che il VASSALLO era venuto a conoscenza di fatti rilevanti per il processo in corso, in quanto la norma di cui all'art. 507 c.p.p. non avrebbe posto alcuna limitazione al potere d'integrazione probatoria conferito al giudice.
L'art. 507 c.p.p. andava invece interpretato nel senso che il potere d'integrazione probatorio ufficioso conferito al giudice poteva essere collegato solo alla lettura di atti utilizzabili contenuti nel fascicolo del dibattimento, ovvero di atti inseriti nel fascicolo del P.M. ed utilizzabili attraverso l'avviso di deposito alle parti processuali.
Col settimo motivo, riferito alla tentata rapina di Vigonza ed all'omicidio di PADOVANI Andrea, lamenta violazione di norme processuali in quanto VASSALLO Raffaele era stato sentito come teste senza le cautele di cui all'art. 210 c.p.p., comma 6; e ciò sebbene fossero emersi a suo carico la sussistenza di reati connessi ai sensi dell'art. 371 c.p.p., comma 2, lett. b).
Il VASSALLO infatti aveva deposto su confidenze ricevute da esso ricorrente, mentre erano ristretti nella stessa cella, in occasione di un accordo fra di essi intercorso per evadere da detto carcere; ed aveva dichiarato che esso ricorrente gli aveva mostrato una lima, con cui aveva saggiato la possibilità di tagliare il ferro di una sbarra della cella carceraria.
Nella specie si era quindi trattato non solo dei reati di danneggiamento aggravato e di porto di oggetto atto ad offendere consumati, ma di un vero e proprio tentativo di evasione, reati da ritenere collegati sul piano probatorio con quello giudicato nella presente sede, in quanto il VASSALLO in tanto aveva ricevuto dette confessioni, in quanto aveva aderito al reato di evasione propostogli da esso ricorrente.
Con l'ottavo motivo, riferito alla tentata rapina di Vigonza ed all'omicidio di PADOVANI Andrea, lamenta carenza di motivazione in ordine alla valutazione della credibilità di VASSALLO Raffaele. La Corte territoriale aveva confutato al riguardo solo due delle molteplici argomentazioni da lui svolte in appello e cioè con riferimento alla inverosimiglianza delle confidenze fatte da esso ricorrente al VASSALLO ed alla possibilità che il VASSALLO avesse potuto acquisire le notizie leggendo gli atti processuali che esso ricorrente aveva con sè in cella.
Nulla la Corte aveva riferito circa i vantaggi processuali che il VASSALLO avrebbe potuto conseguire; circa l'inverosimiglianza delle sue dichiarazioni sulle ragioni che lo avevano indotto a collaborare e sulla possibilità di evadere con una lima da un carcere di massima sicurezza; circa la contraddittorietà delle dichiarazioni del VASSALLO circa l'imminente scarcerazione di esso ricorrente per decorrenza dei termini di custodia cautelare.
Con il nono motivo, riferito alla tentata rapina di VIGONZA ed all'omicidio di PADOVANI Andrea, lamenta contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine al diniego di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale per acquisire i risultati delle intercettazioni ambientali effettuate all'interno della cella occupata da esso ricorrente e dal VASSALLO. Tale diniego era stato motivato ritenendo che le conversazioni fra esso ricorrente ed il VASSALLO potevano essere avvenute anche fuori di tale cella; il VASSALLO aveva tuttavia dichiarato in primo grado che dette conversazioni erano avvenute sia all'esterno, durante l'ora d'aria, sia all'interno della cella.
Con il decimo motivo, riferito alla tentata rapina di VIGONZA ed all'omicidio di PADOVANI Andrea, lamenta la mancanza di motivazione in ordine al rigetto della sua richiesta di rinnovazione del dibattimento per escutere a teste il luogotenente SANTINI Pietro e di acquisizione del certificato del casellario giudiziale di VASSALLO Raffele, allo scopo di contestarne l'attendibiità, per avere egli taciuto una serie di delitti da lui commessi in epoca antecedente al suo esame.
Con l'undicesimo motivo, riferito alla tentata rapina di VIGONZA ed all'omicidio di PADOVANI Andrea, lamenta che la sentenza impugnata nessun cenno aveva fatto della sua richiesta, formulata alla Corte territoriale con motivi nuovi ex art. 585 comma quarto c.p.p., intesa ad acquisire la denuncia proposta da MAGRO Mariano il 28.7.08 nei confronti di VASSALLO Raffaele ed il fascicolo del P.M. di Vicenza n. 4980/08, nonché intesa ad escutere a teste l'appuntato della polizia penitenziaria SOLIGO.
MAGRO Mariano, quale terzo occupante della cella nella quale erano stati altresì reclusi esso ricorrente ed il VASSALLO, aveva denunciato il VASSALLO per le affermazioni calunniose da quest'ultimo effettuate nei suoi confronti, indicando a teste il SOLIGO; ed a seguito di tale denuncia era stato iniziato dalla Procura di Vicenza un procedimento penale.
Con il dodicesimo motivo, riferito all'omicidio di PADOVANI Andrea, lamenta carenza di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla sua richiesta, contenuta nell'atto di appello, intesa ad ottenere la riqualificazione del delitto ascrittogli (omicidio ex art. 575 c.p.) quale reato di cui all'art. 586 c.p. (morte come conseguenza di altro delitto).
Secondo il ricorrente l'avere egli sparato assieme agli altri suoi complici contro il furgone non significava aver voluto uccidere la guardia giurata che era all'interno del medesimo, avendo essi fatto affidamento sulla blindatura del mezzo ed essendo il loro scopo solo quello di bloccare il furgone, sparando al motore; era stata solo una tragica fatalità che il PADOVANI alla guida del furgone, era l'unica guardia giurata a non indossare il giubotto antiproiettile. Con il tredicesimo motivo, riferito all'omicidio di PADOVANI Andrea, lamenta erronea applicazione della legge penale, per avere la sentenza impugnato, ritenuto compatibile il dolo eventuale e l'aggravante del nesso ideologico, in quanto un'azione delittuosa commessa al fine di commettere un ulteriore reato era per ciò stesso intenzionale, essendo necessaria la previsione e volontà di commettere non solo il reato fine, ma anche il reato mezzo. Non poteva poi ritenersi che l'aggravante teleologica avesse natura oggettiva, avendo essa al contrario natura squisitamente soggettiva, si da richiedere la valutazione dell'atteggiamento psicologico dell'agente.
Con il quattordicesimo motivo, riferito all'omicidio di PADOVANI Andrea, lamenta carenza assoluta di motivazione della sentenza impugnata sul punto concernente la dedotta incompatibilità fra il concorso formale ritenuto sussistente fra il delitto di rapina tentata ed il delitto di omicidio volontario e l'aggravante teleologica contestatagli.
Con il quindicesimo ed ultimo motivo, riferito all'omicidio di PADOVANI Andrea, lamenta carenza di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla richiesta da lui formulata nell'atto di appello, intesa ad ottenere la concessione delle attenuanti generiche.
La Corte territoriale gli aveva negato dette attenuanti facendo riferimento a quanto sul punto rappresentato dal giudice di primo grado, senza esaminare gli ulteriori argomenti da lui esposti in appello, che avrebbero consentito la concessione delle stesse. 5. MENEGHETTI Angelo ha proposto nove motivi di ricorso. Con il primo motivo lamenta violazione di legge e difetto di motivazione in ordine ad una eccezione di rito già svolta fin dall'udienza preliminare, concernente la designazione del G.I.P. incaricato di celebrare tale udienza preliminare, riportandosi a quanto svolto sul punto dalla difesa del coimputato SARTO Daniele. Con il secondo motivo lamenta carenza di motivazione in ordine a quanto da esso ricorrente eccepito, circa la mancanza di sicuri collegamenti operativi fra le due rapine per le quali era stato condannato, essendo esse avvenute con modalità differenti, utilizzando armi differenti e non essendo emerso che esso ricorrente avesse mai frequentato gli altri coimputati.
Con il terso motivo lamenta violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione per non avere la Corte territoriale proceduto alla riapertura dell'istruzione, onde acquisire le intercettazioni ambientali all'interno della cella in cui erano rinchiusi il dichiarante VASSALLO Raffaele ed il coimputato CALABRESI Lucio; la motivazione addotta dalla Corte territoriale per escludere tale acquisizione (i colloqui rilevanti potevano anche essere avvenuti fuori della cella) era illogica, in quanto non poteva escludersi a priori il contenuto di tali intercettazioni; era altresì illogica la motivazione con cui la Corte territoriale aveva respinto le sue doglianze, secondo cui il VASSALLO aveva riferito notizie apprese non dal CALABRESI, ma consultando le copie degli atti processuali che quest'ultimo aveva in cella.
Con il quarto motivo lamenta motivazione illogica circa la valutazione degli indizi emersi a suo carico, avendo la sentenza impugnata ritenuto idonea a fondare la sua penale responsabilità la semplice presenza di due dichiarazioni de relato, rese da GALLETTO Stefano e PASTORE Giuseppe, ritenute reciprocamente riscontrate;
il fatto poi che quest'ultimo avesse fatto solo in un secondo momento il suo nome era stato ritenuto dalla Corte territoriale plausibile, per avere il PASTORE dichiarato che il suo nome non era stato fatto prima perché a lui legato da rapporti di amicizia; il che tuttavia non gli aveva impedito di accusarlo di altre rapine e di un reato in materia di stupefacenti, con conseguente inaffidabilità delle dichiarazioni dal medesimo rese.
Altri elementi di illogicità erano rinvenibili nel contraddittorio uso fatto dalla Corte territoriale delle differenze ed imprecisioni riscontrate nelle propalazioni fatte dai dichiaranti anzidetti, essendo esse state ritenute come prova logica della veridicità e genuinità delle dichiarazioni.
Le dichiarazioni fatte dal GALLETTO erano state ritenute poi dalla Corte territoriale attendibili, pur avendo esso ricorrente fatto presente che la chiarezza con cui aveva riferito fatti lontani nel tempo provavano che il dichiarante aveva avuto accesso ad atti e documenti processuali ed aveva letto articoli di stampa dell'epoca. Con il quinto motivo lamenta violazione delle norme processuali per essere stato il VASSALLO sentito senza le garanzie di legge, dopo che aveva reso dichiarazioni autoindizianti, circa la sua partecipazione ad un tentativo di evasione con prodromica attività di danneggiamento; nonché omessa motivazione, da parte della Corte territoriale, in ordine ad una doglianza da esso ricorrente espressamente proposta con un motivo di appello, concernente l'insussistenza dei presupposti di cui all'art. 507 c.p.p. per assumere a teste il VASSSALLO nel corso del giudizio di primo grado.
Con il sesto motivo lamenta inosservanza di legge ed illogicità manifesta in ordine ai riscontri individualizzanti emersi a suo carico, con riferimento alla rapina di CAMISANO Vicentino. Il PASTORE aveva detto che il furgone era stato fermato dai rapinatori, mentre invece era emerso che il furgone era fermo quando era stato preso d'assalto, col personale di vigilanza che già era all'esterno del furgone; inoltre le dichiarazioni del GALLETTO erano risultate in contrasto con quelle del PASTORE, atteso che il primo aveva detto che il furgone era stato portato nei pressi di un argine, mentre il secondo aveva detto che il furgone era stato portato in mezzo ai campi.
Il GALLETTO aveva poi detto di aver ricevuto le dichiarazioni da lui riferite da soggetti coimputati in vari procedimenti, originati da tali sue dichiarazioni; il che aveva impedito di qualificare le sue dichiarazioni come testimonianza indiretta, con conseguente esclusione della necessità di verificare tali dichiarazioni in dibattimento, ai sensi dell'art. 195 c.p.p.; tuttavia non era stata fatta alcuna verifica in ordine al fatto che dette dichiarazioni provenissero effettivamente da soggetti coimputati. Con il settimo motivo lamenta violazione di legge e motivazione illogica in ordine alla ritenuta sussistenza dei riscontri individualizzanti riferiti alla tentata rapina di Vigonza, in quanto dei 6 dichiaranti solo tre (PASTORE, GALLETTO e VASSALLO) avevano riferito del fatto; la Corte territoriale aveva ritenuto come valido riscontro esterno a tali dichiarazioni la lite al "Drink Bar", di cui avevano riferito PASTORE, ZAMATTIO, MANIERO e GALLETTO; tuttavia nessuna concordanza era emersa in ordine a tale asserita lite e solo il PASTORE aveva collegato con sicurezza tale lite alla tentata rapina di Vigonza.
Con l'ottavo motivo lamenta erronea applicazione della legge penale e difetto di motivazione, richiamando quanto rappresentato in loro difesa dal SARTO e dal CALABRESI circa l'incompatibilità giuridica fra l'aggravate di cui all'art. 62 c.p., n. 2 (aggravante del nesso teleologico) con l'ipotesi di concorso formale ravvisato dalla sentenza impugnata fra la tentata rapina di Vigonza e l'omicidio di PADOVANI Andrea, nonché in ordine all'insussistenza del dolo riferito al reato di cui all'art. 575 c.p., dovendosi ravvisare nella specie il diverso reato di cui all'art. 586 c.p. (morte come conseguenza di altro delitto).
Con il nono ed ultimo motivo lamenta violazione di legge e motivazione carente in ordine alla mancata concessione in suo favore delle attenuanti generiche, non essendo state valutato il suo stato di incensuratezza ed essendo intervenuta solo nel 1998 una condanna per una serie di reati contro il patrimonio e quindi in epoca non immediatamente contigua ai fatti di causa, risalenti al 1991 ed al 1992; non era stata inoltre adeguatamente valutata la non eccessiva intensità del dolo ravvisabile nel suo comportamento. ¢.L'Avv. Franco COPPI per SARTO Daniele ha proposto sette motivi di ricorso.
Con il primo motivo lamenta violazione di legge e carenza di motivazione in ordine all'eccezione di nullità assoluta dell'udienza preliminare, sollevata da esso ricorrente con riferimento ai criteri di designazione del G.I.P, essendosi rivelati incompatibili tutti i magistrati assegnati all'ufficio, si da indurre il Presidente del Tribunale ad utilizzare in via analogica i criteri fissati per la composizione dei collegi giudicanti; il che costituiva violazione del principio generale di precostituzione del giudice naturale; inoltre il giudice designato era stato assegnato in via esclusiva alla sezione distaccata di Este, si che il medesimo non avrebbe potuto svolgere funzioni presso la sede principale del Tribunale di Padova. La Corte territoriale non si era poi pronunciata sull'eccezione di illegittimità costituzionale sollevata da esso ricorrente in ordine all'art. 33 c.p.p., comma 2, art. 7 bis, comma 1 e art. 7 ter ord. giud. per contrasto con gli artt. 2, 3, 25, 101, 192, 111 e 117 Cost., nella parte in cui non prevedono la nullità dei provvedimenti adottati dai giudici, quando emessi in violazione delle disposizioni e dei criteri sull'assegnazione dei processi ai giudici. Con il secondo motivo lamenta violazione di legge e difetto di motivazione in ordine all'eccepita inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da VASSALLO Raffaele, il quale, nel corso della sua deposizione, aveva fatto affermazioni dalle quali erano evincibili i reati di tentata evasione e danneggiamento aggravato, si che l'esame del medesimo avrebbe dovuto essere interrotto per dargli gli avvisi di cui all'art. 63 c.p.p., comma 1 e art. 64 c.p.p.; il che non era avvenuto, con conseguente inutilizzabilità delle sue dichiarazioni.
Con il terzo motivo lamenta erronea applicazione art. 507 c.p.p. per insussistenza del requisito dell'assoluta necessità di assumere a teste VASSALLO Raffaele.
La deposizione di quest'ultimo, teste a sorpresa dell'ultimo minuto, non era munita di alcun carattere di novità rispetto alle prove già assunte, come del resto ritenuto dalla stessa Corte territoriale, si che non avrebbe dovuto darsi corso alla medesima; inoltre, in ordine alle dichiarazioni dal medesimo rese, esso ricorrente non era stato messo in condizioni di esercitare il diritto di difesa in condizioni di parità.
Con il quarto motivo, riferito alla tentata rapina di Vigonza, lamenta inosservanza art. 192 c.p.p. e difetto di motivazione, per avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto che i riscontri ad una chiamata in reità de relato potevano essere costituiti da altre chiamate in reità de relato.
Era invece necessario che ciascuna chiamata fosse verificata nella sua indipendenza, nella sua attendibilità intrinseca e nella sua compatibilita all'interno del quadro probatorio, si da poterne ritenere autosufficiente il contenuto; al contrario nel caso in esame le dichiarazioni dei propalanti erano scarse di contenuto narrativo, in particolare il GALLETTO ed il PASTORE si erano limitati ad indicare esso ricorrente come uno dei correi del fatto criminoso, senza neppure specificarne il ruolo.
Inoltre era emerso che il GALLETTO era già era a conoscenza delle dichiarazioni accusatorie fatte dal PASTORE, si che era evidente il rischio di reciproche interferenze, condizionamenti e contaminazioni nelle dichiarazioni dei due propalanti, come poteva desumersi dal fatto che entrambi avevano riferito in modo errato che era stato solo il PIANTA a fuggire per i campi, quando invece era emerso che erano stati due i malviventi che si erano allontanati con tutta calma.
Non era stata pertanto provata l'attendibilità dei dichiaranti ed il riscontro alle loro dichiarazioni non era stato costituito da un elemento esterno alla chiamata in reità; ed erroneamente la sentenza impugnata aveva ritenuto che la convergenza nell'indicazione dei nominativi degli imputati fosse utilizzabile non solo per sostenere l'attendibilità dei propalanti, ma anche quale ulteriore conferma dell'attendibilità dei medesimi; in particolare era tautologico l'avere assunto come riscontro alle dichiarazioni del GALLETTO non un elemento esterno, ma le dichiarazioni rese dal PASTORE in epoca anteriore.
Inoltre la ricorrente presenza di imprecisioni, omissioni ed errori non consentiva di fondare in modo ragionevole l'attendibilità intrinseca dei chiamanti, in quanto nessun elemento consentiva di desumere una loro conoscenza privilegiata dei fatti di Vigonza e Camisano Vicentino, per averla appresa da chi vi avesse realmente preso parte.
In tal modo la chiamata in reità de relato, priva di qualsiasi riscontro individualizzante, poteva diventare un'arma micidiale difficile da neutralizzare, in quanto ad essa nulla poteva opporre l'accusato.
Le vicende erano state riferite in modo non monco, ma erroneo e le divergenze riscontrate in ordine alle medesime circostanze di fatto non potevano trovare la propria giustificazione nel fatto che la fonte dell'informazione dei chiamanti era diversa, in quanto il GALLETTO avrebbe conosciuto i dettagli da esso ricorrente, mentre il PASTORE avrebbe conosciuto i dettagli dal MENEGHETTI. Il PASTORE era stato inattendibile nell'indicare che il MENEGHETTI gli aveva confessato la tentata rapina di Vigonza al "Drink Bar", dove lo aveva incontrato qualche ora dopo la rapina;
infatti il bar anzidetto chiudeva alle 2 del mattino; la tentata rapina di Vigonza era avvenuta all'1,30 circa del mattino, si che era inverosimile che il PASTORE avesse incontrato al "Drink Bar" il MENEGHETTI due o tre ore dopo il fatto; del resto il PASTORE già in precedenti occasioni aveva accusato innocenti di gravissimi fatti di sangue.
Le chiamate in reità de relato erano rimaste quindi prive di riscontri esterni, avendo la sentenza impugnata ritenuto non attendibili alcuni di tali riscontri indicati dalla sentenza di primo grado, come l'identità delle armi nelle due rapine, ovvero la scomparsa del SARTO subito dopo la tentata rapina di Vigonza. La deposizione del VASSALLO, quale testimonianza indiretta avente ad oggetto la confessione stragiudiziale, che il CALABRESI gli avrebbe fatto, di avere partecipato alla tentata rapina di Vigonza, non poteva definirsi un riscontro valido alle dichiarazioni rese dal PASTORE e dal GALLETTO; infatti non era stato dimostrato che il CALABRESI avesse fatto veramente detta confessione, essendo state le dichiarazioni rese dal VASSALLO piene di errori ed imprecisioni e prive di riscontri esterni individualizzanti.
Esse poi, indicate dal primo giudice come estremamente importanti, erano state invece ritenute dalla Corte territoriale di valore non decisivo.
Non era stato tenuto presente che esso ricorrente, nella immediatezza della tentata rapina di Vigonza, si era sottoposto alla prova del DNA, che aveva dato esito negativo.
Non era stata ritenuta credibile la deposizione della teste CARRARO Giorgia, all'epoca a lui legata sentimentalmente, in considerazione del lungo tempo trascorso, pur avendo la teste confermato tutti gli spostamenti di lui riferiti.
Con il quinto motivo lamenta erronea applicazione artt. 575 e 61 n. 2 c.p. e difetto di motivazione nel rigetto dei motivi di appello intesi a dimostrare l'insussistenza nel comportamento del ricorrente del dolo, anche sotto forma del dolo eventuale, con conseguente non ravvisabilità nella specie dell'aggravante del nesso teleologico, di cui all'art. 61 c.p., n. 2.
L'unico obiettivo dei rapinatori era stato infatti quello di portare via le somme di danaro custodite nel furgone blindato, si che non sussisteva una loro volontà omicidiaria, avendo i malviventi sparato i colpi d'arma da fuoco contro il blindato a solo scopo intimidatorio; il delitto di omicidio doveva quindi essere qualificato ai sensi dell'art. 586 c.p. (morte come conseguenza di altro delitto).
Con il sesto motivo, riferito alla rapina di Camisano Vicentino, lamenta violazione di legge e difetto di motivazione in ordine alla sussistenza di validi indizi di colpevolezza a suo carico. Erano stati ritenuti credibili ed attendibili i dichiaranti GALLETTO, PASTORE e VASSALLO; era stato detto che essi avevano mostrato di conoscere dettagli della rapina di Camisano Vicentino non riportate nella cronaca del tempo; tuttavia quando il GALLETTO lo aveva incontrato a casa propria, egli era in possesso di copia delle s.i.t. rese da VIANELLO Giampaolo, uno delle guardie giurate rimaste coinvolte nella rapina, oltre che di articoli di giornale, relativi alla rapina in questione.
Inoltre il VASSALLO non era riuscito a sapere dal CALABRESE neppure il luogo in cui la rapina era avvenuta e neppure il nome degli altri partecipanti alla stessa.
Con il settimo ed ultimo motivo lamenta violazione di legge e difetto di motivazione per avere la Corte territoriale negato il rinnovo dell'istruttoria dibattimentale, per acquisire documenti idonei a dimostrare l'inattendibilità del dichiarante PASTORE, nella parte in cui aveva affermato che, stando egli al "Drink Bar" sito in Padova, via Facciolati, aveva sentito le volanti della polizia che erano sopraggiunte sul luogo della rapina.
7. L'Avv. Francesco Saverio FORTUNA per SARTO Daniele ha proposto dodici motivi di ricorso, oltre a sette motivi aggiunti, contenuti in una memoria depositata il 10.3.10.
Con il primo motivo lamenta violazione della disciplina dettata in tema di giudice naturale precostituito per legge, per nullità assoluta ed insanabile dell'udienza preliminare, in quanto il giudice di detta udienza era stato designato al di fuori di qualsiasi previsione imposta dal sistema tabellare; reitera altresì la questione di illegittimità costituzionale dell'art. 33 c.p.p., comma 2 e dell'art. 48 sexies ordinamento giudiziario, già proposta in grado di appello.
Con il secondo motivo lamenta inosservanza della legge processuale e carenza di motivazione per avere la Corte territoriale travisato le sue doglianze, aventi ad oggetto l'operato del Presidente della Corte d'Assise di Padova, che aveva compresso il suo diritto di difesa, impedendogli di porre al teste chiave VASSALLO diverse domande per saggiarne l'attendibilità.
Con il terzo motivo lamenta inosservanza delle norme processuali e carenza di motivazione, nella parte in cui all'udienza di primo grado del 28.5.08 era stato ammessa l'audizione del teste VASSALLO Raffaele, secondo la richiesta formulata dal P.M., senza il previo deposito da parte di quest'ultimo del relativo verbale di s.i.t., tuttavia letto dalla Corte d'Assise di Padova prima di essere stato messo a disposizione della difesa.
Non vi era inoltre alcuna assoluta necessità di assumere tale nuovo mezzo di prova; il giudice di primo grado aveva poi erroneamente omesso di interrompere l'esame del teste VASSALLO per rendere gli avvisi di cui all'art. 63 c.p., comma 1 e art. 64 c.p. e non aveva assunto la deposizione ai sensi dell'art. 210 c.p.p., comma 6, sebbene fossero emersi nei confronti del teste indizi di reità in relazione ai reati di tentativo di evasione e di danneggiamento aggravato; ed era erroneo quanto ritenuto sul punto dalla Corte territoriale che non vi fossero stati atti idonei a configurare la fattispecie di tentata evasione e che, inoltre, alcun obiettivo collegamento sussisteva fra la denunciata condotta di tentata evasione ed i fatti per i quali il VASSALLO era stato chiamato a testimoniare.
Con il quarto motivo lamenta motivazione carente e contraddittoria della sentenza impugnata nella parte in cui aveva respinto la sua richiesta di assumere diverse prove decisive, previa rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, intesa ad ottenere l'acquisizione e la trascrizione delle captazioni ambientali disposte nella cella del VASSALLO; la documentazione relativa all'orario di apertura del "Drink Bar" nel 1992; la documentazione relativa ai percorsi seguiti dalla polizia nella notte della tentata rapina di Vigonza;
la deposizione testimoniale del teste SANTINI sulle indagini svolte nei confronti del VASSALLO, nonché il certificato penale di quest'ultimo, allo scopo di saggiare l'attendibilità del chiamante in reità PASTORE e del teste VASSALLO.
Con il quinto motivo lamenta inosservanza di norme processuali e motivazione contraddittoria, in quanto era stato accertato che per i reati per i quali si procedeva, i dichiaranti non potevano invocare la disciplina prevista per i collaboratori di giustizia, di cui al d.l. 8/1991; al contrario tale normativa era applicabile nei confronti di MANIERO Felice, condannato per associazione mafiosa e nei confronti di GALLETTO Stefano, sottoposto al regime di cui i all'art. 41 bis o.p.; quindi le dichiarazioni dei dichiaranti avrebbero dovute essere utilizzate secondo la normativa prevista per i collaboratori di giustizia dal D.L. n. 8 del 1991, convertito nella L. 15 marzo 1991, n. 82, così come modificata dalla L. n. 45 del 2001; il che nella specie non era avvenuto, avendo il GALLETTO reso dichiarazioni non utilizzabili, siccome rese oltre i 180 giorni dall'inizio della collaborazione.
Era poi errata la motivazione con la quale la Corte territoriale aveva respinto le proprie doglianze relative al fatto che all'udienza di primo grado del 17.4.08 i collaboratori GIACOMELLI, ZAMATTIO, PASTORE, MANIERO e GALLETTO erano stati sentiti in violazione dell'art. 64 c.p.p., comma 3 e art. 197 bis c.p.p., avendo la Corte d'Assise di Padova ritenuto che tali norme non si applicassero nel corso del dibattimento.
Con il sesto motivo lamenta che la Corte territoriale, pur avendo ritenuto non rilevanti a livello di indizi quasi tutti gli elementi di riscontro, ritenuti viceversa significativi dalla Corte d'Assise di primo grado, avesse poi ritenuto di porre a fondamento della sua condanna solo le chiamate del PASTORE e del GALLETTO. Non era invero condivisibile che le chiamate in reità fatte dal PASTORE e dal GALLETTO potessero corroborarsi mutualmente; non era cioè consentito l'ammissibilità del riscontro per chiamate incrociate; in tale ultima ipotesi anzi la ricerca di riscontri esterni che confermassero l'attendibilità di tali dichiarazioni era ancor più necessaria e doveva essere particolarmente rigorosa. Eventuali deroghe a tali canoni di valutazione per riscontri riguardavano ipotesi di criminalità organizzata di tipo mafioso, nelle quali la giurisprudenza di legittimità aveva ravvisato un flusso circolare di informazioni, che si consolidavano nel tempo, arricchendosi man mano di particolari, si da consentire tale mutua corroborazione.
Nella specie invece il contesto ambientale era differente; e d'altra parte, la stessa Corte territoriale aveva ritenuto inattendibili proprio quei soggetti che, in astratto, avrebbero potuto far da tramite al flusso conoscitivo di cui sopra; infatti nessuna valenza indiziaria era stata data al capo dei capi della mala del Brenta e cioè a MANIERO Felice, nonché ad altri soggetti gravitanti in tale ambiente, quali GIACOMELLI e ZAMATTIO; quindi la sentenza impugnata era viziata per avere omesso di verificare la genuinità della fonte della relatio.
Era comunque da devolvere alle Sezioni Unite la questione relativa alla possibilità di ritenere raggiunta la prova di responsabilità in caso di chiamata di reità de relato riscontrata solo da altra chiamata di reità de relato, si da potere prescindere da riscontri esterni anche al di fuori dei procedimenti di stampo mafioso. Con il settimo motivo lamenta che i chiamanti siano stati ritenuti attendibili dalla Corte territoriale, senza che fosse stata esaminata la loro personalità ed i loro rapporti con gli accusati, avendo la sentenza impugnata affrontato in meno di due fogli il punto cruciale della credibilità intrinseca ed estrinseca delle chiamate in reità. La sentenza impugnata non aveva poi effettuato alcuna verifica circa l'attendibilità oggettiva delle dichiarazioni rese dai dichiaranti. Era da ritenere poi che fra le dichiarazioni rese dal GALLETTO e dal PASTORE vi fossero evidenti contaminazioni e collegamenti, si che esse, oltre ad essere intrinsecamente inattendibili, neppure potevano essere ritenute autonome.
Con l'ottavo motivo lamenta inosservanza di norme processuali e carenza di motivazione in ordine alle valutazioni frazionate delle dichiarazioni rese da PASTORE, GALLETTO e VASSALLO, atteso che non era stato chiarito dalla sentenza impugnata piche le loro dichiarazioni erano state ritenute insufficienti con riferimento alla rapina di Grisignano di Zocco, per la quale egli era stato infatti assolto in appello ed invece idonee ed attendibili per la rapina di Camisano Vicentino e la tentata rapina di Vigonza; e ciò sebbene dalle perizie balistiche era emerso che a sparare tanto a Vigonza, quanto a Grisignano di Zocco erano state le stesse armi. Con il nono motivo lamenta motivazione carente e contraddittoria in ordine alla ritenuta valenza indiziante della deposizione resa dal teste VASSALLO, svalutata dal giudice di appello come "poco indiziante"; non era poi chiaro perché il teste anzidetto fosse stato ritenuto credibile per i fatti di Vigonza e di Camisano Vicentino e non attendibile invece per quanto concerne la rapina di Grisignano di Zocco.
Era stata poi travisata la prova, con riferimento alla chiamata di reità del GALLETTO, in quanto non era vero che quest'ultimo avesse riferito particolari della rapina di Camisano Vicentino non riportati nella cronaca del tempo; al contrario erano disponibili nella sua abitazione agli inizi del 2003 atti relativi al procedimento penale per i fatti relativi alla rapina di Camisano Vicentino, nonché numerosi ritagli di giornali che parlavano della rapina anzidetta.
Quanto poi alla tentata rapina di Vigonza, non costituivano valido riscontro nei suoi confronti la lite al "Drink Bar", che avrebbe potuto valere come riscontro individualizzante solo nei confronti del MENEGHETTI.
Inoltre le dichiarazioni rese da PASTORE e da GALLETTO erano ampiamente divergenti, tali da non potere costituire valida base per la sua dichiarazione di colpevolezza; in particolare nessuno dei dichiaranti era stato in grado di definire il ruolo da lui rivestito nella tentata rapina di Vigonza.
Con il decimo motivo lamenta l'erronea qualificazione del dolo ravvisato dalla sentenza impugnata nel suo comportamento, riferito all'omicidio PADOVANI, come dolo eventuale al contrario i colpi di arma da fuoco erano stati diretti solo contro il vano motore e la vittima PADOVANI era morta solo perché non aveva indossato il giubotto antiproiettile.
La motivazione adotta al riguardo dalla Corte territoriale, secondo cui sarebbe stato irrilevante approfondire la natura del dolo, se cioè fosse da ritenere dolo diretto od eventuale, era inappagante; e nulla la sentenza impugnata aveva riferito in ordine all'ipotizzata sussistenza del reato di cui all'art. 586 c.p., dovendosi escludere nella specie, da parte di esso ricorrente, l'accettazione del rischio morte della guardia giurata PADOVANI.
Con l'undicesimo motivo lamenta la mancata indicazione del contributo causale da lui fornito alla realizzazione dei reati ascrittigli;
sussisteva al riguardo un'evidente carenza di motivazione. La sentenza impugnata aveva poi omesso di rilevare che le doglianze da lui formulate in ordine all'elemento psicologico del suo comportamento erano intese non a ritenere sussistente il dolo eventuale nel suo comportamento, ma ad ottenere l'applicazione della norma di cui all'art. 586 c.p..
Con il dodicesimo ed ultimo motivo lamenta carenza di motivazione in ordine alla dosimetria della pena ed in ordine alla mancata concessione in suo favore delle attenuanti generiche. Con il primo motivo aggiunto lamenta carenza di motivazione in ordine all'omicidio del PADOVANI, non avendo la sentenza impugnata rilevato che il proiettile che aveva attinto mortalmente il PADOVANI aveva avuto una singolare traiettoria del tutto atipica, in quanto era penetrato all'interno dell'abitacolo del furgone portavalori da una feritoia del vano motore, colpendo il PADOVAN, sprovvisto di giubbotto antiproiettile; trattavasi quindi di un'ipotesi in cui il decorso causale aveva condotto all'evento in maniera diversa da come l'agente aveva previsto.
Con il secondo motivo aggiunto lamenta che la sentenza impugnata non aveva assolutamente motivato in ordine al fatto che il PADOVANI era stato ucciso siila scorta di un errore nei mezzi di esecuzione, in quanto la volontà dei rapinatori era solo quello di arrestare la corsa del furgone blindato; era quindi applicabile la norma di cui agli artt. 83 e 586 c.p., in quanto i rapinatori non avevano voluto neanche nella forma del dolo eventuale la morte della guardia giurata.
Con il terzo motivo aggiunto lamenta illegittimità della sentenza impugnata, per avere essa omesso qualsiasi valutazione in ordine alla derubricazione dell'omicidio del PADOVANI quale omicidio preterintenzionale, essendo la sua morte intervenuta come conseguenza di atti diretti a commettere uno dei reati di cui agli artt. 582 e 583 c.p.; i rapinatori avevano sparato colpi contro il furgone blindato solo per spaventare le guardie giurate, al più prevedendo la possibilità di ferirle, non quella di ucciderle.
Con il quarto motivo aggiunto lamenta che la sentenza impugnata ha omesso di valutare che il fatto omicidiario era da attribuire solo al PIANTA, si che era da escludere per esso ricorrente la configurabilità del concorso ex art. 110 c.p., dovendosi piuttosto ravvisare nella specie un'ipotesi di concorso anomalo, di cui all'art. 116 c.p., atteso che, nella specie, l'evento maggiore realizzato (omicidio PADOVANI) non era stato da lui in concreto previsto, si che nei suoi confronti era ravvisabile tale concorso anomalo, peraltro neppure inconciliabile con l'aggravante del nesso teleologico contestatogli.
Con il quinto motivo aggiunto lamenta che la sentenza impugnata abbia posto a suo carico l'aggravante del nesso teleologico di cui all'art. 61 c.p., n. 2, in relazione all'art. 576 c.p., comma 1, n. 1 e ciò sebbene nella vicenda non sussisteva autonomia delle condotte di omicidio e di rapina, essendosi esse verificate non a distanza apprezzabile di tempo, in quanto l'omicidio si era in pratica tradotto nella violenza della rapina, si che, nella specie, la circostanza della connessione ideologica non avrebbe potuto spiegare effetti.
Con il sesto motivo aggiunto lamenta l'incompatibilità fra il dolo eventuale ravvisato dalla sentenza impugnata quale elemento psicologico del reato mezzo, costituito dall'omicidio di PADOVANI Andrea e l'aggravante del nesso ideologico, ipotizzato quale collegamento col reato fine, costituito dalla rapina, nesso teleologico da intendere quale aggravante di natura soggettiva che aveva a fondamento la maggiore pericolosità di chi commetteva una serie di reati.
Con il settimo ed ultimo motivo aggiunto lamenta che la sentenza impugnata abbia esteso l'aggravante del nesso teleologico a tutti i compartecipi, pur trattandosi di aggravante avente natura soggettiva, si che sarebbe stato necessario motivare la partecipazione di tutti i correi al reato mezzo (omicidio del PADOVANI), che invece era stato attribuito dai chiamanti, in particolare dallo ZAMATTIA, al solo PIANTA, si da non essere stato voluto da esso ricorrente, in quanto l'uccisione della guardia giurata non era assolutamente necessaria e funzionale alla realizzazione della rapina al furgone blindato. 8. Sono infondati i primi quattro motivi di ricorso proposti da CALABRESI Lucio, da trattare congiuntamente siccome strettamente correlati fra di loro, concernendo essi la pretesa insufficienza degli elementi indiziati posti dalla sentenza impugnata a fondamento della sua penale responsabilità in ordine alla rapina di Camisano Vicentino.
A parte il richiamo, palesemente inconferente, fatto a due precedenti giurisprudenziali errati, tali motivi si incentrano invero sulla questione se possano costituire valido compendio probatorio a carico del CALABRESI le dichiarazioni rese nei suoi confronti da due chiamanti in reità de relato (nella specie PASTORE Giuseppe GALLETTO Stefano), non essendo emerso dagli atti che il collaboratore VASSALLO Raffaele abbia reso dichiarazioni riferibili alla rapina di Camisano Vicentino.
È infatti vero che, nella specie, i due dichiaranti anzidetti non sono ne' coimputati, ne' imputati di reati connessi o collegati;
tuttavia la giurisprudenza di questa Corte è pervenuta alla conclusione che un collaboratore anche non coimputato o non indagato nello stesso procedimento può essere credibile quando ha acquisito le notizie propalate nell'ambito della sfera di criminalità organizzata in cui sia inserito, purché venga accertata l'intrinseca attendibilità delle sue dichiarazioni, nonché la sussistenza di riscontri esterni, i quali, in caso di più chiamate convergenti, come nel caso in esame, possono anche consistere nella circostanza che le dichiarazioni riconducano il fatto all'imputato, anche se in modo non sovrapponibile, essendo sufficiente la confluenza su comportamenti riferiti alla persona dell'imputato ed alle imputazioni a lui attribuite; è quindi sufficiente che le dichiarazioni siano idonee a riscontrarsi reciprocamente nell'ambito della c.d. "convergenza del molteplice" (cfr. Cass. 1^, 21.11.06 n. 1560, rv. 235801).
L'elemento che rende nella specie le dichiarazioni di PASTORE Giuseppe e GALLETTO Stefano particolarmente attendibili e tali da potersi riscontrare reciprocamente è costituito dalla circostanza che trattasi di due soggetti inseriti come elementi di un certo rilievo in un contesto malavitoso che, pur non paragonabile a quelli mafiosi e camorristici, presenti prevalentemente in altre regioni italiane, è da ritenere non molto dissimile da questi ultimi, essendo emerso che le c.d. "batterie" con le quali venivano compiute le sanguinose rapine, verificatesi nella regione veneta, non erano composte sempre dagli stessi soggetti, i quali erano pertanto intercambiabili fra di loro; così pure era emerso che sussisteva una certa circolazione delle armi usate, le quali venivano ricomposte con pezzi presi da altre, si da poter fondatamente ritenere che si sia costituito un tessuto malavitoso non molto dissimile da quello tipico della mafia, nell'ambito del quale sussisteva un flusso circolare di notizie, di informazioni e di conoscenze, tali da consentire ai soggetti più in vista, quali sono da ritenere gli anzidetti due collaboranti, di essere in possesso di un patrimonio di informazioni, particolarmente attendibile ed al quale poter attribuire validità di riscontro esterno, pur trattandosi di soggetti che non avevano partecipato ai reati contestati all'odierno ricorrente, ne' avevano preso parte a reati connessi o collegati.
9. È infondato il quinto motivo di ricorso proposto da CALABRESI Lucio, concernente la tentata rapina di Vigonza e l'omicidio di PADOVANI Andrea.
Secondo il ricorrente non potevano costituire validi indizi di colpevolezza in ordine a tali reati le sole dichiarazioni rese da due chiamanti in reità de relato (PASTORE Giuseppe e GALLETTO Stefano).
Va al contrario rilevato, in aggiunta alle considerazioni svolte nel precedente paragrafo circa l'attendibilità intrinseca ed estrinseca delle dichiarazioni rese da tali collaboratori, che, con riferimento alla tentata rapina di Vigonza ed all'omicidio di PADOVANI Andrea, le dichiarazioni rese dai medesimi sono state altresì validamente riscontrate e rafforzate da ulteriori due riscontri esterni., costituiti da un lato dalle dichiarazioni rese dal teste VASSALLO Raffaele; dall'altro dalla lite intercorsa innanzi al "Drink Bar" sito in Padova, fra il PIANTA, componente poi deceduto della batteria protagonista dei delitti in esame, ed il MENEGHETTI, lite della quale avevano riferito in modo univoco, oltre al PASTORE ed al GALETTO, anche altri dichiaranti e cioè ZAMATTIO Andrea e MANIERO Felice e che costituisce valido riscontro esterno in quanto, secondo le convergenti dichiarazioni rese da tutti i collaboranti anzidetti, aveva avuto come sua genesi il fallimento della rapina di Vigonza.
10. È infondato il sesto motivo di ricorso proposto da CALABRESI Lucio, riferito alla tentata rapina di Vigonza ed all'omicidio PADOVANI e concernente una pretesa violazione dell'art. 507 c.p.p. in cui sarebbe incorso il giudice di primo grado, per avere esso ritenuto di acquisire la deposizione testimoniale di VASSALLO Raffaele, compagno di cella di esso ricorrente, in ordine ai fatti delittuosi di cui sopra.
È infatti noto che il potere di integrazione probatorio riconosciuto dalla legge al giudice di merito non è soggetto a limiti temporali, ben potendosi fare uso di esso in ogni momento e fase della procedura ed addirittura nel corso della discussione finale, che può essere interrotta per acquisire una nuova prova, col solo limite costituito dal diritto che deve essere riconosciuto a tutte le parti di discutere ex novo anche di detta nuova prova acquisita. (Cass. 5^, 29.10.08 n. 44524, rv. 241941).
Nessun limite può poi essere ritenuto sussistere circa il tipo di attività probatoria svolta, la quale ben può essere nuova ed eccentrica rispetto al materiale probatorio fino a quel momento acquisito; ne' può ritenersi che debba applicarsi in tale ipotesi l'art. 430 c.p.p., dettato in tema di attività integrativa di indagine del P.M. e del difensore, trattandosi di attività di competenza esclusiva del giudice ed essendo solo richiesto che quest'ultimo motivi in modo congruo e logico circa la necessità di espletare l'ulteriore attività istruttoria; e sotto tale aspetto nessun rilievo può essere mosso al primo giudice per avere ritenuto opportuno escutere a teste VASSALLO Raffaele, compagno di cella di CALABRESI Lucio fino al maggio 2008, essendo stato prospettato dal P.M. che il medesimo avesse ricevuto importanti confidenze in ordine ai fatti del processo in corso (cfr. Cass. 6^, 23.1.09 n. 11558, rv. 243063).
11. È infondato il settimo motivo di ricorso proposto da CALABRESI Lucio, concernente la circostanza che il teste VASSALLO Raffaele era stato escusso senza le garanzie di cui all'art. 210 c.p.p. e ciò sebbene fossero emersi a suo carico indizi di reità riferiti al reato di danneggiamento aggravato, porto di oggetto atto ad offendere e tentativo di evasione, avendo il teste dichiarato che esso ricorrente gli aveva proposto di evadere mediante il taglio delle sbarre della cella con una lima, con la quale aveva effettivamente saggiato la possibilità di tagliare il ferro.
È pacifico che alcun indizio di reità sussisteva a carico del VASSALLO nel momento in cui è stato escusso a teste, neppure sotto l'aspetto dell'intervenuta sua iscrizione nominativa nel registro degli indagati; va comunque rilevato che, anche con riferimento alle eventuali dichiarazioni autoindizianti rese da un teste nel corso del suo esame, la giurisprudenza di legittimità è orientata nel senso di ritenere che spetta in ogni caso al giudice il potere di verificare in termini sostanziali l'attribuibilità allo stesso della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni vengano rese e che, inoltre, il relativo accertamento si sottrae, se congruamente motivato, al sindacato di legittimità (cfr. Cass. SS.UU., 25.2.10 n. 15208, rv. 246584).
Congrua ed esaustiva è peraltro la motivazione addotta al riguardo dai giudici di merito, i quali da un lato hanno ritenuto che nessuna interferenza probatoria fosse ravvisabile fra i fatti astrattamente attribuibili al VASSALLO e quelli dal medesimo riferiti come commessi dall'odierno ricorrente; dall'altro hanno ritenuto che i riferimenti fatti dal VASSALLO al massimo avrebbero potuto essere qualificati come meri atti preparatori finalizzati all'evasione ed al danneggiamento, come tali neppure punibili a titolo di tentativo. 12. È infondato al limite dell'inammissibilità l'ottavo motivo di ricorso proposto da CALABRESI Lucio, concernente l'erronea valutazione data dai giudici di merito alla deposizione del VASSALLO.
Esula invero dai poteri di questa Corte riesaminare nel merito le risultanze dell'attività istruttoria svolta dai giudici di merito, essendo compito di questa Corte solo quello di valutare la congruenza della motivazione addotta per ritenere rilevante il mezzo di prova addotto; e sotto tale aspetto nessun rilievo può essere mosso alla Corte d'Assise d'Appello di Venezia per avere ritenuto rilevante la deposizione resa dal VASSALLO circa le confidenze a lui fatte dal CALABRESI; e costituì che mera ipotesi priva di ogni riscontro fattuale la tesi sostenuta dal ricorrente, secondo cui il VASSALLO avrebbe potuto acquisire le notizie riferite leggendo gli atti processuali che il ricorrente aveva con sè in cella.
13. Sono infondati il nono, il decimo e l'undicesimo motivo di ricorso proposto da CALABRESI Lucio, da trattare congiuntamente siccome strettamente correlati fra di loro.
Con essi il ricorrente lamenta che la Corte d'Assise d'Appello di Venezia abbia negato il richiesto rinnovo dell'istruttoria dibattimentale per acquisire tutta una serie di elementi, che avrebbero potuto provare la scarsa attendibilità del teste VASSALLO.
È infatti noto che, nel giudizio di appello, la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale è un istituto di carattere eccezionale, tenuto conto che, nel secondo grado, è abbandonato il principio dell'oralità, avendo il legislatore presunto che l'indagine istruttoria abbia ormai raggiunto la sua completezza nel dibattimento svoltosi in primo grado; ed in tale prospettiva, l'art. 603 c.p.p., comma 1 non riconosce carattere di obbligatorietà all'esercizio del potere del giudice di appello di disporre la rinnovazione del dibattimento, anche quando essa viene richiesta dalla parte per assumere nuove prove, ma vincola e subordina tale potere, nel suo concreto esercizio, alla rigorosa condizione che il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti (cfr., in termini, Cass. 4^ 1.2.2008 n. 5122;
Cass. 3^ 21.5.2008 n. 20267); e si rileva al riguardo che la sentenza impugnata a pag. 80 ha esaustivamente indicato i motivi per cui non ha ritenuto opportuno far luogo alla rinnovazione del dibattimento chiesta dal ricorrente.
14. È infondato il dodicesimo motivo di ricorso proposto da CALABRESI Lucio.
Con esso il ricorrente lamenta che erroneamente la morte del PADOVANI gli sia stata addebitata a titolo di omicidio volontario ex art. 575 c.p., , mentre invece la fattispecie avrebbe dovuto essere inquadrata nell'ambito dell'art. 586 c.p. (morte o lesione come conseguenza di altro delitto), in quanto egli aveva sparato contro il furgone blindato non per uccidere il PADOVANI, ma solo per fermare il furgone, si che la morte del PADOVANI che si trovava alla guida del furgone privo di giubbotto antiproiettile, sarebbe stata null'altro che una tragica fatalità.
Si osserva al contrario che, conformemente a quanto rilevato dai giudici di merito, la fattispecie in esame non può essere inquadrata nell'ambito dell'art. 586 c.p., ma in quella dell'art. 575 c.p., atteso che l'odierno ricorrente, sparando un numero elevato di colpi con un fucile mitragliatore kalashnikov, micidiale arma da guerra, contro il furgone blindato, ha previsto come certo od almeno come altamente probabile l'eventualità che qualcuno di tali colpi raggiungesse gli occupanti della cabina guida del furgone. Quindi, attenendosi ad un'indagine sintomatica e cioè esaminando gli elementi fattuali indicativi all'esterno della sua volontà, è da ritenere che l'elemento psicologico che ha sorretto il comportamento del ricorrente non è qualificabile come dolo eventuale, che si caratterizza per l'accettazione del rischio di un evento non voluto ed anzi escluso, quanto piuttosto come dolo diretto, che sussiste quando, come nel caso in esame, la realizzazione dell'evento si presenti all'autore del fatto quanto meno come altamente probabile, si che l'autore non si è solo limitato ad accettare il rischio dell'evento, ma ha altresì accettato anche l'evento in sè, già rappresentato alla sua psiche come altamente probabile, e lo ha voluto nell'ambito di una effettiva previsione dell'evento mortale, pur potendosi convenire sul punto che l'uccisione dello sventurato PADOVANI non ha costituito lo scopo finale della sua azione, che era invece quello di bloccare il furgone ed eseguire la rapina, si che l'elemento psicologico che ha sorretto l'azione omicidiaria del ricorrente se ben può qualificarsi come dolo diretto, non può essere ritenuto come dolo intenzionale.
Balza dunque evidente dagli atti di causa che, conformemente a quanto ritenuto dai giudici di merito, la morte dello sventurato PADOVANI va addebitata al ricorrente a titolo di omicidio volontario sorretto dall'elemento psicologico del dolo diretto (cfr. Cass. 1^, 29.1.08 n. 12954, rv. 240276).
15. È infondato il tredicesimo motivo di ricorso proposto da CALABRESI Lucio.
Con esso il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata abbia ritenuto compatibile il dolo eventuale, che avrebbe caratterizzato il suo comportamento con l'aggravante del nesso teleologico, di cui all'art. 61 c.p., n. 2.
Si osserva al riguardo che, come chiarito nel precedente paragrafo, l'elemento psicologico ravvisabile nel comportamento del CALABRESI non è il dolo eventuale, ma il dolo diretto, si che non sussiste la dedotta incompatibilità fra detto elemento psicologico e l'aggravante anzidetta, certamente ravvisabile nel suo comportamento, per essere egli stato uno degli autori della forsennata e micidiale sparatoria contro il furgone, finalizzata al blocco del medesimo, che ha determinato la morte del PADOVANI.
16. È infondato il quattordicesimo motivo di ricorso proposto da CALABRESI Lucio.
Con esso il ricorrente lamenta carenza motivazionale in ordine alla dedotta incompatibilità fra il concorso formale ravvisato fra la rapina tentata e l'omicidio del PADOVANI e l'aggravante del nesso teleologico) contestatogli.
Il motivo di ricorso è palesemente infondato, in quanto la contestazione effettuata nei suoi confronti non è di concorso formale fra tali due delitti, ma di continuazione, si che, sul piano logico e giuridico è del tutto compatibile la contestata aggravante del nesso teleologico.
17. È infondato il quindicesimo motivo di ricorso proposto da CALABRESI Lucio.
Con esso il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata gli abbia negato le attenuanti generiche sulla sola base delle valutazioni espresse dal primo giudice, senza tener conto delle ulteriori ragioni da lui addotte in appello.
La sentenza impugnata ha al contrario indicato in modo chiaro seppure sintetico i validi motivi, sulla base dei quali sono state negate al ricorrente le attenuanti generiche, avendo al riguardo richiamato la motivazione addotta dal primo giudice, che ha correttamente posto l'accento sull'inaudita gravita dei fatti addebitatigli, commessi con assoluto disprezzo della vita umana, essendo state in essi coinvolti anche inermi automobilisti di passaggio.
È infatti vero che il giudice è tenuto ad indicare le ragioni a sostegno del rigetto delle chieste attenuanti generiche; tuttavia il medesimo non è necessariamente tenuto a procedere ad un'analitica valutazione di tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli alla concessione delle medesime, dedotti dalla parte o rilevabili dagli atti, essendo sufficiente che egli indichi gli elementi ritenuti decisivi o rilevanti e rimanendo implicitamente disattesi tutti gli altri (cfr. Cass. 2^ 11.10.04 n. 2285).
18. È infondato il primo motivo di ricorso proposto da MENEGHETTI Angelo.
Con esso il ricorrente lamenta che la designazione del G.I.P. incaricato di celebrare l'udienza preliminare del suo processo sia avvenuta in modo irrituale.
Si rimanda per quanto concerne l'infondatezza di tale motivo a quanto sarà rappresentato nel successivo paragrafo 27, per confutare l'analogo motivo proposto da SARTO Daniele.
19. È infondato il secondo motivo di ricorso proposto da MENEGHETTI Angelo.
Con esso il ricorrente lamenta la mancanza di sicuri collegamenti fra le due rapine ascrittegli, di cui la prima, consumata, commessa in Camisano Vicentino e la seconda, tentata, commessa in Vigonza, con l'omicidio della guardia giurata PADOVANI Andrea. 11 motivo di ricorso in esame è infondato, in quanto trattasi di due eventi delittuosi autonomi e separati, attribuiti al ricorrente sulla base di distinti e specifici elementi indiziari, si che è del tutto infruttuoso discutere del collegamento fra i due eventi delittuosi anzidetti.
20. È infondato il terzo motivo di ricorso proposto da MENEGHETTI Angelo.
23 Con esso il ricorrente lamenta che la Corte d'Assise d'Appello di Venezia abbia respinto la sua istanza intesa ad ottenere la riapertura dell'istruttoria dibattimentale, onde acquisire elementi dai quali desumere l'inaffidabilità del teste VASSALLO. Valgono al riguardo le argomentazioni svolte nel precedente paragrafo 13, con riferimento all'analogo motivo proposto da CALABRESI Lucio;
occorre solo aggiungere nella presente sede che costituisce ipotesi priva di ogni riscontro fattuale avere ritenuto che le dichiarazioni del VASSALLO fossero state dal medesimo acquisite consultando gli atti processuali che il CALABRESI aveva nella sua cella. 21. È infondato il quarto motivo di ricorso proposto da MENEGHETTI Angelo.
Con esso il ricorrente lamenta che i delitti indicati in rubrica sono stati posti a suo carico solo sulla base delle propalazioni fatte da due dichiaranti in reità de relato (GALLETTO Stefano e PASTORE Giuseppe).
Si rimanda a quanto ritenuto nel precedente paragrafo 8, con riferimento alla rapina di Camisano Vicentino ed a quanto ritenuto nel precedente paragrafo 9, con riferimento alla tentata rapina di Vigonza ed all'omicidio PADOVANI.
22. È infondato il quinto motivo di ricorso proposto da MENEGHETTI Angelo.
Con esso il ricorrente lamenta che il VASSALLO sia stato sentito come teste in violazione della norma di cui all'art. 507 c.p.p. ed inoltre senza le garanzie di legge, pur avendo egli reso dichiarazioni autoindizianti.
Si rimanda a quanto dedotto al riguardo nei precedenti paragrafi 10 ed 11.
23. È infondato il sesto motivo di ricorso proposto da MENEGHETTI Angelo.
Con esso il ricorrente lamenta l'insussistenza di elementi individualizzanti emersi a suo carico, con riferimento alla rapina di Camisano Vicentino.
Si rimanda a quanto dedotto al precedente paragrafo 8. In questa sede va aggiunto che le discrasie rilevate dal ricorrente nel narrato dei due collaboranti PASTORE e GALLETTO non sono tali da inficiare la complessiva attendibilità delle propalazioni rese dai medesimi, non essendo richiesto dalla giurisprudenza di legittimità formatasi in materia che le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia siano perfettamente sovrapponibili fra di loro, essendo unicamente richiesta la convergenza in ordine agli snodi essenziali dei fatti, convergenza certamente ravvisabile nella specie (cfr., in termini, Cass. 6^, 26.11.08 n. 1091; Cass. 2^, 4.3.08 n. 13473; Cass. 1^ 20.7.09 n. 30084).
24. È infondato il settimo motivo di ricorso proposto da MENEGHETTI Angelo.
Con esso il ricorrente lamenta l'insussistenza di riscontri individualizzanti a suo carico con riferimento alla tentata rapina di Vigonza ed all'omicidio della guardia giurata PADOVANI Antonio. 24 Si richiama al riguardo, con specifico riferimento alla lite avvenuta innanzi al "Drink Bar", a quanto dedotto nel precedente paragrafo 9.
25. È infondato l'ottavo motivo di ricorso proposto da MENEGHETTI Angelo.
Con esso il ricorrente da un lato lamenta l'incompatibilità giuridica fra l'aggravante del nesso ideologico ed il fatto che la sentenza impugnata avesse ritenuto il concorso formale fra la tentata rapina di Vigonza e l'omicidio PADOVANI; dall'altro sostiene che la morte di PADOVANI non poteva essergli addebitata a titolo di omicidio volontario, ma ai sensi dell'art. 586 c.p.. Valgono al riguardo le deduzioni svolte nei precedenti paragrafi 14 e 16, ai quali si rimanda.
26. È infondato il nono motivo di ricorso proposto da MENEGHETTI Angelo.
Con esso il ricorrente lamenta la mancata concessione in suo favore delle attenuanti generiche.
Anche nei confronti del MENEGHETTI invero la sentenza impugnata ha indicato in modo chiaro seppure sintetico i validi motivi, sulla base dei quali sono state negate al ricorrente le attenuanti generiche, avendo al riguardo richiamato la motivazione addotta dal primo giudice, che ha correttamente posto l'accento sull'inaudita gravità dei fatti addebitatigli, commessi con assoluto disprezzo della vita umana, essendo state in essi coinvolti anche inermi automobilisti di passaggio, che solo per puro miracolo non sono stati coinvolti nella folle tentata rapina di Vigonza.
È infatti vero che il giudice è tenuto ad indicare le ragioni a sostegno del rigetto delle chieste attenuanti generiche; tuttavia il medesimo non è necessariamente tenuto a procedere ad un'analitica valutazione di tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli alla concessione delle medesime, dedotti dalla parte o rilevabili dagli atti, essendo sufficiente che egli indichi gli elementi ritenuti decisivi o rilevanti e rimanendo implicitamente disattesi tutti gli altri (cfr. Cass. 2^ 11.10.04 n. 2285).
27. È infondato il primo motivo di ricorso proposto dall'avv. COPPI per SARTO Daniele.
Con esso il ricorrente lamenta violazione legge, per avere il Presidente del Tribunale di Padova designato il G.I.P. per l'udienza preliminare utilizzando in via analogica i criteri per la composizione dei collegi giudicanti, essendosi rivelati tutti i G.I.P. in servizio incompatibili.
Adeguata ed esaustiva è stata invero la motivazione addotta dai giudici di merito per rigettare tale eccezione.
Si era invero creata una situazione anomala, costituita dalla incompatibilità di tutti i magistrati dell'ufficio G.I.P. G.U.P. del Tribunale di Padova a svolgere l'udienza preliminare, correttamente fronteggiata dal Tribunale di Padova mediante l'applicazione analogica delle norme dettate in materia di composizione dei collegi giudicanti; in tal modo è stato designato il magistrato con minore anzianità di servizio; nessun rilievo poteva poi avere il fatto che il magistrato designato fosse in servizio presso la sede distaccata di Este, atteso che anche tale ufficio era da ritenere compreso nel circondario del Tribunale di Padova e del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 48 sexies espressamente dispone che i magistrati assegnati alle sedi distaccate possono svolgere funzioni presso la sede principale.
Va inoltre rilevato che l'art. 33 c.p.p. espressamente esclude che attengano alla capacità del giudice le disposizioni sulla destinazione di un giudice agli uffici giudiziari ed alle sezioni, sulla formazione dei collegi e sull'assegnazione di processi a sezioni, collegi e giudici.
Alla stregua della giurisprudenza di legittimità formatasi in materia, è pertanto da ritenere che il provvedimento adottato dal Tribunale di Padova non attiene alla giurisdizione, quanto piuttosto alla competenza interna, si da essere caratterizzato dalla flessibilità, indispensabile per fronteggiare le concrete esigenze di gestione degli uffici giudiziari; d'altra parte il provvedimento in esame non può ritenersi "extra ordinem", ovvero adottato al di fuori di ogni criterio tabellare, con conseguente elusione o violazione del principio del giudice naturale precostituito per legge, di cui all'art. 25 Cost., avendo al contrario esso fatto applicazione del criterio tabellare più contiguo, previsto in materia di composizione dei collegi giudicanti (cfr. Cass. 3^, 3.10.06 n. 38112, rv. 235030; Cass. 1^, 5.4.06 n. 16214, rv. 234216). Conformemente a quanto ritenuto dai giudici di merito, va altresì ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale formulata dal ricorrente con riferimento all'art. 33 c.p.p., comma 2, del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 7 bis, comma 1 e art. 7 ter (c.d. ordinamento giudiziario) per violazione artt. 2, 3, 25, 101, 111 e 117 Cost..
Come rilevato in precedenza, il Tribunale di Padova ha dovuto fronteggiare un problema inedito, costituito dall'incompatibilità di tutti i magistrati assegnati all'ufficio del G.I.P G.U.P.; era necessario trovare in tempi ragionevoli una soluzione al problema;
l'applicazione in via analogica delle norme previste per la composizione dei collegi giudicanti appare pertanto pienamente condivisibile, siccome improntata al criterio della ragionevolezza, tale da escludere il sospetto di violazione del principio del giudice naturale precostituito per legge, di cui all'art. 25 Cost.. 28. È infondato il secondo motivo di ricorso proposto dall'Avv. COPPI per SARTO Daniele.
Esso concerne l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal teste VASSALLO Raffaele, per avere egli fatto dichiarazioni dalle quali era ipotizzabile a suo carico la commissione di alcuni reati. L'argomento è stato già trattato nel precedente paragrafo 11, al quale si rimanda.
29. È infondato il terzo motivo di ricorso proposto dall'avv. COPPI per SARTO Daniele.
26 Esso concerne la pretesa violazione dell'art. 507 c.p.p., in cui sarebbe incorso il primo giudice, in quanto non vi sarebbe stata alcuna necessità di assumere a teste VASSALLO Raffaele. L'argomento è stato già trattato nel precedente paragrafo 10, al quale si rimanda.
30. Sono infondati il quarto ed il sesto motivo di ricorso proposti dall'Avv. COPPI per SARTO Daniele, da trattare congiuntamente siccome strettamente correlati fra di loro.
Con esso il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata abbia ritenuto che il riscontro esterno ad una chiamata di reità poteva essere costituita da un'altra chiamata di reità; che i dichiaranti GALLETTO e PASTORE non erano attendibili, in quanto le loro propalazioni erano state caratterizzate da imprecisioni, omissioni ed errori; in particolare il PASTORE aveva detto che il MENEGHETTI gli aveva riferito della tentata rapina di Vigonza al "Drink Bar", dove i due si sarebbero incontrati subito dopo la rapina;
tuttavia la tentata rapina in questione era avvenuta alle ore 1,30 del mattino, mentre il bar anzidetto chiudeva di solito verso le ore 2 del mattino.
L'argomento è stato già trattato ai precedenti paragrafi 8 e 9, ai quali si rimanda.
In questa sede appare opportuno sottolineare, conformemente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, che eventuali difformità ed imprecisioni del narrato dei collaboratori non sono di per sè idonee a rendere inattendibili nel loro insieme le dichiarazioni dei medesimi, essendo sufficiente che le propalazioni dei collaboratori coincidano in ordine al loro nucleo essenziale (cfr., in termini, Cass. 6^, 26.11.08 n. 1091; Cass. 2^, 4.3.08 n. 13473;Cass.l^ 20.7.09 n. 30084); va peraltro aggiunto che la sentenza impugnata ha fornito una spiegazione ragionevole circa l'incongruenza segnalata dal ricorrente, concernente l'impossibilità che il MENEGHETTI potesse avere informato il PASTORE della fallita rapina di Vigonza al "Drink Bar" poco tempo dopo il suo verificarsi, in quanto la rapina aveva avuto luogo all'1,30 del mattino ed il bar anzidetto chiudeva intorno alle ore 2.
In effetti il bar ben poteva avere, in quel particolare giorno, posticipato la chiusura; ben poteva poi l'incontro essere avvenuto innanzi al bar anzidetto, sebbene chiuso.
Come già riferito in precedenza poi, la deposizione del VASSALLO, unitamente alla lite avvenuta innanzi al "Drink Bar" fra il PIANTA ed il MENEGHETTI costituiscono riscontri esterni validi per conferire credibilità al narrato dei collaboratori GALLETTO e PASTORE.
31. È infondato il quinto motivo di ricorso proposto dall'Avv. COPPI per SARTO Daniele.
Con esso il ricorrente lamenta che il suo comportamento, consistito nell'avere sparato contro il furgone blindato nella tentata rapina di Vigonza, non poteva essere ritenuto doloso, in quanto la sua volontà non era stata intesa ad uccidere la guardia giurata PADOVANI, ma solo di impossessarsi del danaro trasportato dal furgone, con conseguente insussistenza dell'aggravante del nesso teleologico e necessità di inquadrare il suo comportamento nell'ambito dell'art. 586 c.p..
Trattasi di censure già trattate nei precedenti paragrafi 14 e 15, ai quali si rimanda.
32. È infondato il settimo motivo di ricorso proposto dall'Avv. COPPI per SARTO Daniele.
Con esso il ricorrente lamenta che la Corte territoriale erroneamente abbia negato la riapertura dell'istruttoria dibattimentale per acquisire documenti idonei a provare l'inattendibilità del dichiarante PASTORE, laddove aveva riferito che, stando egli al "Drink Bar" sito in Padova, via Facciolati, aveva potuto sentire le volanti data polizia che sopraggiungevano sul luogo della tentata rapina di Vigonza.
È infatti noto che, nel giudizio di appello, la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale è un istituto di carattere eccezionale, tenuto conto che, nel secondo grado, è abbandonato il principio dell'oralità, avendo il legislatore presunto che l'indagine istruttoria abbia ormai raggiunto la sua completezza nel dibattimento svoltosi in primo grado; ed in tale prospettiva, l'art. 603 c.p.p., comma 1 non riconosce carattere di obbligatorietà all'esercizio del potere del giudice di appello di disporre la rinnovazione del dibattimento, anche quando essa viene richiesta dalla parte per assumere nuove prove, ma vincola e subordina tale potere, nel suo concreto esercizio, alla rigorosa condizione che il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti (cfr., in termini, Cass. 4^ 1.2.2008 n. 5122;
Cass. 3^ 21.5.2008 n. 20267); e si rileva al riguardo che la sentenza impugnata a pag. 80 ha esaustivamente indicato i motivi per cui sarebbe stato inopportuno far luogo alla rinnovazione del dibattimento chiesta dal ricorrente, avendo fatto riferimento da un lato alla circostanza che, dato il lungo tempo trascorso dai fatti, verificatisi nel 1992, sarebbe stato difficile ricostruire il percorso seguito dalle volanti della polizia intervenute subito dopo la tentata rapina; dall'altro al valore marginale che detta circostanza aveva, valutate nell'ambito complessivo delle dichiarazioni fatte dal PASTORE.
33. È infondato il primo motivo di ricorso proposto dall'Avv. FORTUNA per SARTO Daniele.
Con esso il ricorrente lamenta violazione delle norme dettate dall'ordinamento giudiziario in materia di giudice naturale precostituito per legge.
L'argomento è stato già trattato al precedente paragrafo 27, al quale si rimanda.
34. È infondato al limite dell'inammissibilità il secondo motivo di ricorso proposto dall'Avv. FORTUNA per SARTO Daniele. Con esso il ricorrente lamenta carenza di motivazione della sentenza impugnata in ordine al comportamento del Presidente della Corte d'Assise di Padova, che avrebbe compresso il suo diritto di difesa, impedendogli di porre domande al teste VASSALLO.
La doglianza si caratterizza per la sua evidente genericità ed aspecificità, non essendo state indicate quali domande sono state respinte dal Presedente del consesso ed in qual modo le domande non ammesse abbiano conculcato il suo diritto di difesa. 35. È infondato il terzo motivo di ricorso proposto dall'Avv. FORTUNA per SARTO Daniele.
Con esso il ricorrente lamenta che il primo giudice aveva disposto l'escussione del teste VASSALLO senza alcuna concreta necessità, inoltre che la deposizione del teste VASSALLO
non era stata interrotta quando il medesimo aveva fato dichiarazioni autoindizianti.
Trattasi di censure già esaminate nei precedenti paragrafi 10 ed 11, ai quali si rimanda.
36. È infondato il quarto motivo di ricorso proposto dall'avv. FORTUNA per SARTO Daniele.
Con esso il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata aveva respinto la sua istanza intesa ad ottenere la riapertura dell'istruttoria dibattimentale al fine di acquisire la trascrizione delle captazioni ambientali disposte nella cella del VASSALLO, la documentazione relativa agli orari di apertura del "Drink Bar", nonché il percorso seguito dalle volanti della polizia nella notte della tentata rapina di Vigonza.
Trattasi di censure già esaminate nei precedenti paragrafi 10 e 32, ai quali si rimanda.
37. È infondato il quinto motivo di ricorso proposto dall'Avv. FORTUNA per SARTO Daniele.
Con esso il ricorrente lamenta che i collaboratori di giustizia GALLETTO e MANIERO erano stati sentiti in violazione della norma di cui al decreto legge 8/91, convertito nella legge 15.3.91 n. 82;
in particolare il GALLETTO era stato sentito oltre i 180 giorni dall'inizio della sua collaborazione; tutti i collaboratori di giustizia erano stati poi sentiti nel dibattimento di primo grado in violazione dell'art. 64 c.p.p., comma 3 e art. 197 bis c.p.p.. La censura è destituita di fondamento.
Come esattamente rilevato dalla sentenza impugnata i reati per i quali si procede non rientrano fra quelli di cui al D.L. 15 gennaio 1991, n. 8, art. 9, comma 2, convertito nella L. 15 marzo 1991, n. 82.
Va inoltre rilevato che la sanzione di inutilizzabilità che, ai sensi dell'art. 16 quater, comma 9, Decreto Legge citato, colpisce le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia oltre il termine di 180 giorni, previsto per la redazione del verbale informativo dei contenuti della collaborazione, si applica solo con riferimento alle dichiarazioni rese fuori del contraddittorio e non a quelle rese, come dai collaboratori GALLETTO e MANIERO, nel corso del dibattimento (cfr. Cass. 22.1.08 n. 27040, rv. 241007). Con riferimento poi alla pretesa violazione dell'art. 64 c.p.p., comma 3 e art. 197 bis c.p.p., si rileva che la giurisprudenza di questa Corte è concorde nel ritenere che gli avvertimenti di cui all'art. 64 c.p.p., comma 3 riguardano l'interrogatorio di una persona sottoposta ad indagini, garantendone il diritto al silenzio, si che non sarebbero in ogni caso dovuti in caso di esame dibattimentale, caratterizzato dal contraddittorio pieno fra le parti (cfr. Cass. 5^ 11.2.09 n. 9737, rv. 243024; Cass. 1^, 6.7.07 n. 34560, rv. 237624).
38. Sono infondati il sesto, il settimo, l'ottavo ed il nono motivo di ricorso proposti dall'avv. FORTUNA per SARTO Daniele, da trattare congiuntamente siccome strettamente correlati fra di loro. Essi concernono l'inattendibilità delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia PASTORE e GALLETTO; in ordine a dette doglianze si rimanda a quanto riferito nei precedenti paragrafi 8, 9, 21, 23 e 30.
39. Sono infondati il decimo e l'undicesimo motivo di ricorso proposti dall'Avv. FORTUNA per SARTO Daniele, da trattare congiuntamente siccome strettamente correlati fra di loro. Con essi il ricorrente sostiene che la morte della guardia giurata PADOVANI avrebbe dovuta essere posta a suo carico non a titolo di omicidio volontario, ma ai sensi dell'art. 586 c.p.. La doglianza è stata già esaminata e respinta al precedente paragrafo 14; in questa sede va specificato che la sentenza impugnata ha ritenuto che il dolo presente nel comportamento degli odierni ricorrenti, riferito alla morte del PADOVANI, poteva essere indifferentemente qualificato come eventuale ovvero come diretto, atteso che, in entrambi i casi, la morte del PADOVANI era da addebitare ad essi a titolo di omicidio volontario; nel precedente paragrafo 14 questo Collegio ha inteso specificare che il dolo ravvisabile nel comportamento dei ricorrenti era invece da qualificare come dolo diretto e non eventuale. Le dichiarazioni dei collaboratori e del teste VASSALLO hanno poi unanimemente indicato l'odierno ricorrente fra i partecipanti sia alla rapina di Camisano Vicentino, sia alla tentata rapina di Vigonza, con annesso omicidio della guardia giurata PADOVANI, si che il ricorrente, quale partecipante a tali due gravi episodi delittuosi, ne risponde a titolo di concorso ex art. 110 c.p., non essendo emerso alcun elemento dal quale poter desumere che il SARTO si sia in qualche modo dissociato ovvero abbia tenuto un comportamento differente rispetto a quello tenuto dai due coimputati.
40. È infondato il dodicesimo motivo di ricorso proposto dall'avv. FORTUNA per SARTO Daniele.
Con esso il ricorrente lamenta carenza di motivazione sia in ordine la pena inflittagli, sia in ordine alla mancata concessione in suo favore delle attenuanti generiche.
La doglianza è infondata.
Si ritiene invero che la Corte d'Assise di Appello di Venezia abbia fornito adeguata motivazione in ordine alla quantificazione della pena inflitta al ricorrente, avendo richiamato e fatto proprio quanto disposto al riguardo dal primo giudice, il quale ha da parte sua tenuto conto dei precedenti penali del ricorrente, più volte condannato per rapine e violazione legge armi, nonché delle modalità esecutive delle rapine commesse, tali da dimostrare disprezzo per la vita umana ed estrema sua pericolosità sociale. È da ritenere quindi che i giudici di merito abbiano adeguatamente adempiuto l'obbligo di motivare in concreto la determinazione della pena, avendo essa fatto concreta applicazione di tutti gli elementi ritenuti determinanti o rilevanti allo scopo, nell'ambito dei criteri offerti dall'art. 133 c.p. (cfr., in termini, Cass. 6^ 2.7.98 n. 9120).
Anche con riferimento al diniego delle attenuanti generiche è da ritenere che i giudici di merito abbiano adeguatamente motivato detto diniego.
La sentenza impugnata ha invero indicato in modo chiaro seppure sintetico i validi motivi, sulla base dei quali sono state negate al ricorrente le attenuanti generiche, avendo fatto riferimento alla motivazione addotta dal primo giudice, che ha correttamente posto l'accento sull'inaudita gravita dei fatti addebitatigli, commessi con assoluto disprezzo della vita umana, essendo state in essi coinvolti anche inermi automobilisti di passaggio.
È infatti vero che il giudice è tenuto ad indicare le ragioni a sostegno del rigetto delle chieste attenuanti generiche; tuttavia il medesimo non è necessariamente tenuto a procedere ad un'analitica valutazione di tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli alla concessione delle medesime, dedotti dalla parte o rilevabili dagli atti, essendo sufficiente che egli indichi gli elementi ritenuti decisivi o rilevanti e rimanendo implicitamente disattesi tutti gli altri (cfr. Cass. 2^ 11.10.04 n. 2285).
41. È infondato il primo motivo di ricorso aggiunto proposto dall'Avv. FORTUNA per SARTO Daniele.
Con esso il ricorrente sostiene che, poiché l'unico proiettile che aveva colpito il PADOVANI aveva avuto una traiettoria del tutto atipica, non poteva parlarsi di omicidio volontario , ma di "aberratio causae".
Secondo il ricorrente cioè la morte del PADOVANI non sarebbe da attribuire al suo comportamento, ma unicamente all'atipica traiettoria di un proiettile, che sarebbe incredibilmente entrato nella cabina guida del furgone blindato attraverso una feritoia del vano motore.
Trattasi di prospettazione non condivisibile, in quanto, come diffusamente motivato al precedente paragrafo 14 al quale si rimanda, l'evento morte della guardia giurata PADOVANI è da porre in stretto rapporto di causalità con il comportamento tenuto dagli odierni ricorrenti, i quali, scatenando un intensissimo fuoco di sbarramento nei confronti del furgone blindato con potenti fucili mitragliatori, vere e proprie armi da guerra, hanno dimostrato di avere agito dopo avere valutato come altamente probabile che gli occupanti del veicolo potessero essere raggiunti da alcuni di tali colpi e di avere, ciò nonostante, voluto l'evento, si che il loro comportamento denota come essi abbiano voluto con dolo diretto anche la morte del PADOVANI.
42. È infondato il secondo motivo aggiunto proposto dall'Avv. FORTUNA per SARTO Daniele.
Con esso il ricorrente sostiene che la morte della guardia giurata PADOVANI avrebbe dovuta essere posta a suo carico non a titolo di omicidio volontario, ma ai sensi dell'art. 586 c.p.. Si rimanda a quanto dedotto su tale argomento al precedente paragrafo 14.
43. 11 terzo motivo aggiunto proposto dall'avv. FORTUNA per SARTO Daniele è inammissibile ai sensi dell'art. 606 c.p.p., u.c. in quanto non risulta che il ricorrente abbia proposto detta censura (configurablità nel suo comportamento dell'omicidio preterintenzionale, di cui all'art. 584 c.p.) in grado di appello. 44. È infondato il quarto motivo di ricorso aggiunto proposto dall'avv. FORTUNA per SARTO Daniele.
Con esso il ricorrente sostiene che l'omicidio del PADOVANI doveva essere posto a suo carico non ai sensi dell'art. 110 c.p., ma a titolo di concorso anomalo, ex art. 116 c.p..
È noto che, alla stregua della giurisprudenza di questa Corte, sussiste la responsabilità a titolo di concorso anomalo ex art. 116 c.p. in ordine al reato più grave e diverso da quello voluto quando sussista la volontà di partecipare con altri alla realizzazione di un determinato fatto criminoso e l'evento diverso e più grave, pur rappresentatosi come logico sviluppo del reato meno grave voluto, secondo l'ordinario svolgersi e concatenarsi dei fatti umani, non sia stato effettivamente previsto ed in ordine ad esso non sia stato accettato il relativo rischio, atteso che, verificandosi tale ultima ipotesi, è da ritenere la sussistenza del concorso ex art. 110 c.p.;
e la prevedibilità dell'evento più grave deve essere valutata in concreto, tenendo conto della personalità dell'imputato e delle circostanze ambientali nelle quali si è svolta l'azione (cfr. Cass. 5^, 8.7.09 n. 39339, rv. 245152).
La sentenza impugnata, con motivazione logica e non contraddittoria, ha escluso la sussistenza dell'attenuante di cui all'art. 116 c.p. in favore dell'odierno ricorrente, avendo rilevato come il medesimo avesse fornito la sua espressa adesione all'impresa criminosa di cui è causa (rapina ad un furgone portavalori), commessa con l'ausilio di potenti fucili mitragliatori ed avendo messo a punto, assieme ai suoi complici, una tecnica di assalto del furgone portavalori che viaggiava sull'autostrada, degna di un commando di guerra, con enorme disprezzo per la vita umana; il che dimostrava il suo preventivo consenso all'uso cruento ed illimitato delle micidiali armi da sparo, di cui il commando era fornito, si che era da ritenere avere egli accettato il rischio che potesse essere arrecata anche la morte delle guardie giurate assaltate, con conseguente ravvisabilità nel suo comportamento del concorso di cui all'art. 110 c.p. (cfr. Cass. SS.UU. 18.12.08 n. 337, rv. 241574).
45. Sono infondati il quinto ed il sesto motivo aggiunto proposti dall'avv. FORTUNA per SARTO Daniele, da trattare congiuntamente siccome strettamente correlati fra di loro.
Essi concernono da un lato una pretesa incompatibilità fra la contestata aggravante del nesso teleologico ed i reati di tentata rapina e di omicidio ascrittigli, in quanto tali due reati si sarebbero verificati quasi contestualmente, si da non consentire il dispiegarsi della contestata aggravante, la quale inoltre sarebbe stata incompatibile con il dolo eventuale ravvisato dalla sentenza impugnata nel suo comportamento.
Quanto all'elemento psicologico del dolo eventuale, questa Corte si riporta a quanto diffusamente esposto nei precedenti paragrafi 14 e 39; quanto invece alla censura relativa all'impossibilità di contestare l'aggravante in esame, attesa la quasi contestualità dei due reati di omicidio e di tentata rapina, si rileva che la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito depone nel senso di ritenere che fra i due delitti (omicidio del PADOVANI e tentata rapina) sia intercorso un intervallo temporale significativo e comunque adeguato per ritenere sussistente tale aggravante, tant'è vero che la rapina successiva all'omicidio neppure è stata conclusa, essendo al contrario rimasta allo stadio del tentativo. 46. È infondato il settimo motivo di ricorso aggiunto proposto dall'Avv. FORTUNA per SARTO Daniele.
Come esattamente rilevato dalla sentenza impugnata, non può revocarsi in dubbio che l'aggravante del nesso teleologico deve essere addebitata a tutti gli odierni ricorrenti, quali componenti del commando che ha posto in essere la tentata rapina di Vigonza, con annesso omicidio della guardia giurata PADOVANI, essendo ascrivibile alla loro comune determinazione tale ultimo evento omicidiario, che ha costituito la premessa indispensabile per impossessarsi delle somme di danaro trasportate dal furgone blindato. 47. I ricorsi proposti da CALABRESI Lucio. MENEGHETTI Angelo e SARTO Daniele vanno pertanto respinti, con loro condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 23 giugno 2010.
Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2010