Corte Suprema di Cassazione
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Sez. U, Sentenza n. 20300 del 2010

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. GEMELLI Torquato - Presidente - del 22/04/2010
Dott. MARZANO Francesco - Rel. Consigliere - SENTENZA
Dott. CARMENINI Secondo Libero - Consigliere - N. 10
Dott. MILO Nicola - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. SIOTTO Maria Cristina - Consigliere - N. 32325/2009
Dott. MARASCA Gennaro - Consigliere -
Dott. GALBIATI Ruggero - Consigliere -
Dott. CONTI Giovanni - Consigliere -
Dott. MACCHIA Alberto - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Lasala Cosimo Damiano, n. in Barletta il 4.8.1985;
avverso l'ordinanza del Tribunale del riesame di Bari in data 24.8.2009;
Udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Francesco Marzano;
Udito il Pubblico Ministero, in persona dell'Avvocato Generale, Dott. CIANI Gianfranco, che ha concluso per l'annullamento con rinvio della ordinanza impugnata; in subordine ha chiesto che venga sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 309 c.p.p. e dell'art. 101 disp. att. c.p.p..
Non comparso il difensore del ricorrente.
Osserva:
SVOLGIMENTO DEL PROCEDIMENTO
1.0. Il 24 agosto 2009 il Tribunale del riesame di Bari confermava l'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal G.I.P. del Tribunale di Trani il 5 agosto 2009 nei confronti di Lasala Cosimo Damiano, per imputazioni di associazione per delinquere (capo a) della rubrica), di sette rapine in danno di istituti bancari (capi b), b1), b2), b3), b4), e), d2) della rubrica medesima), di detenzione e porto illegale di una pistola (capo N) della stessa rubrica).
Rilevavano i giudici del merito che "le fonti indiziarie sono essenzialmente costituite:
a) dalle dichiarazioni auto ed etero accusatorie rese dal minore Fiorella Fabio, il quale si è autoincolpato di ben 17 rapine, precisando di essere stato "iniziato" al crimine da Lombardi Luigi ... ed indicando il loro tramite in Lasala Cosimo Damiano, che li poneva in contatto al fine di programmare le rapine da mettere a segno ...;
b) dagli esiti delle acquisizioni dei tabulati delle utenze appartenenti al Lasala e agli altri associati ...;
c) dai risultati delle numerose conversazioni telefoniche e fra presenti intercettate dagli investigatori;
d) dagli atti di p.g. concernenti gli arresti dei coindagati, giudicati in procedimenti collegati; e) dai servizi di osservazione, pedinamento e controllo espletati dai verbalizzanti;
f) infine dalle dichiarazioni auto ed etero accusatorie rilasciate da Gambarotta Ruggiero".
Da tutti tali elementi i giudici del merito traevano la sussistenza del grave quadro indiziario, "la persistenza di rimarchevoli esigenze di cautela sociale connesse ad un vivo pericolo di reiterazione criminosa", "l'assoluta inadeguatezza ai fini preventivi della misura gradualmente meno afflittiva degli arresti domiciliari". 1.1. Nel pervenire alla resa statuizione, il Tribunale del riesame rigettava alcune eccezioni difensive.
In particolare, quanto ad una dedotta eccezione di "perdita di efficacia della misura per avere il P.M. omesso di rilasciare copia su supporto magnetico delle conversazioni intercettate", riteneva la infondatezza di tale rilievo "al di là del fatto che risulta solo affermata ma non documentalmente provata la circostanza che il difensore di Lasala ... abbia avanzato la richiesta di duplicazione delle intercettazioni su nastro magnetico".
Considerava che, "in ogni caso", su tale "asserita richiesta ... non è intervenuto alcun provvedimento di diniego esplicito o tacito;
anzi, come si desume dai motivi aggiunti depositati in udienza dal difensore dell'interessato, il P.M. procedente, con nota a margine della richiesta difensiva, ha formulato in ordine ad essa parere favorevole, inviando la stessa per competenza al G.I.P.; dunque su tale richiesta sarà tale organo giusdicente a doversi pronunciare in prosieguo".
Rilevava, inoltre, che con la sentenza della Corte Costituzionale n. 336/2008, "il giudice delle leggi ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 268 c.p.p. nella parte in cui non prevede che, dopo la notificazione o l'esecuzione dell'ordinanza che dispone una misura personale cautelare, il difensore possa ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni intercettate, utilizzate ai fini dell'adozione del provvedimento cautelare, anche se non depositate, senza però stabilire alcun termine entro il quale tale adempimento debba essere assolto".
Riteneva, inoltre, di non condividere quanto al riguardo era stato ritenuto dalla sentenza di questa Suprema Corte, Sez. 6^, del 26 marzo 2009, n. 1950, e di condividere, invece, quanto affermato da altra sentenza, Sez. 6^, del 6 novembre 2008, n. 44127, "secondo cui la richiesta intesa ad ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni utilizzate ai fini dell'adozione di un provvedimento cautelare personale dev'essere presentata al giudice che ha applicato la misura coercitiva...". 2.0. Avverso tale provvedimento ha personalmente proposto ricorso l'indagato, denunciando:
a) vizi di violazione di legge e di motivazione.
Premesso che "il collegio aveva rilevato ex officio e su indicazione difensiva una trasposizione del contenuto delle informative dei Carabinieri, da prima tramutata come richiesta di emissione di ordinanza di custodia cautelare da parte del P.M. e successivamente trasformata dal G.I.P. come ordinanza di custodia cautelare", deduce che il Tribunale del riesame avrebbe sorvolato sulla "nullità dell'ordinanza citando la sentenza delle S.U. del 21.6-21.9.2000, n. 17, Primavera ... richiamando per relationem un provvedimento restrittivo della libertà personale ..."; quel principio troverebbe "applicazione quando il G.I.P. autorizzi per relationem per esempio i decreti autorizzativi e non un provvedimento cautelare privando della libertà personale un soggetto senza che sia presa cognizione del contenuto delle indagini svolte dalla p.g. e valutando gli elementi favorevoli e/o sfavorevoli a carico dell'indagato ...";
b) vizi di violazione di legge e di motivazione, in relazione all'art. 268 c.p.p. e art. 309 c.p.p., comma 5.
Premette il ricorrente che il proprio difensore, dopo l'esecuzione della misura cautelare, aveva estratto copie integrali degli atti processuali, non rinvenendo i supporti magnetici ed i "brogliacci". Deduce, quindi, che "il mancato deposito presso il Tribunale del riesame dei supporti informatici e i brogliacci delle conversazioni telefoniche è causa di nullità e perdita di efficacia della misura cautelare atteso che l'ordinanza è basata sulle intercettazioni telefoniche ...".
Soggiunge che lo stesso difensore aveva poi, il 14 agosto 2009, richiesto all'ufficio di Procura il "rilascio delle trascrizioni delle intercettazioni telefoniche e brogliacci", ed il P.M. aveva annotato in calce alla richiesta "visto al G.I.P. con parere favorevole ed esecuzione alla p.g. operantè ....".
Recatosi il 19 agosto successivo presso il Comando Compagnia Carabinieri di Barletta al fine di ottenere copia dei dati informatici relativi alle intercettazioni telefoniche e dei brogliacci, il difensore aveva appreso che i supporti informatici si trovavano in Procura sin dal 12 giugno 2008, e "non venivano messe a disposizione della difesa ...".
Richiama, al riguardo, la già citata sentenza della Corte Costituzionale, n. 336/2008 e deduce, quindi, che anche in tal caso "il tribunale del riesame ... aggira l'ostacolo sanando quella violazione del diritto di difesa ...
Non necessita alcuna autorizzazione da parte del G.I.P. al rilascio delle intercettazioni telefoniche in quanto depositate e facenti parte del fascicolo delle indagini preliminari, è il P.M. che autorizza e non il G.I.P....";
c) vizi di violazione di legge e di motivazione.
Il P.M. - assume il ricorrente - aveva emesso il decreto di intercettazioni telefoniche sulla sua utenza cellulare solo "sulla base di due elementi di scarsa rilevanza indiziaria":
l'interrogatorio di Fabio Fiorella, che "mi esclude da qualsiasi partecipazione alle rapine ...", ed il rinvenimento, nel corso di una perquisizione nell'abitazione dello stesso, di un pezzo di carta che recava annotato il numero della sua utenza cellulare. Soggiunge che, essendo emersa dalle dichiarazioni del Fiorella una sua chiamata in reità, al riguardo "non vi era un solo riscontro esterno che potesse dimostrare l'attendibilità" di tale chiamante in correità: illegittimamente, quindi - deduce il ricorrente -, "il P.M.... ha disposto con decreto d'urgenza le intercettazioni telefoniche convalidate dal G.I.P., senza alcun riscontro esterno delle dichiarazioni rese dal Fiorella ...", ed aveva richiesto ed ottenuto anche una proroga;
d) il vizio di motivazione, in relazione all'art. 273 c.p.p., quanto al reato sub a) della imputazione (art. 416 c.p.).
Deduce che illegittimamente il Tribunale del riesame aveva ritenuto la sussistenza del reato associativo: esso aveva annullato l'ordinanza coercitiva nei confronti del Lombardi, del quale egli, "dalla lettura della ordinanza custodiale", era stato indicato come "il braccio destro", che "prendeva ordini dal Lombardi". Soggiunge che "il mero contatto telefonico tra il ricorrente e alcuni indagati" non sarebbe idoneo a dare "alcun risvolto sulla loro organizzazione e i facenti parte alla presunta associazione, sono solo contatti telefonici sporadici ...".
In sostanza, dagli elementi di giudizio assunti e dagli esiti delle disposte intercettazioni, non sarebbe affatto ravvisabile il grave quadro indiziario in riferimento a tale reato, dovendosi semmai ravvisare l'ipotesi "del reato del concorso in rapina e non ... del reato associativo ...";
e) il vizio di motivazione, in relazione all'art. 267 c.p.p., commi 1 e 1 bis, quanto alle imputazioni sub b), b1), b2), b3), b4, e) e d2) (vari episodi di rapina).
Assume che illegittimamente gli erano stati attribuiti quei reati di rapina "sulla base del rilevamento delle celle telefoniche, senza avere alcuna certezza della presenza fisica del ricorrente sui luoghi delle avvenute rapine ...; la disponibilità del telefonino cellulare ben poteva averla altra persona ...".
Richiama le risultanze degli interrogatori di Fiorella Fabio e si sofferma su quelle relative alla individuazione dei siti localizzati. Soggiunge che, essendo stato "installato sulla vettura Alfa 147 il GPS ...", nessun elemento di riscontro esterno aveva dato la certezza che quel veicolo fosse da lui condotto.
Conclude, sul punto, rilevando che egli non poteva far parte dell'associazione contestata dal 28 aprile 2008 al 30 gennaio 2009, poiché era detenuto per altro titolo sin dal 24 novembre 2008 e posto, poi, agli arresti domiciliari il 26 maggio 2009 ininterrottamente e scarcerato l'8 luglio 2009;
f) il vizio di motivazione, in relazione all'art. 273, quanto al reato di cui al capo n) della imputazione (detenzione e porto illegale di una pistola).
Assume che il Tribunale gli aveva attribuito tale reato, illegittimamente traendo gravi elementi indiziali da una conversazione intercorsa tra Gaetano Spera e Mascolo Francesco, il cui contenuto critica nella ritenuta inducenza alla sussistenza del grave quadro indiziario;
g) vizi di violazione di legge e di motivazione, "in relazione al montaggio del GPS senza l'autorizzazione e/o tardiva ... in violazione dell'art. 191 c.p.p. dei risultati di tutte le mappe acquisite dal rilevamento GPS montato sull'autovettura Alfa 147 ... in uso al Lasala".
Al riguardo il Tribunale del riesame avrebbe reso una motivazione "a dir poco scioccante", illegittimamente ritenendo che "il montaggio del GPS sull'autovettura del ricorrente è servito per la ricerca della prova", mentre "la figura del ricorrente emerge solo il 29 luglio 2008 con le dichiarazioni del Fiorella ..." e "le autorizzazioni documentate alle intercettazioni telefoniche sono dell'1.8.2008 e l'autorizzazione del montaggio del GPS è dell'8.8.2008 e autorizzata il 4.12.2008 ...: quattro mesi dopo aver installato sulle autovetture il GPS veniva autorizzata l'installazione del GPS", il che "rende illegittimi tutti gli atti acquisiti, quali le mappe ritraenti la localizzazione del veicolo ... per violazione dell'art. 191 c.p.p.";
h) il vizio di violazione di legge, in relazione all'art. 274 c.p.p.:
assume che illegittimamente i giudici del merito avevano ritenuto la inadeguatezza della meno afflittiva misura degli arresti domiciliari. 2.1. Il difensore del ricorrente ha prodotto "note d'udienza e motivi nuovi".
Ribadisce, in sostanza, le ragioni del ricorso, quanto alla mancanza di motivazione del provvedimento custodiale, alla "inutilizzabilità del materiale intercettato", alla insussistenza del reato associativo.
3.0. La Seconda Sezione penale di questa Suprema Corte, cui il processo era stato assegnato, con ordinanza resa all'udienza del 15 gennaio 2010, ha disposto la rimessione del ricorso a queste Sezioni Unite.
Premesso che "tra le numerose questioni proposte all'esame della Corte si pone come preliminare ... quella concernente l'asserita inutilizzabilità delle intercettazioni di conversazioni telefoniche che hanno fornito agli inquirenti gli elementi sui quali è fondata la proposizione accusatoria ...", ricorda che "la ragione della denunciata inutilizzabilità è ravvisata, dal difensore ricorrente, nel fatto che non furono posti a sua disposizione, prima dell'udienza di riesame, i supporti contenenti le registrazioni e non venne, pertanto, consentita allo stesso difensore la verifica della corrispondenza delle trascrizioni di queste registrazioni con quanto desumibile dall'ascolto diretto dei dialoghi intercettati...". Richiama, quindi, la sentenza della Corte Costituzionale del 10 ottobre 2008, n. 336, rilevando che il contenuto di tale decisione "si è esaurito ... nella affermazione della sussistenza del diritto difensivo ad ottenere una copia della traccia fonica ... Senza che per quanto concerne la pratica attuazione di questo diritto siano state fornite indicazioni".
Avendo dovuto "l'interprete ... calare la solenne affermazione del principio nella concreta realtà processuale", al riguardo sono intervenute sentenze di legittimità approdate ad esiti diversi e contrastanti: Sez. 6^, 6 novembre 2008, n. 44127; Sez. 6^, 26 maggio 2009, n. 19150; Sez. 2^, 18 dicembre 2009, n. 4021/2010. 3.1. Il Presidente aggiunto, con provvedimento del 22 febbraio 2010, ha fissato l'odierna udienza per la discussione del gravame. MOTIVI DELLA DECISIONE
3.0 Deve, innanzitutto, rilevarsi la ritualità del ricorso (tempestivamente proposto).
Esso è stato sottoscritto personalmente dall'indagato, con firma autenticata dall'avv. Sasso Maria Teresa, non iscritta all'albo speciale di cui all'art. 613 c.p.p., e dalla stessa poi depositato presso il Tribunale del riesame; il ricorrente era a quel momento detenuto.
Al riguardo, hanno chiarito queste Sezioni Unite (sentenza 29 maggio 1992, n. 8141) che, nel caso in cui l'atto di impugnazione di una parte privata sia presentato in cancelleria da un incaricato, non occorre l'autentica della sottoscrizione dell'impugnante, giacché l'art. 582 c.p.p., che gli attribuisce la facoltà di avvalersi di un incaricato per la presentazione del relativo atto, non richiede siffatta formalità (cfr. anche, da ultimo, ex ceteris, Sez. 6^, 12 febbraio 2009, n. 7514).
E, sulla scorta e nell'ambito di tale principio, s'è anche ulteriormente chiarito che l'incarico alla presentazione del gravame non deve necessariamente sostanziarsi in un formale atto di delega, potendo esso essere anche orale, l'incarico, in sostanza, potendosi ritenere e presumere ogni qualvolta, in ragione del rapporto dell'incaricato con il titolare del potere di impugnazione, si abbia la piena garanzia circa l'autenticità della sottoscrizione (ex plurimis, Sez. 5^, 4 febbraio 2002, n. 12162; Sez. 2^, 12 giugno 2002, n. 35345; Sez. 6^, 29 ottobre 2003, n. 8/2004; Sez. 2^, 7 luglio 2006, n. 29608; Sez. 5^, 25 settembre 2006, n. 506/2007; Sez. 5^, 11 gennaio 2007, n. 8096; Sez. 6^, 26 febbraio 2007, n. 4947;
Sez. 1^, 23 aprile 2007, n. 5045).
Alla luce di tali principi, che vanno qui ribaditi, nella specie, il rapporto difensivo fiduciario, nella sede di merito, tra l'impugnante e la presentatrice dell'atto di gravame, da contezza della autenticità della sottoscrizione dell'atto medesimo e del conseguente incarico a presentarlo.
3.1. Il contraddittorio si è ritualmente instaurato in questa sede. L'avviso per l'odierna udienza camerale è stato, difatti, ritualmente e tempestivamente notificato al difensore di fiducia nominato ed a quel momento investito del mandato difensivo. Solo tre giorni prima dell'udienza, il 19 aprile 2010, il ricorrente ha nominato altro difensore di fiducia, "revocando tutte le precedenti nomine".
Ma, essendo stati già espletati tutti gli incombenti di cui all'art. 610 c.p.p., comma 5, era onere del sopravvenuto difensore, notiziato dalla parte, di comparire in udienza senza alcun avviso. 4.0. Tanto premesso, il primo profilo di censura (sub a), supra) è destituito di fondamento.
Il provvedimento impositivo della misura custodiale, infatti, ha richiamato "il quadro indiziario esposto dal P.M. (che) riporta in sintesi l'informativa finale dei CC. di Barletta in data 5.6.09", ed ha diffusamente e compiutamente evidenziato le circostanze fattuali alla stregua delle quali il giudice ha ritenuto la sussistenza del grave quadro indiziario.
Correttamente l'ordinanza impugnata ha richiamato i principi reiteratamente affermati da questa Suprema Corte, in tema di legittima motivazione per relationem (Sez. Un., 21 giugno 2000, n. 17; e, ex ceteris, Sez. 4^, 14 novembre 2007, n. 4181/2008; Sez. 5^, 29 settembre 2003, n. 39219; Sez. 3^, 27 novembre 2002, n. 2125/2003;; Sez. 4^, 25 giugno 2002, n. 34913): il provvedimento impositivo della misura cautelare, difatti, ha fatto riferimento ad un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione si è logicamente ritenuta congrua rispetto all'esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; il giudice ha mostrato di aver preso cognizione del contenuto sostanziale dell'atto di riferimento e di averlo meditato, valutandolo coerente con la decisione da lui assunta; l'atto di riferimento è stato riportato nel suo contenuto ritenuto rilevante ai fini della decisione assunta ed è, in tali contenuti, conosciuto dall'interessato, a lui ostensibile al momento in cui se ne è reso attuale l'esercizio della facoltà di valutazione.
E, ciò posto, è del tutto infondato l'assunto, secondo cui la motivazione per relationem sarebbe consentita in tema di motivazione dei decreti autorizzativi alle intercettazioni, ma non di un provvedimento cautelare: ne' spiega il ricorrente perché mai quel principio, che ha invece valenza generale, dovrebbe avere tale ridotta efficacia esplicativa.
D'altra parte, i giudici del merito hanno anche, del tutto correttamente, richiamato il principio, pur esso reiteratamente affermato da questa Suprema Corte, secondo cui l'ordinanza del tribunale del riesame si integra con quella applicativa della misura cautelare, dando vita ad un provvedimento unitario sotto il profilo motivazionale, sicché il giudice del riesame può integrare (e anche correggere) la motivazione del provvedimento impugnato (tra altre, Sez. Un., 17 aprile 1996, n. 7; Sez. 2^, 18 dicembre 2007, n. 3103;
Sez. 1^, 6 dicembre 2007, n. 266/2008; Sez. 2^, 23 gennaio 1998, n. 672; Sez. 2^, 28 novembre 2007, n. 774/2008; Sez. 2^, 21 novembre 2006, n. 6322/2007; Sez. 5^, 7 dicembre 2006, n. 3255/2007; Sez. 6^, 16 gennaio 2006, n. 8590; Sez. 2^, 4 dicembre 2006, n. 1102/2007;
Sez. 5^, 8 ottobre 2003, n. 40608; Sez. 6^, 6 maggio 2003, n. 32359):
ed il provvedimento qui gravato ha dato ampia, diffusa, puntuale e coerente contezza delle ragioni apprezzate nel pervenire al divisamento espresso.
5.0. Quanto al secondo motivo di doglianza (sub b), supra), il ricorrente assume, come si è sopra ricordato, che "il mancato deposito presso il Tribunale del riesame dei supporti informatici e (de)i brogliacci delle conversazioni telefoniche è causa di nullità e (di) perdita di efficacia della misura cautelare, atteso che l'ordinanza è basata sulle intercettazioni telefoniche ...". Per quanto riguarda i "brogliacci", il rilievo è infondato. Invero, deve innanzitutto rilevarsi che il G.I.P. ben può porre a fondamento del provvedimento di applicazione della misura cautelare il contenuto delle intercettazioni telefoniche, anche se compendiate in "brogliacci", ovvero riportate in forma riassuntiva, pur se non trascritte o sommariamente trascritte con semplici riferimenti riassuntivi (cfr. Sez. 4^, 26 maggio 2004, n. 39469; Sez. 6^, 28 marzo 2002, n. 20715/2003; Sez. 6^, 3 marzo 2000, n. 1106; Sez. 1^, 28 aprile 1999, n. 3289; Sez. 6^, 18 marzo 1998, n. 985; Sez. 6^, 16 maggio 1997, n. 1972); e l'omesso deposito del "brogliaccio" non è sanzionato da alcuna nullità, o inutilizzabilità, delle intercettazioni (Sez. 6^, 26 novembre 2009, n. 49541; Sez. 4^, 21 gennaio 2004, n. 16890): nella specie, sono stati puntualmente richiamati i contenuti delle intercettazioni, ritenuti rilevanti ai fini che occupano, altrettanto puntualmente esaminati e delibati nella loro valenza indiziante ai fini della emissione del provvedimento cautelare.
6.0. Quanto all'altro profilo della doglianza, concernente il mancato accesso ai supporti magnetici relativi alle conversazioni captate, che sono state poste a fondamento del provvedimento impositivo della misura custodiale e del provvedimento impugnato, esso rimanda alla questione per la quale il ricorso è stato rimesso a queste Sezioni Unite: quali effetti, cioè, sulla procedura di riesame abbiano il diniego ingiustificato o il mancato esame da parte del pubblico ministero della richiesta difensiva di ottenere copia delle registrazioni delle comunicazioni intercettate, le cui trascrizioni sintetiche (i c.d. "brogliacci di ascolto") siano state poste a fondamento dell'ordinanza applicativa della misura cautelare personale.
Com'è noto, la Corte Costituzionale, con sentenza dell'8-10 ottobre 2008, n. 336, ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 268 c.p.p., nella parte in cui non prevede che, dopo la notificazione o l'esecuzione dell'ordinanza che dispone una misura cautelare personale, il difensore possa ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni intercettate, utilizzate ai fini dell'adozione del provvedimento cautelare, anche se non depositate.
Il Giudice delle leggi ha ricordato che, alla stregua del diritto vivente, in tal senso essendo orientata la costante ed uniforme giurisprudenza di legittimità, "in caso di incidente cautelare, se il pubblico ministero presenta al giudice per le indagini preliminari richiesta di misura restrittiva della libertà personale, può depositare, a supporto della richiesta stessa, solo i "brogliacci" e non le registrazioni delle comunicazioni intercettate"; e che "la trascrizione (anche quella peritale) non costituisce la prova diretta di una conversazione, ma va considerata solo come un'operazione rappresentativa in forma grafica del contenuto di prove acquisite mediante la registrazione fonica".
Ha, quindi, considerato come "l'ascolto diretto delle conversazioni o comunicazioni intercettate non possa essere surrogato dalle trascrizioni effettuate, senza contraddittorio, dalla polizia giudiziaria, le quali possono essere, per esplicito dettato legislativo (art. 268 c.p.p., comma 2), anche sommarie", rilevando che "la possibilità per il pubblico ministero di depositare solo i "brogliacci" a supporto di una richiesta di custodia cautelare dell'indagato, se giustificata dall'esigenza di procedere senza indugio alla salvaguardia delle finalità che il codice di rito assegna a tale misura, non può limitare il diritto della difesa di accedere alla prova diretta, allo scopo di verificare la valenza probatoria degli elementi che hanno indotto il pubblico ministero a richiedere ed il giudice ad emanare un provvedimento restrittivo della libertà personale".
Ha, altresì, considerato che, "in caso di richiesta ed applicazione di misura cautelare personale ..., le esigenze di segretezza per il proseguimento delle indagini e le eventuali ragioni di riservatezza sono del tutto venute meno in riferimento alle comunicazioni poste a base del provvedimento restrittivo, il cui contenuto è stato rivelato a seguito della presentazione da parte del pubblico ministero, a corredo della richiesta, delle trascrizioni effettuate dalla polizia giudiziaria": e dunque, "la lesione del diritto di difesa garantito dall'art. 24 Cost., comma 2, si presenta quindi nella sua interezza, giacché la limitazione all'accesso alle registrazioni non è bilanciata da alcun altro interesse processuale riconosciuto dalla legge".
Ha, quindi, sottolineato che "l'interesse costituzionalmente protetto della difesa è quello di conoscere le registrazioni poste alla base del provvedimento eseguito, allo scopo di esperire efficacemente tutti i rimedi previsti dalle norme processuali"; ne consegue, conclusivamente, che "i difensori devono avere il diritto incondizionato ad accedere, su loro istanza, alle registrazioni poste a base della richiesta del pubblico ministero e non presentate a corredo di quest'ultima, in quanto sostituite dalle trascrizioni, anche sommarie, effettuate dalla polizia giudiziaria"; ed "il diritto all'accesso implica, come naturale conseguenza, quello di ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni medesime". Il conseguimento di tale diritto - ha ulteriormente rilevato la Corte - non può essere assicurato con il ricorso all'art. 116 c.p.p., giacché "la suddetta norma ..., vista congiuntamente all'art. 43 disp. att. c.p.p., non attribuisce - secondo la giurisprudenza di legittimità - un diritto incondizionato alla parte interessata ad ottenere copia degli atti, ma solo una mera possibilità ...". 6.1. Mette conto, quindi, di osservare da subito che il diritto "costituzionalmente protetto della difesa ... di conoscere le registrazioni poste a base del provvedimento eseguito", con conseguente possibilità di ottenere copia della traccia fonica, è "diritto incondizionato", il cui esercizio è preordinato "allo scopo di esperire efficacemente tutti i rimedi previsti dalle norme processuali".
L'intervento della Corte Costituzionale (che ha richiamato anche il principio dalla stessa espresso nella propria sentenza del 17-24 giugno 1997, n. 192, che ebbe a dichiarare la illegittimità costituzionale dell'art. 293 c.p.p., comma 3, nella parte in cui non prevedeva la facoltà per il difensore di estrarre copia, insieme all'ordinanza che ha disposto la misura cautelare, della richiesta del pubblico ministero e degli atti presentati con la stessa) ha riguardato, come s'è detto, solo l'art. 268 c.p.p., in tema di esecuzione delle operazioni di intercettazione; integro, perciò, rimane (tra gli altri, e per quel che nella specie più direttamente interessa) l'assetto normativo delineato dall'art. 309 dello stesso codice di rito, in tema di riesame delle ordinanze che dispongono una misura coercitiva, ma è di tutta evidenza come quella regola affermata dal Giudice delle leggi incida, poi, (anche) sulla procedura di riesame, segnatamente sotto il versante dell'esercizio del diritto di difesa, delle prospettazioni di merito in quella sede proponibili, del controllo attuale del giudice sulla sussistenza degli elementi giustificativi della imposta misura cautelare, alla stregua della evidenza procedimentale delineata e concretizzata dagli atti tutti al riguardo presentati dal pubblico ministero a supporto della richiesta di emissione del provvedimento coercitivo:
inequivoco, d'altronde, è il riferimento della Corte Costituzionale a "tutti i rimedi previsti dalle norme processuali". L'intervento della Corte si è verificato nell'ambito di una domanda de libertate di sostituzione o revoca della misura della custodia cautelare, ma non può sorger dubbio che quell'affermato dictum decisivamente rilevi anche nel contesto della procedura di riesame, nella quale si tratta di valutare la sussistenza o meno dei presupposti geneticamente legittimanti la imposta misura cautelare. 6.2. La decisione della Corte Costituzionale è intervenuta in un quadro normativo costantemente ed uniformemente valutato ed interpretato dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte. In particolare, come ha richiamato il Giudice delle leggi, questa è stata continuativamente orientata nel senso di ritenere legittimo che, a supporto della richiesta di misura cautelare, il pubblico ministero possa presentare al giudice per le indagini preliminari solo i "brogliacci" relativi alle conversazioni captate e non anche le relative trascrizioni, in un contesto in cui si è pacificamente ritenuto che la trascrizione delle intercettazioni telefoniche non costituisce prova o fonte di prova, ma solo un'operazione meramente rappresentativa in forma grafica del contenuto della prova acquisita con la registrazione fonica, della quale il difensore può far eseguire la trasposizione su nastro magnetico, ai sensi dell'art. 268 c.p.p., comma 8.
Si è costantemente affermato, quindi, che il giudice per le indagini preliminari ben può porre a fondamento dell'ordinanza cautelare il contenuto delle intercettazioni telefoniche, anche se contenute in "brogliacci" o riportate in forma riassuntiva, pur se non trascritte, altrettanto costantemente rilevandosi che la sanzione di inutilizzabilità prevista dall'art. 271 c.p.p. consegue solo nelle ipotesi ivi tassativamente indicate, riguardanti l'inosservanza delle disposizioni previste dall'art. 267 c.p.p. e art. 268 c.p.p., commi 1 e 3 (cfr., tra molteplici altre, Sez. 4^, 26 maggio 2004, n. 39469;
Sez. 5^, 9 luglio 2003, n. 34680; Sez. 6^, 28 marzo 2002, n. 20715/2003; Sez. 1^, 23 gennaio 2002, n. 7406; Sez. 6^, 3 marzo 2000, n. 1106; Sez. 1^, 26 novembre 1998, n. 5903/1999; il principio è stato da ultimo ribadito da Sez. 6^, 23 ottobre 2009, n. 2930/2010). In tale contesto, pure si è rilevato e chiarito che "il deposito di cui all'art. 268 c.p.p., comma 4 rientra nella procedura finalizzata alle successive operazioni di stralcio eventuale e di trascrizione da effettuarsi in contraddittorio delle parti, ai fini dell'inserimento nel fascicolo per il dibattimento, come tale del tutto distinta dalla procedura incidentale de libertate, ove non di deposito ... è a parlarsi, ma di allegazione agli atti posti a fondamento della misura.
Trattasi, perciò, di incombenti a finalità diverse, con scansioni temporali non coincidenti (l'epoca del deposito, invero, prescinde del tutto da quella di celebrazione del procedimento cautelare di regola anteriore) e con oggetti non necessariamente coincidenti (il deposito riflette tutto il materiale relativo alle operazioni..., nel mentre la allegazione ai fini cautelari può riguardare solamente le trascrizioni sommarie del contenuto delle comunicazioni o gli appunti raccolti durante le intercettazioni)" (Sez. Un., 27 marzo 1996, n. 3;
Sez. Un., 20 novembre 1996, n. 21/1997; Sez. 6^, 8 ottobre 1998, n. 2911; Sez. 6^, 3 giugno 2003, n. 35090).
È stato anche puntualizzato che non solo è da escludere la necessità del deposito, ex art. 268 c.p.p., in vista della utilizzazione a fini cautelari, dei risultati delle registrazioni, ma anche la necessità che il pubblico ministero alleghi alla richiesta di emissione del provvedimento cautelare il verbale e la registrazione relativi alle operazioni di intercettazione, ravvisandosi, in sostanza, una sorta di "presunzione d'esistenza e di conformità", senza la necessità di un controllo giurisdizionale sulla effettiva sussistenza di tale documentazione, dalla quale discende la validità della prova; ciò sul rilievo che l'art. 271 c.p.p. non menziona l'art. 89 disp. att. c.p.p., essendo, perciò, consentito di utilizzare a fini cautelari i dati conoscitivi tratti dalle captazioni effettuate, senza che il pubblico ministero sia tenuto a produrre, ne' al giudice per le indagini preliminari, ne', eventualmente, al tribunale del riesame, la relativa documentazione (id est, i verbali contenenti le trascrizioni sommarie e le bobine registrate) (Sez. 6^, n. 2911/1998, cit.; Sez. 6^, 21 gennaio 1999, n. 208; sulla esclusione della sanzione di inutilizzabilità per l'inosservanza del precitato art. 89 disp. att. c.p.p. v., da ultimo, Sez. Un., 26 giugno 2008, n. 36539).
In definitiva, si è ritenuto che il pubblico ministero non sia tenuto a trasmettere al tribunale del riesame anche le registrazioni delle conversazioni intercettate, posto che, ai sensi dell'art. 309 c.p.p., comma 5, egli è tenuto a trasmettere solo gli atti da lui prodotti con la richiesta di applicazione della misura cautelare; la difesa poteva accedere a tale documentazione, ma non anche alle registrazioni delle comunicazioni intercettate, giacché il deposito di queste è disciplinato dall'art. 268 c.p.p., comma 4, con la predeterminazione delle sequenze temporali ivi indicate e la possibilità di proroga.
6.3. Su tale assetto normativo, come univocamente interpretato dalla costante giurisprudenza di legittimità, è, dunque, intervenuta la pronuncia della Corte Costituzionale; la quale, dichiarando la parziale illegittimità costituzionale dell'art. 268 c.p.p., nei termini sopra ricordati, ha stabilito ora il diritto della parte ad accedere alle registrazioni effettuate, utilizzate ai fini cautelari, anche prima del loro deposito ai sensi del quarto comma della stessa norma; così stabilendo, in sostanza, un obbligo per il pubblico ministero, a richiesta della parte, di completa discovery del mezzo di prova utilizzato ai fini della imposizione della misura cautelare, con l'effetto, tra l'altro, di configurare, sia pure limitatamente alla sola materia delle intercettazioni, il diritto previsto dall'art. 293 c.p.p., comma 3, non più solo come strumento di conoscenza degli elementi su cui è fondata l'ordinanza cautelare, ma come diritto alla piena conoscenza degli elementi che il giudice ha utilizzato nell'emettere il provvedimento restrittivo della libertà personale.
L'ordinanza di rimessione, nel procedimento che occupa, ha pertinentemente rilevato, come si è sopra ricordato, che la pronuncia della Corte "non ha potuto estendersi agli aspetti, problematici, di concretezza che la sua attuazione ha immediatamente posto all'attenzione degli operatori e degli interpreti", ed "il contenuto della decisione della Corte si è, pertanto, esaurito nella affermazione della sussistenza del diritto difensivo ad ottenere copia della traccia fonica ... Senza che per quanto concerne la pratica attuazione di questo diritto siano state fornite indicazioni".
Tanto, in effetti, appare anche sollecitare il legislatore a rimeditare, con espressa previsione normativa, l'assetto dell'istituto in questione, sulla scia di quanto talora suggerito in dottrina e di quanto inizialmente prefigurato al riguardo nel progetto preliminare del codice di procedura penale, ove, in tema di esecuzione delle operazioni di intercettazione, nell'originario art. 268, comma 5 a proposito del deposito dei verbali e delle registrazioni, era previsto che, "tuttavia, se le intercettazioni vengono utilizzate per il compimento di singoli atti delle indagini preliminari, il deposito deve avvenire entro cinque giorni dal compimento dell'atto".
La illegittimità costituzionale della norma in questione è stata dichiarata sul presupposto che le "registrazioni poste a base della richiesta del pubblico ministero" non siano state "presentate a corredo di quest'ultima, in quanto sostituite dalle trascrizioni, anche sommarie, effettuate dalla polizia giudiziaria". Su tali indotti aspetti problematici sono intervenute pronunce contrastanti dalle sezioni semplici di questa Suprema Corte, soprattutto per quanto riguarda gli effetti della violazione del diritto di accesso in sede di riesame.
Con sentenza della Sez. 6^, 6 novembre 2008, n. 44127, si è ritenuto che l'inadempimento della richiesta di accesso, in quanto atto sopravvenuto, può esser fatto valere solo innanzi al giudice che ha emesso il provvedimento. Si è rilevato che "una corretta lettura dei termini della sentenza ... della Corte Costituzionale ..., impone di considerare che, trattandosi di un diritto riconosciuto dalla Consulta alla difesa, attinente ad una fase successiva all'emissione del provvedimento di cautela, non sembra che l'inadempimento della richiesta comporti ex tunc la caducazione della misura". Si è, quindi, affermato che "l'atto non può che essere richiesto al G.I.P., dovendo il giudice del riesame operare solo in fase di controllo sul provvedimento impositivo al momento del deposito degli atti ex art. 293 c.p.p., trattandosi degli stessi atti posti a base della misura, ancorché "deprivati" della sintesi conseguente all'utilizzazione dei brogliacci che restano, in ogni caso, utilizzabili in competente sede".
Altra sentenza della Sez. 6^, 7 maggio 2009, n. 29386, ha ricordato il principio sopra affermato, secondo cui "la richiesta volta ad ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni utilizzate ai fini dell'adozione di un provvedimento cautelare deve essere presentata al giudice che ha adottato la relativa misura coercitiva e non al tribunale del riesame", ed ha ritenuto che "tale principio non può che essere riaffermato nel suo significato complessivo con la precisazione che la richiesta deve essere rivolta al pubblico ministero, nella cui disponibilità materiale e giuridica sono i documenti in questione nella fase delle indagini".
Ha rilevato che "il pubblico ministero, dominus della fase investigativa, è l'unico abilitato, nell'ambito della proceduta atipica configurata dalla sentenza costituzionale, a verificare eventuali limiti, collegati essenzialmente alla tutela della riservatezza di altri soggetti coinvolti nelle registrazioni delle conversazioni ed estranei ai fatti e alla segretezza delle indagini per registrazioni di conversazioni non ancora ostensibili: situazioni che possono incidere ... sulle modalità e tempi per provvedere al materiale rilascio delle copie".
Ha ulteriormente osservato che il decisum della Corte Costituzionale "non incide anzitutto sulla validità dell'ordinanza cautelare e, poi, sulla procedura di riesame e sui tempi in cui deve essere conclusa e non può essere oggetto di richiesta al giudice della procedura incidentale, il quale non ha la disponibilità del nastro magnetico, e deve decidere su quanto posto a fondamento dell'ordinanza e su eventuali produzioni della difesa, tra i quali rientra anche il nastro magnetico ottenuto dalla difesa". Ha altresì osservato che l'interesse della difesa a "conoscere le registrazioni poste a base del provvedimento eseguito, allo scopo di esperire efficacemente tutti i rimedi previsti dalle norme processuali", non è "tale, però, da integrare una regola che possa invalidare l'epilogo della richiesta cautelare e, in ogni caso, ritardare i tempi di definizione della procedura di riesame. La difesa, una volta ottenuta la copia del supporto magnetico e verificate le asserite incongruenze con i contenuti del c.d. "brogliaccio" è abilitata, in relazione al novum, a proporre ogni ulteriore rimedio incidentale previsto dalla legge processuale". La sentenza della Sez. 3^, 30 settembre 2009, n. 41256, ha esaminato una fattispecie in cui, sulla richiesta di ottenere copia su supporto magnetico delle registrazioni, il pubblico ministero aveva provveduto "dopo ben 76 giorni", rigettando la richiesta sulla "semplice motivazione" che "l'art. 268 c.p.p. non prevede la facoltà di avere copia delle tracce audio".
La Corte ha escluso che il tribunale "avesse la facoltà di sospendere o rinviare il procedimento ...".
Ha osservato che la decisione della Corte Costituzionale "stabilisce un principio generale a tutela del diritto di difesa, ma non è entrata in merito alle discrasie con altre contrarie disposizioni di carattere normativo ... ; la legge impone al tribunale per il riesame di decidere entro dieci giorni dalla ricezione della richiesta e degli atti del P.M., ma non prevede la possibilità, in caso di richiesta di ulteriori atti da parte del difensore, di sospendere il procedimento o di rinviarlo oltre il decimo giorno ...; l'alternativa è quella di annullare la misura per la mancata trasmissione degli atti entro i termini prescritti, ovvero decidere in base agli atti in suo possesso".
Ha ritenuto che "va esclusa la prima ipotesi", rilevando, tra l'altro, che "nella specie non trattavasi di elementi sopravvenuti:
egli (il P.M.) aveva trasmesso i brogliacci e le trascrizioni delle conversazioni" e "quindi la richiesta di copia dei nastri magnetici esulava da tali atti, non trattandosi di nuovi elementi di prova;
il mancato rilascio delle copie non atteneva all'inefficacia del provvedimento cautelare, ma, teoricamente, alla regolarità della procedura di riesame, causata dalla discrasia sopra evidenziata attribuibile al P.M.".
Ha ritenuto, quindi, che "correttamente il tribunale decise allo stato degli atti", soggiungendo che "ciò non pregiudica i diritti della difesa, che potrà azionare i rimedi consentiti per ottenere le copie delle bobine, ed in base ad esse presentare eventuale domanda di revoca della misura".
Altra sentenza della Sez. Feriale, 10 settembre 2009, n. 37151, ha osservato che, in quella fattispecie, la richiesta di trasposizione su nastro magnetico delle conversazioni intercettate era stata effettuata ad "immediato ridosso ... dell'udienza camerale per il riesame", e "le rigide cadenze previste per l'udienza di riesame non consentivano di ritenere che la presentazione dell'istanza fosse avvenuta in tempo utile perché il P.M. fosse in grado di soddisfare la richiesta del difensore e questi, a sua volta, potesse porre tempestivamente a disposizione del tribunale del riesame - ove necessario - le registrazioni stesse che il P.M. non è obbligato a trasmettere al giudice".
Ha rilevato che la intervenuta pronuncia della Corte Costituzionale non può condurre a ritenere la inutilizzabilità delle intercettazioni, giacché "non è stato ... intaccato in alcun modo ... il preciso disposto dell'art. 271 c.p.p.".
Il tema del diniego opposto alla richiesta difensiva di accesso alle registrazioni, e dei conseguenti effetti, è stato ripreso, poi, nella sentenza Sez. 1^, 14 gennaio 2010, n. 46414.
Si è, ivi, ritenuto che "non vi è dubbio che il diniego della richiesta ... di autorizzazione ad estrarre il supporto audio delle tre intercettazioni ambientali integra una nullità di ordine generale ... .
Ma tale nullità va inquadrata in quelle generali a regime intermedio previste dall'art. 178 c.p.p., di guisa che, non risultando dal verbale di udienza che tale nullità sia stata tempestivamente eccepita, la stessa non può essere rilevata o dedotta ai sensi dell'art. 180 c.p.p.".
Tanto era stato affermato da altra sentenza della Sez. 1^, 10 novembre 2009, n. 44226, la quale ha confermato che dalla lesione del diritto di accesso "consegue, indiscutibilmente, in linea di principio la nullità generale del procedimento ai sensi dell'art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c)".
Sulla scorta di tale principio altre pronunce sono pervenute a statuizioni di annullamento con rinvio del provvedimento impugnato. Così Sez. 3^, 9 novembre 2009, n. 46704, ha rilevato che "il diritto di accesso del difensore alle trascrizioni può essere compromesso momentaneamente nel caso in cui le stesse non possano essere rilasciate entro il termine fissato per espletare il procedimento sulla libertà.
La violazione del diritto di difesa non trova, invece, giustificazione quando l'interessato ha chiesto tempestivamente i supporti ed il pubblico ministero, in tempo utile, ha preso in considerazione la istanza e l'ha respinta con incongrua motivazione". Ad identiche conclusioni sono pervenute Sez. 6^, 26 marzo 2009, n. 19150; Sez. 5^, 24 giugno 2009, n. 39930; Sez. 2^, 18 dicembre 2009, n. 4021/2010, in questa, tra l'altro, rilevandosi che gli atti di intercettazione conservano la loro validità, ma possono essere "considerati come elementi probatori solo quando la difesa avrà la concreta possibilità di prenderne cognizione diretta e non limitata agli schemi riassuntivi e alle trascrizioni effettuate dalla p.g.". In tali decisioni, tuttavia, non si è specificamente indicato quale debba essere poi l'attività espletanda dal giudice del rinvio e le statuizioni che allo stesso competono.
7.0. In tale rappresentato panorama giurisprudenziale, è, dunque, necessario che, nel mutato quadro normativo in parte qua determinato dalla intervenuta pronuncia della Corte Costituzionale, vengano esaminati i singoli profili, contenuti e momenti nei quali si inserisce e va salvaguardato l'effettivo esercizio del diritto di accesso riconosciuto dal Giudice delle leggi e le conseguenze che il suo mancato riconoscimento determina nei procedimenti de libertate. 7.1. Innanzitutto, deve rilevarsi che il diritto di accesso, così come configurato dalla Corte Costituzionale, è riconosciuto solo al difensore: soltanto a questo, difatti, l'art. 268 c.p.p., comma 6, riconosce "la facoltà di esaminare gli atti e ascoltare le registrazioni ovvero di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche"; e, quanto al procedimento di riesame, l'art. 309 c.p.p., comma 8, ancora una volta riconosce solo al difensore la facoltà di esaminare gli atti e di estrarne copia; solo al diritto di accesso del difensore ha fatto riferimento la sentenza della Corte Costituzionale.
7.2. Quanto all'autorità giudiziaria cui spetta il rilascio della copia, non può sorger dubbio che questa vada identificata nel pubblico ministero che procede.
Nella sua disponibilità materiale e giuridica, difatti, si trovano i documenti in questione nella fase delle indagini, come puntualmente rilevato da Sez. 6^, 7 maggio 2009, n. 28386, cit; e solo il pubblico ministero è in grado di procedere alla selezione delle registrazioni all'uopo rilevanti, nell'intero contesto di tutte quelle effettuate, ad individuare solo quelle poste a fondamento della richiesta della misura cautelare ed a verificare, quindi, gli eventuali limiti al rilascio delle copie richieste, in relazione alla tutela della riservatezza di altri soggetti estranei ai fatti, le cui conversazioni siano state captate, o a contenuti delle registrazioni che non siano rilevanti ai fini che occupano.
In tal senso anche Sez. 3^, 30 settembre 2009, n. 41256, cit;
sostanzialmente Sez. 5^, 24 giugno 2009, n. 39930, cit.; Sez. 6^, 26 marzo 2009, n. 19150, cit..
È erroneo, quindi, l'assunto del provvedimento impugnato, secondo cui (richiamandosi la sentenza della Sez. 6^, 6 novembre 2008, n. 44127, cit.) "la richiesta intesa ad ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni utilizzate ai fini dell'adozione di un provvedimento cautelare personale dev'essere presentata al giudice che ha applicato la misura coercitiva".
7.3. Il diritto alla acquisizione della copia può concernere solo le intercettazioni i cui esiti captativi siano stati posti a fondamento della richiesta della emissione del provvedimento cautelare; non altri, ne' tampoco diversi esiti captativi che concernono persone diverse dall'indagato e che non rilevano al fine di valutare la posizione indiziaria di quest'ultimo.
7.4. Tale diritto è esercitarle dopo la notificazione o l'esecuzione dell'ordinanza che dispone una misura cautelare personale, come espressamente specificato dalla Corte Costituzionale. Essendo esso finalizzato ad "esperire efficacemente tutti i rimedi previsti dalle norme processuali", non è dato individuare un termine ad quem nella proposizione dell'atto che quel rimedio sollecita, in particolare nella proposizione della richiesta di riesame, nel senso, cioè, che quella istanza debba necessariamente intervenire prima della richiesta di riesame: nessun termine perentorio al riguardo è ravvisabile ai sensi dell'art. 173 c.p.p.; la richiesta di riesame può non enunciare i motivi della sua proposizione (art. 309 c.p.p., comma 6) e può riguardare anche profili ulteriori e diversi da quello in questione.
7.5. Assumendosi, poi, nella ordinanza impugnata, che la Corte Costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 268 c.p.p., "senza però stabilire alcun termine entro il quale tale adempimento debba essere assolto", deve innanzitutto rilevarsi che al diritto del difensore di accedere alle registrazioni corrisponde un obbligo del pubblico ministero di assicurarlo. La Corte, difatti, ha configurato tale diritto come "incondizionato", rilevando che, come si è già ricordato, "le esigenze di segretezza per il proseguimento delle indagini e le eventuali ragioni di riservatezza sono del tutto venute meno in riferimento alle comunicazioni poste a base del provvedimento restrittivo, il cui contenuto è stato rivelato a seguito della presentazione da parte del pubblico ministero, a corredo della richiesta, delle trascrizioni effettuate dalla polizia giudiziaria".
E proprio da tanto ha tratto la conclusione che la pregressa normativa, che tale accesso in quella fase e stato del procedimento non assicurava, ledeva il diritto di difesa costituzionalmente presidiato dall'art. 24 Cost., comma 2, ed il principio di parità delle parti nel processo sancito dall'art. 111 Cost., comma 2. L'inottemperanza a tale obbligo può comportare responsabilità disciplinari, stante il dovere di osservanza delle norme processuali richiamato dall'art. 124 c.p.p., e, ove ne sussistano le condizioni di legge, anche penali (si veda il principio affermato da Sez. Un., 24 settembre 2009, n. 40538, a proposito della tardiva iscrizione nel registro di cui all'art. 335 c.p.p., ivi statuendosi che "gli eventuali ritardi ... sono privi di conseguenze" in quel caso, "fermi restando gli eventuali profili di responsabilità disciplinare o penale").
7.6. Ciò posto, è vero che manca la espressa indicazione di un termine entro il quale quella richiesta debba essere esaudita (e, deve ritenersi, a tanto non poteva procedere la Corte Costituzionale).
Nè è condivisibile l'opinione espressa da una voce della dottrina, secondo cui, dovrebbe trovare applicazione il termine di cinque giorni indicato dall'art. 268 c.p.p., comma 4: questo, infatti, attiene al termine (con possibilità di proroga) in cui devono essere depositati in segreteria i verbali e le registrazioni in riferimento alla conclusione delle operazioni, ed afferisce, quindi, ad aspetti, momenti e materia non sovrapponibili a quelli che rilevano nel tema che qui occupa.
Tuttavia, non bisogna dimenticare che la Corte ha esaminato la questione "in caso di incidente cautelare", riconoscendo il diritto dell'istante ad ottenere le copie richieste "allo scopo di verificare la valenza probatoria degli elementi che hanno indotto il pubblico ministero a richiedere ed il giudice ad emanare un provvedimento restrittivo della libertà personale": e la acquisizione delle "registrazioni poste alla base del provvedimento eseguito" è finalizzata "allo scopo di esperire efficacemente tutti i rimedi previsti dalle norme processuali".
Essendo, dunque, la richiesta della copia finalizzata ad esperire il diritto di difesa nel procedimento incidentale de libertate, ne consegue che essa deve essere rilasciata, comunque, in tempo utile perché quel diritto di difesa possa essere in quella sede esercitato.
Del tutto condivisibilmente ha rilevato la sentenza della Sez. 5^, 24 giugno 2009, n. 39930, che "è di tutta evidenza che, essendo la messa a disposizione di quegli elementi finalizzata al pieno dispiegarsi dell'attività difensiva, implicito è l'obbligo per l'autorità procedente di soddisfare la richiesta in tempo utile, per consentirne la disamina in vista del riesame".
Tali termini, d'altronde, sono ben noti al pubblico ministero, perché normativamente scaturiscono dal disposto dell'art. 309 c.p.p., comma 1, che indica in dieci giorni il termine per proporre la richiesta di riesame, e dalle prescrizioni dei commi 5 e 9 della stessa disposizione normativa, che regolano le susseguenti cadenze temporali.
Ed altrettanto noti, perché pur essi normativamente prefigurati, sono gli ancor più ristretti termini per l'interrogatorio di garanzia (art. 294 c.p.p.).
Tanto appare comportare, sotto il profilo organizzativo, la opportunità che il pubblico ministero, al momento di formulare la richiesta del provvedimento cautelare, si attrezzi anche preventivamente e per tempo per essere in grado di ottemperare tempestivamente al nuovo obbligo imposto dalla sentenza della Corte Costituzionale.
7.7. Al fine di porre il pubblico ministero nella possibilità di adempiere il proprio obbligo, è del pari necessario che la richiesta venga proposta in tempo utile rispetto alle cadenze temporali indicate dalle norme processuali, segnatamente, per quanto nella specie rileva, dall'art. 309 c.p.p., comma 9, (cfr., tra altre, Cass., Sez. Feriale, 10 settembre 2009, n. 37151; Sez. 3^, 3 novembre 2009, n. 46704, che ha richiamato quanto al riguardo rilevato dalla pregressa sentenza della Corte Costituzionale del 17-24 giugno 1997, n. 192; Cass. Sez. 6^, 26 marzo 2009, n. 19150).
E tanto va considerato tenuto conto della complessità o meno delle operazioni di duplicazione delle intercettazioni (poche o moltissime;
facilmente estrapolabili o meno; ecc).
Ove il pubblico ministero ritenga che le copie richieste non possano, per tali o altri similari motivi, essere rilasciate tempestivamente, si prospetta al riguardo un suo onere di congrua motivazione che dia conto di tale impossibilità, sulla stessa, poi, dovendosi esercitare il controllo del giudice della cautela, solo alla stregua di tali rappresentate prospettazioni, non avendo quest'ultimo la disponibilità dell'intero compendio delle attività captative. Se quella cadenza temporale non è possibile ragionevolmente osservare, per essere stata la richiesta proposta in tempo non utile ad essere assolta, o a motivatamente giustificare la impossibilità di adempiere alla stessa, prima della relativa udienza camerale, anche alla stregua delle ragioni prospettate dal pubblico ministero, il tribunale del riesame deve comunque decidere alla stregua degli atti trasmessigli nel termine impostogli dalla legge: nella precitata sentenza della Corte Costituzionale n. 192/1997, in riferimento ai "termini rapidi e vincolanti previsti per l'interrogatorio", si è osservato che "nè il difensore potrà pretendere, ne' l'autorità giudiziaria potrà concedere dilazioni di tali termini ove risulti materialmente impossibile procedere alla copia di tutti gli atti richiesti entro le rigide cadenze previste per l'interrogatorio e per l'udienza del riesame".
D'altronde, il diritto a far valere eventuali rilievi e ragioni difensive, in termini di rilevanza probatoria o indiziaria, scaturenti dall'ascolto delle registrazioni, non rimane, in tal caso, affatto precluso all'indagato, giacché quei rilievi e quelle ragioni possono comunque essere dallo stesso fatti valere successivamente, una volta ottenuta la copia della traccia fonica richiesta. 7.8. Quanto all'autorità giudiziaria davanti alla quale può esser fatto valere il mancato rilascio della copia degli atti richiesti, la sentenza della Sez. 6^ 6.11.2008, n. 44127 ha ritenuto che "l'inadempimento della richiesta di accesso, in quanto atto sopravvenuto, può essere fatto valere solo innanzi al giudice che ha emesso il provvedimento, giacché il controllo effettuato dal riesame attiene solo al provvedimento impositivo "di base" al momento del deposito degli atti ex art. 293 c.p.p.".
Tale assunto non può essere condiviso.
Appare, difatti, in tal guisa prospettarsi che il vaglio demandato al giudice del riesame debba essere cristallizzato solo alla situazione sussistente al momento impositivo della misura, nessun rilievo assumendo altre circostanze intervenute medio tempore e pure prospettabili al medesimo giudice.
Ma, innanzitutto, ai sensi dell'art. 309 c.p.p., comma 5, il P.M. ha l'obbligo di trasmettere, nel termine indicato, anche "tutti gli elementi sopravvenuti a favore della persona sottoposta alle indagini", ed analogo diritto deve, simmetricamente, essere riconosciuto alla parte.
In ogni caso, ai sensi del nono comma della stessa disposizione normativa, il tribunale decide "anche sulla base degli elementi addotti dalle parti nel corso dell'udienza".
Il tribunale del riesame, quindi, deve verificare, alla stregua degli artt. 273, 274, 275 e 280 c.p.p., la legittimità della adozione della misura cautelare, avendo anzitutto riguardo alla situazione processuale coeva al provvedimento impugnato, senza, tuttavia, omettere di valutare anche gli elementi sopravvenuti purché addotti nell'udienza camerale (ex ceteris, Sez. Un. 8 luglio 1994, n. 11;
Sez. Un. 8 luglio 1994, n. 12): l'eventuale accertamento della difformità tra le indicazioni contenutistiche indicate nei "brogliacci" e l'effettivo tenore delle conversazioni captate è elemento di valutazione sopravvenuto alla situazione rappresentata e, in quanto tale, esaminata dal giudice che impose la misura, deducibile davanti al giudice del riesame che deve, a quel momento, delibare la sussistenza, tra l'altro, delle condizioni di cui al precitato art. 273 c.p.p..
Può soggiungersi che la regola della deducibilità del novum nel procedimento incidentale de libertate trova applicazione anche nel procedimento di appello, ex art. 310 c.p.p., improntato al principio devolutivo, in relazione ad elementi probatori nuovi, preesistenti o sopravvenuti, pur sempre nell'ambito dei confini segnati dal devolutimi ; in particolare, non si è revocata in dubbio alcuno la possibilità che al difensore, nel giudizio di appello de libertate, "sia consentito, dopo aver esaminato gli atti su cui si fonda l'ordinanza appellata e nel contraddittorio camerale, produrre a favore del proprio assistito la documentazione relativa a materiale informativo, sia preesistente che sopravvenuto, acquisito anche all'esito di investigazioni difensive ..." (Sez. Un., 31 marzo 2004, n. 18339 ; v. anche Sez. Un., 21 giugno 1997, n. 8).
Poiché il difensore ha la facoltà di prospettare, in sede di riesame, anche elementi nuovi, incidenti sul tema della legittimità del provvedimento che ha imposto la misura cautelare, gli deve essere assicurato, in quella sede, anche il diritto di aver piena cognizione degli atti sui quali la misura si fonda, per consentirgli ogni attività difensiva al riguardo, compresa le eventuale prospettazione del novum rispetto agli elementi posti a base della originaria misura impositiva, dato dalla non corrispondenza o non esatta interpretazione tra quanto riportato nei "brogliacci" e quanto, invece, realmente risulta dalla intercettazioni.
In definitiva, l'accesso alle registrazioni delle conversazioni captate serve a rendere effettivo e completo l'esercizio del diritto di difesa della parte, come chiarito nella suindicata sentenza del Giudice delle leggi, giacché "l'interesse costituzionalmente protetto della difesa è quello di conoscere le registrazioni poste alla base del provvedimento eseguito, allo scopo di esperire efficacemente tutti i rimedi previsti dalle norme processuali"; e "l'interesse in questione può essere assicurato con la previsione ... del diritto dei difensori ad accedere alle registrazioni in possesso del pubblico ministero".
L'acquisizione di quei dati, dunque, è finalizzato proprio al controllo della legittimità della misura genetica emessa nei confronti dell'indagato: e proprio tale scrutinio è demandato al giudice del riesame.
7.9. Ove il pubblico ministero non ottemperi tempestivamente alla richiesta di accesso alle registrazioni e di trasposizione su nastro magnetico delle conversazioni o comunicazioni captate, perché la circostanza possa rilevare nel procedimento incidentale de libertate la parte ha l'onere di specifica allegazione e documentazione al riguardo, in quella sede.
Se tanto non venga specificamente dedotto, il difensore rinuncia del tutto alla possibilità di contestare la "presunzione d'esistenza e di conformità" del contenuto dei "brogliacci" a quello delle conversazioni o comunicazioni captate; ed il tribunale del riesame nessun accertamento è tenuto ad eseguire al riguardo, neppure risultandogli che una richiesta di accesso sia stata proposta. Ne consegue che il rilievo non può essere formulato per la prima volta in Cassazione.
7.10. Ove il rilievo sia stato, invece, specificamente e documentalmente proposto al giudice del riesame, v'è innanzitutto da chiedersi se, nel riscontrato inadempimento dell'obbligo da parte del pubblico ministero e nella sua, a quel momento, persistente inerzia, il tribunale abbia poteri officiosi al riguardo.
A tale quesito si ritiene di dover dare risposta positiva. Deve, infatti, premettersi che queste Sezioni Unite hanno già avuto modo di rilevare che, a seguito delle novelle normative intervenute sull'originario assetto del codice di rito, "il riesame ha assunto ... la funzione di strumento di controllo a garanzia della libertà personale nella dialettica tra le parti attraverso un'effettiva e tempestiva verifica giudiziale, con l'attuata discovery degli elementi a sostegno della richiesta cautelare ... .
Da mezzo di difesa per "costringere" il P.M. a scoprire la sua strategia accusatoria, il riesame si è connotato, secondo l'evoluzione giurisprudenziale, di una logica di tipo sostanziale che consentisse la polarizzazione del controllo del tribunale sulla valutazione degli indizi, operata dal giudice cautelare, attraverso la trasmissione dei dati dai quali potessero desumersi gli elementi di colpevolezza, le esigenze cautelari e l'adeguatezza della misura prescelta" (Sez. Un., 27 marzo 2002, n. 19853).
Trattandosi di valutare le conseguenze derivanti dalla mancata allegazione e trasmissione di atti concernenti le intercettazioni utilizzate ai fini cautelari, non sottoposti al G.I.P. ai sensi dell'art. 291 c.p.p. (si trattava, specificamente, dei decreti autorizzativi delle operazioni di intercettazione), s'è distinto il caso in cui tali atti siano stati regolarmente allegati alla richiesta di misura cautelare e poi non trasmessi al tribunale del riesame, ed il caso in cui la mancata trasmissione degli atti consegua alla non integrale presentazione degli stessi già al giudice per le indagini preliminari. Solo nel primo caso - s'è chiarito - consegue la caducazione automatica della misura; nel secondo caso, invece, "non opera una siffatta sanzione" e "il comportamento omissivo del P.M., circa il mancato inoltro di alcuni atti ... che, pertanto, il G.I.P. non ha potuto valutare e il corrispondente mancato esame degli stessi da parte del tribunale del riesame non determina la perdita di efficacia dell'ordinanza cautelare ... ma solo la inutilizzabilità" di quegli atti. La pecularità della situazione che qui si esamina scaturisce dalla considerazione che, a ben vedere, non si versa in ipotesi in cui non siano stati prodotti al G.I.P. atti che egli, quindi, non ha potuto valutare; gli esiti delle operazioni captative gli sono stati rappresentati attraverso la trascrizione che di essi sia stata effettuata dalla p.g., con i "brogliacci" o forme consimili, e legittimamente alla stregua di essi è stata emessa la misura cautelare.
Si tratta, invece, solo di consentire di verificare, a richiesta ed eventuale contestazione di parte, la effettiva corrispondenza del contenuto cartaceo a quello auditivo, il che, ovviamente, presuppone che la parte sia posta in condizione di eventualmente proporre quella richiesta e quelle contestazioni, mercè il concreto esercizio del diritto di difesa nei termini riconosciutile dalla sentenza della Corte Costituzionale.
La questione, quindi, investe non la produzione, ab imis, della prova, che è stata a suo tempo prodotta in forma idonea ad essere a quel momento valutata ai fini della emissione del provvedimento cautelare, ma la possibilità della sua ulteriore valutazione, della sua verifica, in sede di riesame, ove ivi richiamata, e quindi riproposta, in violazione di tale diritto di difesa. Pur nel quadro di quei principi affermati dalle Sezioni Unite, la giurisprudenza di legittimità non ha mancato di affrontare ed esaminare lo specifico tema che qui si è proposto. Con sentenza della 1^ Sez. 28 aprile 1998, n. 2383, si è ritenuto che, in caso di mancata allegazione da parte del P.M. di atti nella richiesta del provvedimento cautelare (si trattava anche in quel caso di decreti autorizzativi di intercettazioni), non soltanto "nulla vieta al G.I.P. di disporne preventivamente la acquisizione prima di emettere il provvedimento custodiale", ma, in ogni caso, la relativa verifica "potrà essere fatta anche a posteriori ... dal tribunale del riesame ...".
Ed il principio è stato più volte ribadito (Sez. 1^, 30 giugno 1999, n. 4582; Sez. 4^, 28 gennaio 2000, n. 2068; Sez. 4^, 1 giugno 2001, n. 27961; Sez. 6^, 13 dicembre 2002, n. 1304/2003; Sez. 4^, 1 dicembre 2004, n. 4631; Sez. 4^, 8 novembre 2005, n. 4207; Sez. 4^, 1 marzo 2005, n. 15426; Sez. 3^, 12 ottobre 2007, n. 42371); esso è stato affermato in relazione alla acquisizione dei decreti autorizzativi delle operazioni di intercettazione, ma non v'è ragione alcuna per non ritenerlo operante anche per altri atti; e tale potere officioso si appalesa del tutto consono e funzionale a quella "logica di tipo sostanziale" che caratterizza l'attività del tribunale del riesame nel controllo e nella valutazione del quadro indiziario che ha indotto alla emanazione della misura cautelare. Tale attività officiosa può, peraltro, essere compiuta solo in tempi utili per l'espletamento delle conseguenti incombenze e la valutazione dei relativi esiti entro l'improcrastinabile termine nel quale il tribunale deve rendere la sua decisione, ai sensi dell'art. 309 c.p.p., comma 9.
In particolare, la sentenza delle Sezioni Unite n. 19853/2002 cit. ha chiarito che anche la "produzione vicaria" cui è abilitata la difesa è "sganciata dal termine perentorio di cui al citato quinto comma (dello stesso art. 309 c.p.p.) e quelle prospettazioni possono essere rappresentate "fino all'udienza camerale e nel corso della stessa". 7.11. Ove al difensore sia stato ingiustificatamente impedito il diritto di accesso alle registrazioni poste a base della richiesta del pubblico ministero, tanto non determina la nullità del genetico provvedimento impositivo, legittimamente fondato sugli atti a suo tempo prodotti a sostegno della sua richiesta dal P.M.; non comporta la inutilizzabilità degli esiti delle captazioni effettuate, perché questa scaturisce solo nelle ipotesi indicate dall'art. 271 c.p.p., comma 1; non comporta la perdita di efficacia della misura, giacché la revoca e la perdita di efficacia della misura cautelare conseguono solo nelle ipotesi espressamente previste dalla legge (artt. 299, 300, 301, 302 e 303 c.p.p., art. 309 c.p.p., comma 10). Determina, invece, un vizio nel procedimento di acquisizione della prova per la illegittima compressione del diritto di difesa e non inficia l'attività di ricerca della stessa ed il risultato probatorio, in sè considerati.
Esso comporta, quindi, una nullità di ordine generale a regime intermedio, ai sensi dell'art. 178 c.p.p., lett. c), soggetta al regime, alla deducibilità ed alle sanatorie di cui agli artt. 180, 182 e 183 c.p.p..
Ove tale vizio sia stato ritualmente dedotto in sede di riesame ed il giudice definitivamente lo ritenga, egli non potrà fondare la sua decisione sul dato di giudizio scaturente dal contenuto delle intercettazioni riportato in forma cartacea, in mancanza della denegata possibilità di riscontrarne la sua effettiva conformità alla traccia fonica.
Esso, difatti, è stato, bensì, legittimamente considerato, nella sua forma cartacea, al momento della emissione del provvedimento cautelare; ma, dovendo, poi, il tribunale distrettuale (ri)esaminare la sussistenza delle condizioni legittimanti quel provvedimento, la difensiva richiesta di accesso depriva quel dato di definitiva valenza probatoria, nella sua presunzione assoluta di conformità, che rimane non verificata prima che si dia ingresso e concreta attuazione alla espressa richiesta della parte in tal senso formulata.
In sede di riesame il dato assume tale connotazione di definitività probatoria solo quando la parte sia stata posta in condizione di verificare quella conformità, esercitando il richiesto diritto di accesso. Deve condividersi, perciò, l'approdo cui è pervenuta la sentenza della 2^ Sez., 18 dicembre 2009, n. 4021/2010, cit., secondo cui "gli atti di intercettazione sono in sè pienamente validi e potranno essere considerati elementi probatori non appena le difese avranno la concreta possibilità di prenderne cognizione diretta e non limitata agli schemi riassuntivi ed alle trascrizioni effettuate dalla p.g.".
Il giudice del riesame, quindi, in presenza di tale accertata patologia, non potrà utilizzare quel dato nel procedere alla valutazione della prova: in tal senso ed a tali fini quel dato, perciò, rimane in quella sede inutilizzabile.
Del resto, ed in diverso ambito, tale regola è rinvenibile nel sistema: difatti, ai sensi dell'art. 195 c.p.p., comma 3, in tema di testimonianza indiretta, nel caso di mancato esame della fonte di riferimento nonostante la richiesta di parte, le dichiarazioni de relato sono espressamente dichiarate inutilizzabili. Egli dovrà, semmai, procedere alla ed. prova di resistenza e valutare, cioè, se quel dato non assuma rilevanza decisiva nel contesto della intera evidenza procedimentale rinvenibile, che gli consenta di egualmente esprimere il suo conclusivo divisamento riguardo alla sussistenza del richiesto grave quadro indiziario. Se, invece, il provvedimento cautelare si fondi decisivamente su quel dato, quella nullità tempestivamente e ritualmente dedotta comporta l'annullamento della ordinanza cautelare, proprio perché la verifica effettuata nel giudizio di riesame induce ad una valutazione di insussistenza del richiesto grave quadro indiziario. E lo stesso è da dirsi, mutatis mutandis, nel caso di appello cautelare, ex art. 310 c.p.p..
7.12. L'eventuale annullamento del provvedimento cautelare, per le ragioni testè indicate, non preclude al pubblico ministero la possibilità di reiterare la richiesta ed al G.I.P. di accoglierla, se la nuova richiesta sia, questa volta, corredata dal relativo supporto fonico, e non più solo cartaceo.
Questa Suprema Corte ha più volte avuto modo di esaminare il tema del giudicato cautelare.
Si è, quindi, tra l'altro, chiarito che il principio di cui all'art. 649 c.p.p. trova applicazione, in subiecta materia, "quando il giudice deve prendere in esame quegli stessi presupposti che siano stati sottomessi a valutazione in sede di gravame e ritenuti insussistenti, insufficienti o invalidi e non quando l'inefficacia del provvedimento sia derivata da sopravvenute condizioni estrinseche, come da irregolarità della procedura di riesame" (Sez. Un., 1 luglio 1992, n. 11; Sez. Feriale, 6 settembre 1990, n. 2668;
Sez. 6^, 2 aprile 1992, n. 1145); la preclusione da giudicato non sussiste quando vi sia stato "un successivo, apprezzabile mutamento del fatto" (Sez. Un., 12 ottobre 1993, n. 20).
In tema di appello cautelare, in ottemperanza al principio che si stabilisce "una situazione di relativa stabilità del decisum, nel senso che esso spiega una limitata efficacia preclusiva endoprocendimentale, "allo stato degli atti", in ordine alle questioni di fatto e di diritto esplicitamente o implicitamente dedotte", s'è rilevato che tali questioni "restano precluse in sede di adozione da parte del G.I.P. di un successivo provvedimento cautelare richiesto dal P.M. nei confronti dello stesso soggetto e per lo stesso fatto" solo "nella carenza di deduzione da parte del pubblico ministero di nuove e significative acquisizioni che implichino un mutamento della situazione di riferimento, sulla quale la decisione di appello era fondata" (Sez. Un., 31 marzo 2004, n. 18339, cit.).
In materia cautelare, all'esito del procedimento di impugnazione, "si forma una preclusione processuale, anche se di portata più modesta di quella relativa alla cosa giudicata, ... limitata allo stato degli atti e copre solo le questioni esplicitamente o implicitamente dedotte" (Sez. Un., 19 dicembre 2006, n. 14453/2007); l'effetto preclusivo si determina ove si registri la "assenza di un mutamento del quadro processuale di riferimento" (Sez. Un., 24 maggio 2004, n. 29952); "non vi è preclusione ... nell'ipotesi in cui la nuova richiesta contenga una diversità di allegazioni e deduzioni" (Sez. 5^, n,13 ottobre 2009, n. 43069; Sez. 6^, 25 ottobre 2002, n. 5374/2003).
In definitiva, l'effetto preclusivo endoprocedimentale dispiega i suoi effetti quando la nuova misura cautelare venga richiesta sugli stessi presupposti ed elementi già esaminati e decisi, quando il quadro processuale e probatorio rimanga integro ed immutato ed immutata rimanga, perciò, la già esaminata situazione processuale e probatoria di riferimento.
Tale effetto, invece, non si verifica ove, a seguito di nuovi e diversi elementi, venga a mutare il quadro probatorio di riferimento in relazione al quale è stata esaminata la sussistenza o meno delle condizioni legittimanti la imposta misura cautelare, perché in tal caso, la nuova richiesta si fonda su dati probatori che non hanno costituito oggetto di valutazione da parte del precedente giudice della cautela ed alla stregua di questi la richiesta e la misura possono essere rispettivamente nuovamente formulata e disposta. Se, quindi, il tribunale del riesame non abbia valutato la situazione probatoria in riferimento agli esiti delle intercettazioni, a causa della suindicata nullità, ove questi vengano, poi, legittimamente acquisiti con la produzione della traccia fonica, muta il quadro di riferimento probatorio, ed alla stregua di quello così diversamente delineatosi il giudice della cautela è pienamente integrato nel suo potere-dovere di valutare, a quel momento, la sussistenza o meno delle condizioni legittimanti la nuova richiesta di misura cautelare (per una ipotesi analoga a quella che nel caso che occupa rileva, concernente la successiva acquisizione dei decreti autorizzativi delle operazioni di intercettazione, v. Sez. 5^, 9 giugno 1998, n. 2169).
7.13. Ove la predetta nullità venga riscontrata e dichiarata solo in sede di legittimità, il provvedimento impugnato, affetto da tale vizio, va annullato con rinvio, comportando la dichiarazione di nullità la regressione del procedimento allo stato in cui è stato compiuto l'atto nullo e la necessità della rinnovazione di quest'ultimo, con emenda dei vizi riscontrati (art. 185 c.p.p.). In sede di rinvio, non più soggetto ai termini perentori indicati dall'art. 309 c.p.p., comma 10, (in tal senso la uniforme giurisprudenza di questa Suprema Corte: cfr., ex ceteris, Sez. Un., 17 aprile 1996, n. 5; Sez. 5^, 2 dicembre 1997, n. 5473/1998 ; Sez. 5^, 23 novembre 1999, n. 5652/2000; Sez. 6^, 16 giugno 2003, n. 35651), il tribunale del riesame è reintegrato nei poteri-doveri dei quali sopra si è già detto.
8.0. Nel caso di specie, dalla documentazione prodotta dal difensore dell'indagato (che il Tribunale del riesame ha esaminato) è dato evincere che, con istanza in data 14 agosto 2009, indirizzata al Sostituto Procuratore della Repubblica di Trani, il difensore richiese il "rilascio di tutte le intercettazioni telefoniche e ambientali e/o brogliacci delle intercettazioni telefoniche trascritte e/o registrate su CD".
In calce alla stessa, in data non intellegibile (sembra 17 agosto), è dato leggere: "V. al G.I.P. con parere favorevole ed esecuzione alla P.G. operante"; più sopra vi è annotazione manoscritta "CC. Barletta".
Il ricorrente assume: "il mio difensore recatosi in data 19.8.2009 (l'udienza del riesame era fissata per il 24 agosto) presso il Comando Compagnia Carabinieri di Barletta al fine di ottenere copia dei dati informatici relativi alle intercettazioni telefoniche nonché dei brogliacci come da nota del P.M., accertava con prova documentale che i supporti informatici contenenti le intercettazioni erano stati in Procura sin dal lontano 12 giugno 2008, e non venivano messi a disposizione della difesa ...".
Tale "prova documentale" è rappresentata dalla copia di una missiva del Nucleo Operativo e Radiomobile dei CC. di Barletta in data 10 giugno 2009, indirizzata alla "Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Trani" e (solo) "per conoscenza "alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trani (c.a. Sost. Proc. dr. Ettore Cardinali)".
Ivi si dice: "debitamente repertati si depositano copia dei supporti informatici contenenti i dati e le fonie delle attività tecniche connesse al Proc. Pen. 4660/08 mod. 21 della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trani, RIT nr. 109/08 del 31.7.2008, RIT nr. 110/08 del 14.8.2008 e RIT nr. 116/08 del 04.09.2008 come da elenco allegato" (secondo quanto indicato nella intestazione del provvedimento impugnato e nella richiesta di copia è il procedimento che qui interessa).
Tale documento, quindi, fa riferimento solo a "copia" di atti rimessi alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni, in riferimento al procedimento di competenza dello stesso Tribunale per i Minorenni ivi indicato, evidentemente connesso al procedimento che qui interessa.
Gli atti indicati in quella annotazione dei CC. non rilevavano, perciò, nel procedimento che qui interessa: riguardavano, evidentemente, solo la posizione di imputato o imputati minorenni;
gli atti riguardanti il presente procedimento dovevano, invece, essere stati depositati presso la Procura della Repubblica (art. 268 c.p.p., comma 4; art. 89 disp. att. c.p.p.).
Alla stregua di tanto, già il rimettere, "con parere favorevole", la decisione sulla proposta istanza al G.I.P., che non aveva la disponibilità degli atti e che non poteva effettuare alcuna operazione di selezione e di estrapolazione di quelli richiesti (secondo quanto si è sopra già osservato), comportava la disattenzione della istanza e la impossibilità di darvi concreto seguito.
A quella richiesta, difatti, avrebbe dovuto ottemperare il pubblico ministero. Rimane che la richiesta difensiva non è stata affatto adempiuta da quest'ultimo (nè, ovviamente, da altri); essa era stata proposta, come s'è detto, il 14 agosto e l'udienza camerale venne tenuta il successivo 24 agosto, sicché la richiesta medesima era intervenuta in tempo utile per essere assolta in tale lasso temporale; ed il "parere favorevole" espresso dal P.M. lascia intendere che non vi fossero particolari ragioni di difficoltà tecnica per prontamente ottemperarvi.
Deve ritenersi, perciò, realizzata la nullità generale di cui sopra s'è detto, tempestivamente dedotta nel corso della udienza camerale ed illegittimamente disattesa dal tribunale del riesame. Tanto comporta l'annullamento della ordinanza impugnata, con rinvio al giudice a quo per nuovo esame.
9.0. Gli altri motivi di ricorso assumono, a tal punto, rilievo subordinato, rilevando essi nel caso in cui il giudice del rinvio positivamente risolva la questione sopra indicata, in relazione alla sussistenza del grave quadro indiziario anche alla stregua degli esiti delle eseguite operazioni captative, e, comunque, conseguentemente, compiutamente esamini il quadro indiziario che ne risulterà.
Ed in tale ottica vanno esaminati.
10.0. Il terzo motivo di gravame (sub e), suprà) è infondato. Hanno, invero, ben chiarito i giudici del merito, dopo aver richiamato il contenuto delle conversazioni intercettate, che "l'attivazione del mezzo di ricerca della prova nei confronti del Lasala ... è stata ampiamente giustificata dall'emersione di seri e corposi elementi di reità circa il suo coinvolgimento nelle rapine eseguite dal gruppo malavitoso ...".
La regola di cui all'art. 192 c.p.p., comm1 3 e 4, è richiamata dall'art. 273 c.p.p., comma 1 bis, in tema di condizioni generali di applicabilità di una misura cautelare personale, ai fini della valutazione dei gravi indizi di colpevolezza che la legittimano;
essa, invece, non è evocata dall'art. 267 c.p.p., comma 1, che, nel suo comma 1 bis, richiama solo l'applicazione dell'art. 203, a proposito degli informatori della polizia giudiziaria e dei servizi di sicurezza. Quale presupposto del provvedimento autorizzativo alle captazioni, i gravi indizi di reato possono, quindi, essere rappresentati anche da una chiamata in correità, non ancora a quel momento definitivamente scrutinata nella sua rilevanza ai fini delle condizioni generali di applicabilità di una misura cautelare personale, o in termini di prova ai sensi del precitato art. 192 c.p.p., comma 3.
Peraltro, ed in ogni caso, il ricorrente mostra di ritenere che per la attivazione di operazioni captative sia necessaria la sussistenza di elementi indiziari di colpevolezza riguardo al soggetto nei confronti del quale quelle attività siano poste in essere; ma la norma (art. 267 c.p.p., comma 1) richiede la sussistenza di indizi di reato, non di reità: essi attengono alla esistenza dell'illecito penale, non alla colpevolezza di un determinato soggetto (Sez. 4^, 17 ottobre 2006, n. 42017; Sez. 4^, 16 novembre 2005, n. 1848/2006; Sez. 1^, 3 dicembre 2003, n. 16779/2004).
11.0. Egualmente infondato è il quarto motivo di doglianza (sub d), supra).
Il provvedimento impugnato, difatti, ha correttamente richiamato i parametri di riferimento valutativi del reato associativo ed in riferimento a questi ha coerentemente ritenuto la sussistenza del grave quadro indiziario, evidenziando le "emergenze investigative" che "pongono in luce l'esistenza di un accordo tra più soggetti (fra cui anche Lasala Cosimo Damiano) diretto all'attuazione di un continuativo programma criminoso, per la commissione di una serie indeterminata di delitti e, dunque, lo svolgimento di una continuativa attività illecita perpetrata su basi organizzate". Assumendo il ricorrente che l'ordinanza coercitiva sarebbe stata annullata nei confronti del Lombardi, è dirimente considerare che tanto costituisce solo labiale assunto, non essendo stato prodotto alcun atto dal quale evincersi la effettiva sussistenza della circostanza allegata e, con essa, i termini della addotta effettuata delibazione e la loro possibile incidenza riguardo alla complessiva situazione processuale dell'attuale ricorrente, come compiutamente rappresentata e delineata nel provvedimento impugnato, atteso che gli elementi apprezzati vanno anche oltre la mera contestazione della circostanza che egli prendeva ordini dal Lombardi.
La gravata ordinanza, in definitiva, si sottrae allo stato, anche in parte qua, a rinvenibili vizi di illogicità, che, peraltro, la norma vuole dover essere manifesta, cioè coglibile immediatamente, ictu oculi.
12.0. Privo di consistenza è anche il quinto motivo di censura (sub e), supra).
L'assunto che "la disponibilità del telefonino cellulare ben poteva averla altra persona ..." è, ancora una volta, mera labiale deduzione espressa solo in termini di astratta, ipotetica possibilità, non certo di congrua, effettiva probabilità, per la quale il ricorrente omette qualsivoglia allegazione specifica. E lo stesso è da dirsi sulla circostanza relativa alla certezza che il veicolo del ricorrente venisse da lui condotto.
Il fatto, poi, che egli fosse detenuto nel periodo indicato, secondo la allegazione al riguardo prospettata, non esclude affatto, di per sè, la contestata partecipazione all'associazione criminosa. 13.0. Anche il sesto motivo di ricorso (sub f), supra) è infondato. Il provvedimento impugnato, difatti, ha riportato il contenuto di una conversazione intervenuta tra Gaetano Spera e Mascolo Francesco e, con giudizio che si sottrae a rinvenibile vizio di illogicità, ha coerentemente ritenuto che indiziariamente emerge dal predetto dialogo che Lasala Cosimo Damiano (detto "Chicco") concorse con Gaetano Spera (quanto meno sul piano della compartecipazione morale) all'uccisione di un cane attraverso l'utilizzazione di un'arma da fuoco.
14.0. Il settimo motivo di gravame (sub g), supra) è, ancora una volta, pur esso infondato.
Correttamente, difatti, i giudici del merito hanno rilevato che "la localizzazione mediante il sistema di rilevamento satellitare (ed. GPS) degli spostamenti di una persona nei cui confronti siano in corso indagini costituisce una forma di pedinamento non assimilabile all'attività d'intercettazione di conversazioni o comunicazioni, per la quale non è necessaria alcuna autorizzazione preventiva". Tale affermazione non è affatto "a dir poco scioccante", come vuole il ricorrente, ma del tutto corretta e tale principio è stato reiteratamente affermato dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte (Sez. 6^, 11 dicembre 2007, n. 15396/2008; Sez. 4^, 28 novembre 2007, n. 3017/2008; Sez. 4^, 29 gennaio 2007, n. 8871; Sez. 5^, 7 maggio 2004, n. 24715; Sez. 5^, 27 febbraio 2002, n. 16130).
15.0. Palesemente infondato, infine, è l'ottavo profilo di doglianza (sub h), supra).
Quanto, difatti, alla sussistenza delle ravvisate esigenze cautelari ed alla adeguatezza della misura imposta, i giudici del merito hanno puntualmente e del tutto coerentemente motivato, evocando le "modalità e circostanze dei fatti", concretizzatesi nella "perpetrazione di una serie di rapine presso istituti bancari od uffici postali", a conferma della "sua propensione al crimine, dai cui proventi trae, in via esclusiva, i mezzi per vivere"; il "contesto associativo in cui sono stati commessi i delitti"; la "sua pessima indole"; l'applicazione nei suoi confronti (e di altro coindagato) di altra misura della custodia cautelare in carcere "per i delitti di concorso in furto aggravato di un'autovettura, in rapina aggravata e in detenzione e porto illegale di un'arma da sparo"; la circostanza che egli "è pregiudicato per analoghi delitti (rapina a mano armata e furto commessi ... nel 2004) e che, ad onta del beneficio indulgenziale ex art. 163 c.p. concessogli in occasione di quella condanna, ha ostinatamente proseguito nell'attività delinquenziale": del tutto logicamente consequenziale è l'espresso divisamento, che "la sua indole incoercibilmente refrattaria al rispetto della legge si pone in termini antitetici al contenuto tipico di misure meno afflittive", donde "l'assoluta inadeguatezza ai fini preventivi della misura gradualmente meno afflittiva degli arresti domiciliari".
16.0. Il provvedimento impugnato va, dunque, annullato, per i motivi suesposti, con rinvio al Tribunale di Bari, per nuovo esame. Deve, altresì, disporsi che copia del presente provvedimento sia trasmessa al Direttore dell'istituto penitenziario competente perché provveda a quanto stabilito dall'art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.
La Corte annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Bari.
Si comunichi ai sensi dell'art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter. Così deciso in Roma, il 22 aprile 2010.
Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2010