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28 febbraio Settis: l'Italia dell'arte e dei condoni

La tutela del patrimonio culturale e del paesaggio nella storia italiana

e le sfide del presente

Salvatore Settis, Aula Magna Quistelli

28 febbraio 2013

La giornata reggina del professore Settis, iniziata la mattina con l’apertura delle ricorrenze per il bicentenario del Liceo Classico Campanella di Reggio Calabria, si è conclusa nell’Aula magna Quistelli della Mediterranea per parlare di tutela del patrimonio culturale e del paesaggio nella storia italiana.
E’ toccato al professore Costabile, direttore della Scuola di archeologia e architettura della città classica, introdurre l’incontro con un cordiale profilo dei numerosi interessi del collega archeologo: “Non devo vergognarmi di essere calabrese se posso condividere la conoscenza di un uomo di tale talento e coerenza intellettuale”.
Al tavolo anche la professoressa Laura Thermes che ha concluso gli onori di casa.
Il prof. Settis, accademico dei Lincei, emerito della Scuola Normale Superiore di Pisa, ha parlato per circa un’ora e mezza a una platea piena con il piglio autorevole di che è esperto della materia (ha contribuito alla stesura dell’attuale codice dei beni culturali), ma anche con la passione che lo contraddistingue per il tema dei beni culturali e del paesaggio.


Foto Saso Pippia


L’Italia è la prima nazione ad avere inserito nella Costituzione (art. 9) la tutela del patrimonio culturale e paesaggistico, seguita da altri paesi. Già nel medio evo si rintracciano le prime iniziative del legislatore, adottate da comuni e stati con risultati anche superiori a quelli che l’Europa ha finora conseguito per la difficoltà di coordinare e imporre leggi comuni.
“L’Italia ha con il paesaggio un rapporto difficile”, e cita l’esempio della Val d’Orcia, il cui paesaggio è stato preservato integro fino alla difficile dichiarazione dell’Unesco di patrimonio dell’umanità. Il riconoscimento è stato usato per speculazioni edilizie e scempi del paesaggio.
Non ha mancato di punzecchiare i politici chiamati a gestire un Paese che avrebbe, addirittura, il 90% dei beni culturali planetari. Cifre sparate a vanvera per fini molto diversi dal reale interesse di salvaguardia di un patrimonio comune.
Non è la quantità di castelli, boschi o piazze che fa dell’Italia una nazione unica ma la diffusione capillare di un patrimonio che, accumulato nei millenni e sopravvissuto ai cataclismi naturali e alle guerre, è minacciato dalla speculazione culturale. In quindici anni, dal 1990 al 2005 il 17% della campagna italiana è stato coperto da nuove costruzioni. Ogni anno si costruiscono fabbricati per 250 milioni di metri cubi; ogni secondo si coprono 8mq di cemento, con i relativi disastri idrogeologici.
Per Settis i beni culturali sono beni collettivi perché parte essenziale dell’identità di una comunità e perciò la permanenza nel contesto originale non è un valore aggiunto, ma il motivo stesso della loro esistenza. Goethe al proposito osserva: “Le architetture inserite nel paesaggio italiano sono una seconda natura, indirizzata a fini civili».
Il complesso sistema di tutela vigente in Italia, che sulla carta è forse ancora oggi il migliore al mondo, così com’è non funziona. La confusione tra paesaggio, ambiente e territorio, la sovrapposizione di competenze tra Stato ed enti locali, le deroghe e l’italianissima invenzione dei condoni: una serie di minacce che la politica non disinnesca.



L’Italia dei beni culturali è fragile per mancanza di risorse umane e finanziarie, eppure continuiamo a vantarci stoltamente del nostro patrimonio senza muovere un dito. Anzi, sono prolificati i corsi di laurea sui beni culturali, ma quasi nulle le possibilità di impiego che potrebbero favorire il ricambio generazionale a tutela dei beni culturali e architettonici.
Anche se la situazione è quella appena descritta, Settis ritiene che la spinta necessaria che può far uscire dal pantano attuale l’Italia viene dalle trentamila associazioni di cittadini per la difesa del patrimonio culturale e del paesaggio. Testimonianza di un comune sentimento civico degli italiani.
Infine l’esortazione all’Università, fondamentale per creare una opinione pubblica informata che serva da stimolo alla classe dirigente su queste tematiche e aiutare questo Paese a prendere coscienza di se stesso.
Il rettore Catanoso ha consegnato la medaglia ricordo della Mediterranea.

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