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Vincenzo Panuccio nel ricordo di Felice Costabile

Il 7 luglio è scomparso il Prof. Vincenzo Panuccio, Emerito dell’Università di Messina, già commemorato nell’immediatezza nei necrologi del nostro Rettore e del nostro Direttore.

La circostanza di essermi trovato fuori sede mi offre l’occasione, quale decano del Dipartimento, di ricordarne ora ai colleghi appena meno anziani, che hanno concorso alla fondazione della Facoltà di Giurisprudenza di Reggio Calabria, l’impegno scientifico e morale che Egli profuse in suo favore agli esordi, negli anni 1997-2001, e di farlo conoscere ai colleghi più giovani, che a quell’epoca nella Facoltà non erano ancora.

Insieme al Prof. Angelo Falzea, come Lui Emerito dell’Ateneo messinese, egli volle onorare la Facoltà di Reggio di alcune lezioni magistrali, seminari e conferenze, che proseguirono poi fin quasi agli ultimi tempi di entrambi, ma che in quel periodo iniziale ebbero anche un valore politico e d’immagine che è giusto non dimenticare, nel momento in cui si mirava, fra mille difficoltà, a fare di Giurisprudenza una Facoltà dell’Università reggina, per iniziativa del Preside Sebastiano Ciccarello e con il concorso determinante del Sindaco Italo Falcomatà e del Presidente della Provincia Umberto Pirilli.

Vincenzo Panuccio in diverse occasioni, anche dopo aver superato, nel 2013, il Suo novantesimo anno di età, continuò a prestare liberalmente la Sua opera di docente sia nel corso di laurea in Giurisprudenza sia in quello di Economia: l’essere professore di Diritto Commerciale lo poneva nella condizione ideale per costi- tuire un ponte fra i due corsi, ma insegnò anche nei master e nella Scuola per le professioni legali. Allievo di Salvatore Pugliatti, ma anche, come amava ricordare, di Rodolfo De Stefano – il grande, schivo e dimenticato filosofo del diritto, come Lui reggino ma docente a Messina – Panuccio trasferì nella materia dell’impresa il portato teoretico, che Gli derivava dall’eredità scientifica di quei due grandi Maestri. Ma, nell’orma di quell’etica sociale della cultura, cui De Stefano aveva dedicato un memorabile libro, non rifuggì dal considerare anche il profilo morale, da cui impresa ed economia non dovrebbero prescindere in una realtà, che intenda perseguire non solo il profitto, ma anche fini sociali e di equa distribuzione del reddito. Che sempre Egli sia stato apprezzato e compreso nell’àmbito della Sua scienza specialistica non saprei dire, non appartenendo ad essa, né ne sarei sicuro: ma questo non potrebbe che isolarNe e rilevarNe maggiormente la statura scientifica e forse anche morale, soprattutto nell’attuale momento di crisi della finanza internazionale.

Posso invece da storico professionalmente apprezzare la poliedricità degli interessi culturali, che Lo portarono dapprima, quand’era ancora studente universitario, a elaborare una tesi di diritto romano sui Correctores Lucaniae et Bruttiorum, e poi a impegnarsi a livello internazionale nell’àmbito dei musei e, per oltre mezzo secolo fino alla morte, a presiedere con passione e dedizione l’Associazione Amici del Museo Nazionale di Reggio Calabria e a promuoverne la rivista “Klearchos”, fondate entrambe dal Suo amico e sodale Alfonso de Franciscis, all’epoca (1958) Soprintendente alle Antichità della Calabria. Fu in quella veste, che ebbi l’onore d’invitare Panuccio a parlare alla Scuola Archeologica dell’Ateneo reggino, fondata sotto il ret- torato di Alessandro Bianchi da Salvatore Settis ed Emanuele Greco, e da me successivamente diretta.

Ma mi sia consentito chiudere con il mio ricordo di studente, che sostenne esami con Vincenzo Panuccio professore alla Facoltà di Giurisprudenza di Messina: in un’epoca – la metà degli anni Settanta dello scorso secolo – in cui v’era grande distanza fra docenti e discenti e i professori “terrorizzavano” non meno degli esami, non dimentico il Suo sforzo di allentare la tensione, di porgersi con benevolenza, oserei dire perfino con dolcezza e paterno affetto, verso gli interrogati, pur non deflettendo dall’assoluta serietà della valutazione. Mi rammarico di non essere sempre riuscito, nemmeno da vecchio, a seguirNe in questo l’esempio.

Forse è quell’humanitas che mi porta a rammentare le parole di Quasimodo, evocatrici di Pugliatti ne «la brigata che lieve m’accompagna» in Vento a Tindari: così sento, ora che non c’è più, che di Lui il ricordo “oggi m’assale, e si china in cuore”.

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